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Se condannato, non si dimette, dice: ha ragione, non serve

Giusto due parole per chiarire una cosa: se Silvio Berlusconi venisse condannato in qualche processo (cosa di cui non sono sicuro, se non per un processo per cui non è stato ancora richiesto il rinvio a giudizio), non avrebbe bisogno di dimettersi.

Con ogni probabilità, infatti, scatterebbe per lui in modo automatico una pena accessoria chiamata “interdizione dai pubblici uffici”. Poiché l’interdizione scatta in caso di condanna a tre anni di reclusione e visto che i processi, al minimo, prevedono proprio i tre anni come pena, Berlusconi, in seguito a una condanna decadrebbe senza necessità di dimissioni. Il suo governo si polverizzerebbe letteralmente, e Giorgio Napolitano dovrebbe cercare in Parlamento qualcuno che possa raccogliere attorno a sé una maggioranza o, al limite, andare ad elezioni.

E in caso di elezioni, ovviamente, Berlusconi non potrebbe candidarsi, in quanto interdetto.

Se invece rimanesse, si tratterebbe di un grave attentato costituzionale.

Per questo motivo nei Paesi normali, un premier colpito anche solo da indagini (come Ehud Olmert) si dimette: per evitare il conflitto con la magistratura. Berlusconi no, rimane al suo posto, pur sapendo che può letteralmente sfasciare lo Stato con questo suo comportamento irresponsabile, perché lui non può farsi da parte, perché se lo facesse non potrebbe più fare i suoi porci comodi a spese nostre come fa da un decennio e più.

Si avvicina uno spettro che Nanni Moretti aveva già reso benissimo ne Il Caimano.

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