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Io, Giorgio e la Costituzione

Io ero abbastanza convinto che un presidente della Repubblica conosca la Costituzione almeno un po’ meglio di un cittadino comune come me (vabbè, penso comunque di conoscerne più di un cittadino medio).

In effetti devo essermi sbagliato, o quanto meno devo notare che Napolitano interpreta la Costituzione in modo abbastanza curioso.

Ieri Giorgio Napolitano, a tempo di record, ha firmato la legge che contiene l’abominevole, criminale e criminogeno scudo fiscale, noto regalo a evasori e mafie per motivi che già conosciamo.

In tanti gli han chiesto di non firmare, ma lui l’ha firmato praticamente prima di subito. Antonio Di Pietro ha parlato di viltà e di azione pilatesca (se ne sarebbe lavato le mani), ma sbaglia, non è né l’uno né l’altro: la sua firma ha un significato ben preciso, non è né vile né pilatesco e anche, se possibile, è ben più grave che lavarsi le mani, perché il PdR si è reso corresponsabile della legge (certo, vale anche in Italia il principio “The King can do no wrong”, il capo dello Stato non può sbagliare, ma ciò non lo sottrae certo a un successivo giudizio morale, che tocca non solo la sua persona, ma pure l’ufficio che ricopre). Vediamo brevemente perché, almeno dal mio punto di vista.

Leggo che Napolitano avrebbe dichiarato: “«Non firmare non significa niente», spiegando che la Costituzione prevede che la legge possa essere nuovamente approvata e in quel caso lui sarebbe «obbligato» a firmare”. Vero, secondo l’articolo 74 della Costituzione, che dice che una prima volta il Presidente può rifiutare la firma e chiedere una nuova approvazione da parte del Parlamento, il quale, se approva di nuovo la stessa legge, costringe il Presidente a firmare.

Voi direte: e a che cosa serve tutto questo balletto?

Il Presidente della Repubblica è un organo di garanzia costituzionale: ha diversi poteri che gli consentono di indirizzare la politica entro l’ambito costituzionale (poteri a fisarmonica che si restringono quando tutto funziona bene, e che si dilatano quando qualcosa non va). Ad esempio, se la maggioranza bloccasse la convocazione delle Camere (e quindi congelasse il Parlamento), l’articolo 62 della Costituzione prevede che esse possano essere convocate anche dal Presidente della Repubblica (in seduta straordinaria).

Il presidente della Repubblica, essendo garante della Costituzione, nel promulgare una legge deve fare un primo controllo di costituzionalità, ovvero non deve firmare leggi che sembrino palesemente incostituzionali (ovvero l’incostituzionalità deve apparirgli evidente, presupponendo un’alta conoscenza della Legge Fondamentale stessa). Può quindi rinviare alle Camere con messaggio motivato e chiedere una nuova delibera. Nel caso le Camere riapprovino il medesimo testo, il Presidente è obbligato a firmare.

La differenza ora è chiara: se il PdR firma una legge in prima battuta significa che la ritiene costituzionale, almeno per sommi capi (il controllo di costituzionalità più approfondito verrà fatto, eventualmente, dalla Corte Costituzionale); quando invece la firma in seconda battuta, il significato è: io ve la firmo perché il Parlamento rappresenta il popolo e il popolo è sovrano, ma io non me ne assumo la responsabilità se questa verrà dichiarata incostituzionale, cacchi vostri.

Dunque quando Napolitano dice che “non firmare non serve a niente” sbaglia di brutto. Se gli fanno notare che una legge è palesemente incostituzionale (come lo scudo fiscale, che in sostanza è un’amnistia, per approvare la quale la Costituzione richiede una maggioranza rinforzata) e lui la firma lo stesso se ne prende la responsabilità; stesso discorso può farsi per il lodo Alfano: se la Corte Costituzionale lo boccerà (come dovrebbe essere ovvio, per motivi già noti e che spero di approfondire presto), lui sarà responsabile di avere promulgato senza battere ciglio una legge macroscopicamente incostituzionale.

Dunque il rifiuto della firma serve per tre ragioni: la prima è che rende quanto meno moralmente irresponsabile il presidente della Repubblica inteso come persona nel caso in cui la legge venga successivamente bocciata dalla Consulta; la seconda è che difende il prestigio dell’istituzione Presidente della Repubblica, che altrimenti vedrebbe danneggiata la sua funzione di organo di controllo (se firmi tutto – come ha sempre fatto Napolitano, ma non i suoi predecessori – tanto vale eleggere un timbro come PdR, ci costa pure meno); la terza, più importante, è impedire che una mostruosità divenga legge, che danneggi i cittadini, permettendo una nuova discussione sia nelle aule parlamentari che nella società civile e delle eventuali correzioni che rendano poco o punto incostituzionale la nuova legge.

Per questi motivi la locuzione “Non firmare non significa niente” mi pare, quanto meno, inesatta. Delle due l’una: o il Capo dello Stato non ha chiaro il significato dell’articolo 74 della Costituzione o ritiene la legge appena firmate costituzionale anche nei punti in cui viene fatta notare una evidente incostituzionalità.

Io, sinceramente, non so quale delle due alternative sia peggiore.

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