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Gabbie salariali distorte

In questi giorni si parla tanto di gabbie salariali. In estrema sintesi significa che persone che svolgono il medesimo lavoro in diverse zone d’Italia devono guadagnare la stessa cifra in termini reali. In altri termini ancora, devono essere in grado di comprare il medesimo numero di pagnotte di pane, e se a Milano quelle pagnotte costano più che a Napoli allora l’impiegato milanese deve guadagnare più dell’impiegato napoletano.

Può sembrare giusto in apparenza, ma il concetto è distorto dalle intenzioni populistiche della Lega Nord (ed appare strano che MpA e i parlamentari del Sud non stiano facendo grande “ammuina” per questo come hanno fatto per avere quattro miliardi da spendere in clientele. Meridionali destrorsi, guardate per chi avete votato). Senza contare che le gabbie salariali esistono già “naturalmente”. Quindi è tutto populismo. E un populismo statalista, visto che si vuole imporre il salario della gente (liberali destrorsi, guardate per chi avete votato).

Non si può e non si deve legare il salario all’inflazione (o meglio, non solo a quella). Si deve legare il salario al lavoro svolto, ovvero alla produttività.
Esempio pratico: abbiamo due impiegati all’anagrafe, uno a Milano e uno a Napoli. Entrambi usano le medesime attrezzature e hanno le medesime capacità per utilizzarle e per il resto, entrambi ricevono ogni giorno dieci richieste per una carta d’identità. Se uno riesce ad evadere tutte le richieste diciamo in due ore, mentre l’altro ce ne mette (inspiegabilmente) quattro, appare evidente che il primo è più produttivo del secondo, e in quanto tale va premiato. Ancora, se un anno dopo il primo impiegato, grazie all’esperienza accumulata, riesce ad evaderle in un’ora e mezza (ha aumentato la propria produttività), mentre l’altro è strafisso a quattro, a maggior ragione il primo andrà premiato.

Per questo ben venga la contrattazione decentrata, non solo e neppure primariamente perché lo stipendio tenga conto del costo della vita locale, ma anche e soprattutto perché in questo modo sarà più semplice premiare chi si impegna nel proprio lavoro e punire invece i fannulloni.

Questo ovviamente non significa fare come vorrebbe fare, mi pare, Renato Brunetta (una cosa tipo: a un terzo degli impiegati un aumento, a un terzo niente e a un altro terzo una diminuzione). Se uno fa bene il proprio lavoro, ma per inferiori capacità o motivazione non riesce ad entrare negli altri due terzi degli impiegati, non può essere punito semplicemente per una questione “statistica”. Che è un po’la stessa cosa delle gabbie salariali così come le intendono Umberto Bossi e Silvio Berlusconi.

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