Mi è capitato di rileggere il discorso inaugurale di Barack Obama. Sostanzialmente dice che, sì, ok, siamo in crisi e non è una novità, però «i nostri lavoratori non sono meno produttivi rispetto all’inizio della crisi. Le nostre menti non sono meno inventive, i nostri prodotti e servizi non meno richiesti rispetto a una settimana fa, un mese fa o un anno fa. Le nostre capacità non sono diminuite. Ma il tempo per noi di rifiutare i cambiamenti, di proteggere gli interessi di pochi e di rinviare decisioni spiacevoli – quel tempo è certamente passato.» ((Traduzione mia.))
Secondo Obama, insomma, la crisi che stiamo vivendo è dovuta ad una mancanza di controllo e/o ad un allentamento dei controlli stessi per proteggere i furbetti del quartierino, diremmo in Italia. Siamo ancora tutti bravi, ma i furbi hanno inquinato la nostra economia. E noi sapevamo cosa facevano, sapevamo che dovevamo cambiare, ma non li abbiamo fermati, non abbiamo cambiato niente perché era più facile tenere le cose come stavano. L’economia girava, a debito, ma girava. Sapevamo che il meccanismo del consumare più di quanto avevamo era da suicidio, ma non abbiamo fatto nulla per fermarlo. Sapevamo, ma non abbiamo fatto.
Questo è forse ciò che contraddistingue questa crisi da quella del 1929: all’epoca non c’erano le conoscenze economiche che possediamo oggi. Non esisteva un qualcosa di paragonabile. Tutto quello che facevano, lo facevano senza sapere quali conseguenze avrebbe portato. Un po’ come guidare un’automobile per la prima volta, senza un tutor, finendo per investire qualcuno o per schiantarsi contro un muro.
Oggi, al contrario, sappiamo come guidare quest’automobile. Adesso il problema è non guidarla sotto l’effetto di droghe o di alcool, bensì rispettando le regole in tutta onestà e non aggirandole come se non esistessero per favorire gli interessi dei furbetti del quartierino.
Diciamolo chiaro e tondo: tutto il contrario di quanto sta avvenendo in Italia.
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