Fantozzi ci ha rovinato

No, non mi riferisco all’Augusto di Alitalia, bensì al più noto (ma non meno divertente) ragionier Ugo Fantozzi.

Ieri sera, durante i festeggiamenti di Capodanno, il mio orecchio si è drizzato su una frase dalla tv, che diceva più o meno: «E adesso tocca al cantante che ci ha deliziato con i suoi bambini che fanno oooh». In un lampo corro verso il telecomando pensando: «Ennò, dai, quel bigotto di Povia a Capodanno noooh!». Pigiando confusamente i tasti per cambiare canale prima di vedere la faccia di quello lì, finisco su un film in bianco e nero. Lo riconosco subito: è “La corazzata Potëmkin“. Senza pensarci due volte, meglio questo che Povia, che tanto nessuno dei presenti stava guardando la tv. Eppure non sono riuscito a non vederlo fino alla fine.

Questo film è ormai nell’immaginario collettivo italiano a causa della celeberrima scena ne Il secondo tragico Fantozzi, dove il nostro ragionier Ugo lo bolla come una cagata pazzesca, suscitando novantadue minuti di applausi .

Si tratta, diciamolo subito, di una fortunata gag, ma di una sfortunata citazione. Il film di Fantozzi non voleva distruggere questa pellicola, e infatti la chiamano “Corazzata Kotiomkin” e il nome del regista è volutamente storpiato. Ma la battuta di Villaggio è talmente impressionante e perfetta che ha finito per trascinare con sé anche il film russo, che Salce (il regista di Fantozzi) non voleva tirare in ballo (l’obiettivo, infatti, era tutto il contorno della scena, gli obblighi assurdi che il padrone imponeva ai suoi impiegati, i riti della cultura borghese snob, il dibattito finale su un film che non volevi vedere – potete farvi un’idea di questa assurdità portata all’estremo guardando questo spassoso spezzone).

La corazzata Potëmkin, in realtà, non dura tre ore e diciotto bobine, ma solo settanta minuti, che scorrono via senza troppi problemi perché il film è davvero intenso e drammatico (a differenza dei moderni, nostrani, equivalenti film d’autore, che sono al più delle vere cagate pazzesche). Non per nulla, all’estero, questo film è stato citato spesso (avete presente la bimba col cappottino rosso in Schindler’s list?).

Da noi purtroppo questo film è diventato il simbolo della pallitudine assoluta e categorica. E questo mi fa rabbrividire, perché il film, in sé, non lo merita affatto.

Si tratta, semplicemente, dell’evidenza dell’enorme potere che i media tradizionali hanno sulla mente umana: basta un’immagine o una battuta fortunata e lo spettatore finisce indotto a credere in qualcosa che in realtà non esiste. È la magia ipnotica del cinema e della televisione. Affascinante, quanto pericolosa.

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