Ieri Walter Veltroni, forte della fiducia concessa dalla direzione del Partito Democratico, ha detto: «Nessuno mi convincerà mai che è meglio un capobastone che porta voti piuttosto che liberarsene. Voglio un partito di gente perbene, un partito sano, gli altri fuori.»
Sono quindi due le misure da adottare subito per dare almeno l’impressione, nel breve periodo, che il PD ha intrapreso la strada della legalità e della trasparenza.
La prima: dare l’assenso tutte le richieste di autorizzazione che la magistratura sottopone al Parlamento. Si ristabilisca che la magistratura è indipendente e che deve fare il suo lavoro fino in fondo. Non spetta alle Camere decidere se un parlamentare è colpevole. Nei casi di persecuzione politica esiste già il Consiglio Superiore della Magistratura.
La seconda: chiedere le dimissioni da qualunque incarico (da consigliere comunale a presidente del Consiglio) di tutti i membri del partito rinviati a giudizio, affinché affrontino il processo da privati cittadini e senza imbarazzi per la parte non sottoposta a giudizio del partito. In caso di rifiuto delle dimissioni, procedere all’espulsione dal partito.
Le mele marce ci saranno sempre, ma queste soluzioni possono essere un primo deterrente, oltre che un mezzo per far tornare la fiducia nei cittadini che credono ancora che una politica pulita sia ancora possibile.
Sia ben chiaro che rompere l’alleanza con Di Pietro significa fare un passo indietro sulla questione morale: Berlusconi non va ascoltato quando fa proposte, figurarsi quando intima al partito di opposizione cosa dovrebbe fare.
Il secondo passo, più a lungo periodo, è dare agli elettori una risposta alla domanda “Perché votare PD?” che sia diversa da “Perché Veltroni è amico di Obama”.