I mercati hanno velocemente dimenticato le elezioni italiane e volano verso o addirittura oltre i massimi storici (con la rilevante eccezione di quello italiano, a meno -60% da tali massimi storici). Il DAX tedesco ritrova quota 8000, seppur timidamente, mentre quelli americani vagano in territori sinora mai scalati. Crisi finita? Meglio non eccitarsi troppo, in mancanza di indicazioni concrete.
Ci sono indubbiamente buone notizie, in astratto. Il mercato del lavoro statunitense corre più del previsto, anche se non ad un tasso così generoso, ma è soprattutto l’Europa a mostrare qualche segnale circa i cambiamenti di policy.
La linea del rigore tedesco continua a fallire, come si può notare facilmente notato che gli Stati con rating massimo sono sempre meno numerosi, ma anche senza considerare le agenzie di rating si notano segnali piuttosto fragili circa l’economia a dodici stelle. I Paesi Bassi, ad esempio, complice il progressivo deterioramento dell’economia, hanno in programma di seguire una linea più francese e, se permesso, più logica, vale a dire spostare il processo di consolidamento dei conti pubblici a quando la crescita sarà meno fragile. In altre parole, assumere politiche recessive in un contesto espansivo invece di politiche recessive in un contesto recessivo, che logicamente genera nuova recessione. L’austerità buona è quella che non strozza i popoli.
Intanto l’Europa si prepara al meeting del 14-15 marzo con qualche timida novità: gli investimenti per la crescita, almeno secondo Van Rompuy, dovrebbero essere “scontati” all’interno del calcolo del deficit, pur rimanendo all’interno di un perimetro che eviti le spese pazze e i deficit eccessivi. Anche qui la linea è giusta in astratto, ma è comunque necessario un’altra stagione di riforme europea che renda più ottimale l’area valutaria dell’euro, con particolare riguardo alle politiche del lavoro, dell’impresa e fiscali.
Da tenere conto l’opposizione dei Paesi core: in Finlandia e Germania cresce l’insofferenza verso l’Europa e verso i PIIGS, specie in vista delle elezioni tedesche. “La loro (dei PIIGS) crisi non la paghiamo” sembra essere il motto dei primi della classe, peccato che se uscissero dall’euro i danni sarebbero ingenti: solo in Germania sarebbero a rischio diversi milioni di posti di lavoro. Un suicidio economico, insomma, per cui le parole degli anti-euro, come al solito, vanno lette come un rantolo dell’ignoranza.
Passando all’agenda macroeconomica della settimana entrante, si segnala per lunedì il dato definitivo del PIL italiano: il risultato, pessimo, dovrebbe essere al -2,7% annuale. Si ricorda, tanto per ridere, che nel dicembre 2011 la stima per il 2012 era di -0,4%; per il 2013 era invece di +0,3%, mentre nel dicembre 2012 la stima era per un -1%. Sentire odore di manovra è lecito.
Martedì conosceremo il livello dei prezzi tedesco: l’inflazione su base mensile dovrebbe essere salita dello 0,6%, per un rialzo annuo dell’1,5%, ben al di sotto, dunque, della soglia del 2% che rappresenta il target massimo per la BCE. Siamo alla vigilia di un taglio dei tassi? Anche l’inflazione italiana, in arrivo lo stesso giorno e storicamente più veloce di quella tedesca, rimarrà sotto la soglia del 2% annuo, almeno secondo gli analisti. Andranno inoltre in asta BOT a 3 e 12 mesi.
Mercoledì conosceremo la produzione industriale mensile dell’Eurozona: si attende un -0,1% che seguirebbe il precedente +0,7%. Sul mercato dei titoli di Stato, in asta il BTP a 3 anni e lo Schatz tedesco a 2. Nel pomeriggio il dato più importante saranno le vendite al dettaglio USA: atteso uno miglioramento a +0,5% da +0,1%, ma non per i beni essenziali, previsti fermi a +0,2%.
Giovedì le vendite al dettaglio spagnole dovrebbero segnare l’ennesimo tracollo a -11,2% dopo il -10,7% del mese precedente. La Banca Nazionale Svizzera dovrebbe lasciare i tassi invariati allo 0%. Negli USA usciranno i soliti jobless claims: i nuovi richiedenti un sussidio dovrebbero salire a 350mila da 340mila.
Venerdì sarà ancora giornata di inflazione: per l’Eurozona il tasso dovrebbe attestarsi sull’1,8% (ancora sotto il famigerato 2%), mentre negli USA dovrebbe salire a +1,9% da +1,6%, anche se l’indice core dovrebbe salire dall’1,9% al 2% (in tutti e tre i casi sempre su base annua). Sempre rimanendo fra i dati a stelle e strisce, la produzione industriale dovrebbe tornare positiva a +0,4%, mentre l’indice dell’università del Michigan della fiducia delle famiglie dovrebbe salire a 78 da 77,6 (stima preliminare).
Se l’articolo ti è piaciuto, puoi incoraggiarmi a scrivere ancora con una donazione, anche piccolissima. Grazie mille in ogni caso per essere arrivato fin quaggiù! Dona con Paypal oppure con Bitcoin (3HwQa8da3UAkidJJsLRfWNTDSncvMHbZt9).