Come sappiamo, sulla benzina gravano alcune imposte, chiamate accise, che sono state introdotte negli anni per finanziare alcuni eventi, interventi e disastri nel mondo e in Italia. Trovate la lista completa qui.
Come si può notare, tutte le accise si spiegano in qualche modo da sole (terremoti, guerre, crolli di dighe e autoferrotranvieri non hanno bisogno di particolari descrizioni, no?), ma ce n’è una che fa eccezione, ovvero l’accisa che serve a finanziare la crisi di Suez. Che accidenti successe a Suez nel 1956? Non ce ne frega: se siete curiosi, c’è Wikipedia. Fatto sta che l’Italia con quel conflitto, ad eccezione di interventi diplomatici pro domo sua, che fecero storcere il naso a Regno Unito e Francia, non c’entrò granché, per cui che successe a Suez ha relativamente poca importanza.
Il motivo (quello storico, per essere precisi) per il quale continuiamo a pagare 14 lire su ogni litro di benzina che mettiamo nei serbatoi non mi era chiaro. Certo, c’entrava il fatto che i commerci, specie petroliferi, attraverso il canale erano resi più complicati, ma, esattamente, a che diamine serviva?
Cercare su Google, provando varie combinazioni di parole chiave, sottraendone altre come Vajont e Firenze per non ottenere l’onnipresente lista delle accise presente su qualunque sito italiano, non è servito a nulla perché sembra che nessuno si sia posto il problema negli ultimi anni: forse tutti danno per assodato che dobbiamo pagare per la crisi di Suez.
(Oppure ho sbagliato qualcosa io. Ma vabbè.)
Allora sono andato sul sito della Camera per cercare il provvedimento con il quale è stata istituita l’accisa, ma anche qui ho avuto scarsa fortuna, forse perché il sito storico della Camera cerca le cose in modo che ho qualche difficoltà a capire.
Sono quindi andato sull’archivio storico de La Stampa, che per gli appassionati di storia recente è praticamente pornografia (e perciò non ci volevo andare: mi sarei perso a leggere articoli di settant’anni), e finalmente ho trovato la risposta. SPOILER: ho scoperto che è l’unica accisa che c’entra direttamente con la benzina e che non serve a finanziare chissà che chissà dove.
Il 22 novembre 1956, con un decreto legge, il Governo decise di sostenere l’importazione di oli minerali greggi naturali (e altra roba) introducendo un rimborso per gli importatori per far fronte ai maggiori costi dovuti ai piccoli inconvenienti avvenuti presso il Canale di Suez che rendevano un po’ più complicato il passaggio delle petroliere dal Mar Rosso al Mar Mediterraneo.
Per pagare questo rimborso si introdusse questa “sovraimposta” o “sovraprezzo” (non sapevano neanche come chiamarla) sulla benzina: in questo modo gli importatori avrebbero continuato a fornire regolarmente gli oli minerali eccetera allo stesso prezzo di prima, evitando che gli inevitabili aumenti del combustibile facessero aumentare tutto il resto. Insomma, gli automobilisti pagarono per tutti per evitare che l’inflazione partisse per la tangente, specie sul cibo: se aumenta il prezzo del carburante del trattore che serve per il grano crescerà il prezzo del grano; se aumenta il costo dell’elettricità per far andare il mulino per macinare il grano crescerà il costo della farina; se aumenta il costo della nafta per il furgone per il trasporto della farina dal panettiere aumenterà il costo del pane. E così via. Un casino, per un Paese che cercava di trovare un attimo di pace.
Ora, la crisi di Suez finì nel marzo 1957, il canale fu riaperto e tutti vissero felici e contenti, tranne De Gaulle, l’Impero Britannico e gli automobilisti italiani: l’imposta addizionale sulla benzina per finanziare i rimborsi agli importatori di petrolio è sopravvissuta quasi 60 anni. Questo significa che stiamo ancora pagando gli importatori per delle spese che non stanno più sostenendo? Ovviamente no, ed è qui che le cose si fanno interessanti.
A quasi un anno da quel famigerato decreto legge, per la precisione il 14 ottobre 1957, il deputato Cuttitta chiese in Aula «se [i ministri delle Finanze, dell’industria e del commercio], non ritengano di dovere apportare una riduzione nel prezzo della benzina onde ragguagliarlo alla misura che esso aveva al verificarsi della crisi di Suez». La risposta del sottosegretario di Stato per l’industria e il commercio Micheli è a suo modo spettacolare.
Il sottosegretario ricorda che un altro decreto approvato pochi mesi prima aveva cancellato il rimborso agli importatori senza mettere mano al “sovraprezzo”. Il motivo è semplice: le domande di rimborso presentate dagli importatori e che erano state accettate dal governo ammontavano a 46 miliardi di lire, ma il gettito dell’imposta fino a quel momento non arrivava neanche a un terzo del totale (e per giunta lo Stato aveva già liquidato 30 miliardi di rimborsi). Per questa ragione si decise di non abolire il sovrapprezzo di 14 lire al litro almeno fino al 31 dicembre 1957. Il sottosegretario precisò che «ogni previsione per l’epoca posteriore al 31 dicembre 1957… non era opportuna», non lasciando presagire alcunché di buono.
Forse l’oscuro sottosegretario democristiano (molto oscuro: neppure una voce su Wikipedia, al momento (( Per i curiosi: era umbro del 1911, figlio di un falegname e di una casalinga; era un impiegato ed aveva la media superiore; fece molto per le sue zone d’origine, ma forse non per il resto del Paese se quasi nessuno se ne ricorda. Fu comunque eletto per undici legislature, e nel 1972 fu eletto sia alla Camera che al Senato.)) ) non pensava che 59 anni dopo le cose sarebbero rimaste dove le aveva lasciate lui, ma comunque anche lui riuscì a godersi la crisi di Suez per un po’ di tempo. Fece la fine di De Gaulle e dell’Impero Britannico nel 1995, il 25 novembre, 39 anni e tre giorni dopo l’introduzione del “sovraprezzo”.
Già nel corso dell’estate il governo aveva precisato che a fine 1957 il gettito non avrebbe coperto che la metà dei rimborsi, secondo le previsioni, e che quindi il “sovraprezzo” sarebbe “sopravissuto” almeno fino al 1958.
Ci provarono ad eliminarla, quella tassa odiosa, davvero. Nell’agosto del 1957 venne proposto un ordine del giorno che avrebbe dovuto impegnare il Governo a eliminare il “sovraprezzo”: come un film hollywodiano che vuole narrare una storia di redenzione senza darle un lieto fine che l’avrebbe resa finta, l’ordine del giorno non passò per appena un voto. Era il 2 agosto 1957, e forse quel giorno si decise definitivamente che la benzina italiana sarebbe diventata il bancomat buono per finanziare ogni grande occasione, pardon, disastro.
Non sono andato avanti con le ricerchine, ma immaginare quello che è successo non è difficile: piano piano i politici e i cittadini italiani si abituarono a pagare quelle 14 lire al litro (anche perché la questione non era poi così dolorosa per il portafogli di chi poteva permettersi un’automobile, e ovviamente chi acquistò un automobile in seguito non percepì alcun aumento del prezzo, ed era quasi contento di pagarla: erano quasi gli anni Sessanta, del resto, o no?) e tutti se ne dimenticarono. Al governo, probabilmente, qualche miliardo di gettito in più faceva comodo e fu così che, come tutte le altre accise, anche quella per il finanziamento della crisi di Suez è arrivata ai giorni nostri.
Fun fact: il 23 novembre 1956 La Stampa diede il “benvenuto” alla nuova imposta scrivendo che «l’Italia è il paese che ha adottato la misura più lieve per fronteggiare la crisi: per ora soltanto un aumento di 14 lire al litro per la benzina».
Soltanto?
(Qui c’è la clip)
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Ricerca molto interessante! Mi è piaciuto molto il modo con cui hai esposto l’argomento 🙂