Per International Business Times
Il premier sloveno Alenka Bratusek rassicura: la Slovenia non ha bisogno della Troika, né dei suoi aiuti. Il governatore della Banca Centrale Slovena, Josef Makuch, sostiene la prima premier donna del Paese, ma ricorda che il settore bancario cipriota è troppo debole, e necessita di essere puntellato.
Si tratta di un copione già visto in altre capitali europee (fra cui Madrid e Dublino) e anche a Lubiana non si dorme tranquillamente. Negli anni passati le banche hanno sostenuto il settore edilizio e, sempre seguendo la solita sceneggiatura, sono rimaste scottate dallo scoppio della bolla immobiliare. Non sono mancate partecipazioni ad operazioni più sofisticate, come i management/levereged buy-out, che si erano rivelate anche piuttosto redditizie. Pur di spingere gli utili, però, le banche non hanno esitato a dare in prestito più di quanto avessero ricevuto in depositi, compensando la differenza con prestiti interbancari internazionali, legando il destino delle banche slovene a quelle internazionali. E sappiamo com’è andata dal 2007 a questa parte.
Il resto continua ad essere storia nota: doppia recessione, prestiti che non ritornano, bilanci in sofferenza, credito che non circola più. Interviene lo Stato (talvolta troppo corrotto per intervenire efficientemente), e anche la Slovenia entra nel vortice dell’eurodebito che sta risucchiando l’Europa. Per il FMI servono 1,8 miliardi di euro per ricapitalizzare il settore bancario, solo il 5% del PIL sloveno, ma i numeri delle sofferenze sono più pericolosi: i non performing loans, i prestiti in sofferenza, sarebbero di 7 miliardi di euro, mentre lo Stato deve trovare 3 miliardi di euro per non morire di deficit (escludendo gli 1,8 miliardi necessari per le ricapitalizzazioni).
Peccato però che la Slovenia abbia già difficoltà a finanziarsi sui mercati dei capitali (il titolo del Tesoro pubblico a 10 anni è volato oltre il 6% nelle ultime settimane, una quota insostenibile), e la situazione è destinata a peggiorare, secondo diversi analisti, visto che le banche (che in altri Paesi, come in Italia, sostengono il debito pubblico comprandolo a mani basse, anche a costo di innescare una nuova bomba) sono in fila per ottenere un po’ di carità di Stato (che tra l’altro è fra i maggiori azionisti del sistema bancario). Anche Bratusek, insomma, sembra destinata ad andare col cappello in mano da Christine Lagarde, capo del FMI, per ottenere aiuti internazionali. Per fortuna il nazionalismo bancario sloveno degli anni scorsi ha reso la bomba slovena meno sistemica: austriaci, italiani, francesi, fra gli altri, sono esposti per solo 9,6 miliardi sulle banche slovene. Ma è un’arma a doppio taglio: adesso gli stranieri rifiutati in passato difficilmente torneranno in soccorso di Lubiana.
Il governo sloveno ha due mesi di tempo per trovare una soluzione: il piano principale attualmente in esame prevede la creazione di una bad bank che rilevi i titoli tossici nella pancia delle banche, per poi ricapitalizzarle e privatizzarle.
Manca il tempo, ma soprattutto mancano i soldi. Decisamente la Slovenia è un film già visto.
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