Borse a picco nella giornata di venerdì per via dei timori che non verrà trovato un accordo sul fiscal cliff, il precipizio fiscale che, a legislazione corrente, riporterebbe gli Stati Uniti in recessione. Il Congresso, spaccato fra la maggioranza repubblicana alla Camera e quella democratica al Senato, sta lavorando alacremente a una soluzione che possa soddisfare le parti, ma le intransigenze a riguardo sono granitiche.
Da un lato il presidente democratico Barack Obama è fermo sulle sue posizioni e continua ad affermare che non lascerà passare alcuna proposta che non preveda un aumento delle tasse agli statunitensi con un reddito superiore ai 250mila dollari; dall’altro l’ala più estremista del GOP, i Tea Party, ha messo in difficoltà il proprio leader, lo speaker John Boehner, respingendo la proposta di quest’ultimo che prevedeva un aumento delle tasse per i redditi superiori al milione di dollari.
Un’infografica del Washington Post aiuta a capire di quali cifre stiamo parlando. Il quintile della popolazione con il reddito più alto pagherebbe con il fiscal cliff 14mila dollari di tasse in più; quello precedente circa un quarto di tale cifra e via scalare verso i ceti più poveri. La proposta di Obama vorrebbe evitare una stangata che varrebbe circa 3500 dollari a famiglia in media, facendo (almeno) cadere i tagli fiscali decisi da George W. Bush solo per i redditi superiori a 250mila dollari, che valgono meno di 3300 dollari.
In questi termini si tratterebbe, per i più poveri fra i ricchi (ovvero chi ha un reddito pari esattamente a 250mila dollari), di devolvere un ulteriore 1,3% del proprio reddito allo Stato. Per i Repubblicani e soprattutto per i Tea Party questo è inaccettabile, e pertanto rifiutano ogni accordo. Poco importa se l’aumento automatico delle tasse per tutti (a partire da 400 dollari per i più poveri) e il taglio automatico su spesa, pensioni ed esercito costeranno all’economia il 4% del reddito nazionale.
I tempi per una effettiva risoluzione del fiscal cliff sono ormai terminati, e il Congresso sta lavorando ad una soluzione di compromesso che permetta di tirare avanti le trattative ancora per qualche tempo, mentre un’altra tegola cade sui bilanci statali: lunedì sarà raggiunto il tetto del debito pubblico approvato dal Congresso, e il Governo USA avrà soldi per continuare le proprie attività solo fino a febbraio, dopodiché sarà lo shutdown.
Con tutti questi guai e i dubbi sulla capacità del Legislatore di risolverli, l’affidabilità degli USA sembra lievemente compromessa.
L’agenda macroeconomica è piuttosto scarna per via delle festività. Mercati europei chiusi o a mezzo servizio lunedì, mentre chiuderanno insieme a quelli USA il giorno di Capodanno.
Si ritornerà al lavoro mercoledì con i sondaggi dei direttori degli acquisti PMI in Italia, Francia, Germania, Spagna, Europa e USA (indice ISM): tutti gli indici dovrebbero attestarsi sotto la soglia dei 50 punti, con esclusione degli USA, leggermente al di sopra di tale livello e dunque fuori dalla zona recessione, fiscal cliff permettendo. La Germania rilascerà il dato sull’inflazione, che dovrebbe attestarsi in aumento su base mensile, ma comunque al di sotto del 2% su base annuale.
Giovedì conosceremo il dato sulla disoccupazione tedesca, con tasso atteso al 6,9%, senza cambiamenti rispetto alla rilevazione precedente. Sono attese stabili anche le nuove richieste di sussidi di disoccupazione negli USA, intorno alle 350mila unità.
Venerdì sarà invece giorno del report mensile sul lavoro statunitense: il tasso di disoccupazione è atteso stabile al 7,7%, come pure i nuovi posti di lavoro in settori non agricoli creati nel mese di dicembre, che dovrebbe risultare pari alla modesta cifra di 145mila unità. Saranno rilasciati anche i PMI di Italia, Francia, Germania, Spagna, Europa: anche questi indici dovrebbero attestarsi sotto i 50 punti, con l’esclusione di quello tedesco. Gli USA rilasceranno anche l’ISM non manifatturiero, atteso stabile in zona 54 punti. Per l’Italia l’inflazione dovrebbe registrare un aumento su base mensile dello 0,2%, ma una frenata su base annuale, a +2,4%.
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