La storia di Alitalia fu una delle prime “inchieste” pubblicate sulle pagine di questo blog, nato il primo gennaio di (quasi) cinque anni fa. La trovate qua, dal 1947 al 2007, in pillole assai striminzite, ma che rendono ben chiaro come mai la compagnia di bandiera italiana sia diventata un’azienda stracotta. Altri post successivi, che trovate linkati (parzialmente) qui sotto, raccontano invece la storia recente e anche quella futura, che riassumo di seguito.
Il governo Prodi voleva vendere Alitalia ad AirFrance per un paio di miliardi di euro e un taglio di duemila posti di lavoro.
Il nuovo governo Berlusconi, invece, blocca tutto per vendere Alitalia a una cordata di imprenditori italiani senza soldi (come quelli che si comprarono Telecom, la quale poi è finita in mano agli spagnoli di Telefonica: la storia si ripete). Vendere per modo di dire, visto che vengono spesi altri tre o quattro miliardi in un’impresa stracotta. E non consideriamo il fatto che gli imprenditori italiani promettevano ben settemila posti di lavoro persi. L’importante era preservare l’italianità della compagnia e, soprattutto, far fare un po’ di profitto agli amici, fra cui c’era pure Corrado Passera, oggi ministro di Monti, all’epoca alla guida dell’advisor dell’operazione, ovvero Intesa Sanpaolo.
A settembre 2008 Tremonti a Ballarò urlava che dovevamo dimenticarci di AirFrance. A gennaio 2009 AirFrance rileva un quarto della nuova Alitalia sgravata dai debiti (rimasti a noi contribuenti italiani) per 300 milioni. Dopodiché si mette in attesa degli eventi.
Cinque anni dopo Alitalia, un’azienda già stracotta, diventa strabollita. Perdite sempre più gravi dovute a un modello di business sbagliato alla radice, capitale bruciato e un solo socio in grado di rimpolparlo: AirFrance. La compagnia francese, come ampiamente previsto su queste pagine, finirà per rilevare l’azienda italiana per una frazione di quanto proposto quando c’era Prodi: 300 milioni forse sono sufficienti.
L’alternativa sarebbe la rinazionalizzazione, ovvero altri soldi pubblici spesi in una azienda irrecuperabile e le cui quote di mercato sono irreversibilmente destinate ad andare ai concorrenti esteri. Come salvarla? Trasformandola in compagnia low-cost locale? Farebbe realmente concorrenza a competitor ben più esperti come RyanAir e EasyJet? Cercare di trovare qualche buco nel mercato dei voli a lungo raggio? Ma non è una scelta che andata fatta un bel po’ di anni fa, nel corso dei quali altri competitor hanno già conquistato spazi? Alitalia non è riuscita neppure a mettere a frutto il monopolio legale sulla tratta Roma-Milano, perché nel mentre è arrivato il treno superveloce! L’unica che possa avere senso è la proposta che AirFrance insegue dal 2007: Alitalia deve portare i passeggeri a Parigi, e da lì AirFrance li porta dove vogliono.
Morale della favola. Sotto Prodi avremmo perso una compagnia di bandiera, guadagnato 1,7 miliardi e salvato posti di lavoro. Grazie a Berlusconi ci ritroveremo senza una compagnia di bandiera, con diversi miliardi perduti e con meno posti di lavoro in giro. Poi ci sarebbe la questione Malpensa di contorno, ma lasciamo perdere.
Caso vuole che la questione Alitalia sia destinata ad riesplodere proprio durante la campagna elettorale, offrendo argomenti buoni a sottolineare quanto il nome Silvio Berlusconi significhi umiliata povertà, sprechi di denaro pubblico e grassi affari per gli amici degli amici.