Dovessi fare una grezzissima proposta per uscire dalla crisi, penserei che i seguenti punti non siano poi così sciocchi (sarà tipo la dodicesima volta che propongo cose del genere in quattro anni, ma repetita iuvant, dicono). Chiaramente è più un wishful thinking che una cosa concreta, ma l’obiettivo è far capire un certo concetto.
Premessa: i punti sottocitati non sono “a piacere”. Non si possono fare solo i primi (come vorrebbero i tedeschi e i loro compari), né solo i secondi (come vorrebbero, tra gli altri, statisti ultrakeynesiani vongoloidi presenti nella Prima, Seconda e Terza Repubblica italiana), bensì ne servono almeno un po’ di entrambi. Bisogna partire da due assunti fondamentali, e cioè i) che i Paesi periferici sono effettivamente Paesi irresponsabili con finanze pubbliche allegre e che vanno fermati; ii) questa è una crisi sistemica che non può essere risolta a colpi di mazza ferrata tedesca né con il mito della svalutazione, bensì con la presa di coscienza che l’Europa è una realtà abbastanza integrata che se affondano un paio di Paesi affondano tutti; in altre parole, o se ne esce insieme o si muore tutti. Punizioni individuali per gli Stati e finanza allegra per tutti non sono la soluzione, ma il problema che sta approfondendo la recessione in Europa.
Venendo al dunque:
- riduzione della spesa corrente (aumentare quella in conto capitale sarebbe auspicabile, ma non si può aver tutto dalla vita);
- rimodulazione delle aliquote e degli scaglioni per permettere la riduzione delle imposte per le classi medie e basse, per le imprese, sugli investimenti e sul risparmio in generale per spingere i consumi e far sì che la ricchezza venga investita, non pigramente accumulata [il principio sarebbe più investi, meno ti tasso] (molto auspicabili ulteriori incentivi fiscali per favorire comportamenti virtuosi – ad esempio fare in modo che le piccole e medie imprese creino consorzi di ricerca e sviluppo, invece di fare la guerra dei poveri);
- razionalizzazione dei sussidi: le imprese vecchie, che sono tenute in vita solo dal contribuente, vanno lasciate al loro destino; i sussidi risparmiati andrebbero più proficuamente investiti nelle imprese che vogliono nascere e crescere;
- liberare la crescita soffocata dalle rendite di posizione (in altre parole, liberalizzazioni feroci, anche coi carri armati – [sarebbe auspicabile che questo avvenisse senza legge marziale, e questo avverrebbe se tutte le forze politiche convergessero sul punto, non dando alcun tipo di appiglio a notai, farmacisti, tassinari eccetera]);
- politica monetaria più espansiva: neanche mi sogno la BCE come stamperia impazzita, ma dando un’occhiata all’inflazione, direi che c’è spazio di manovra per essere accomodanti e, soprattutto, per permettere alla BCE di puntare il bazooka;
- maggiore integrazione europea, innanzitutto in tema di vigilanza bancaria e fiscale: così come la BCE è indipendente, così dovrebbe esserlo la Commissione Europea, pronta a censurare i furbetti;
- investimenti per lo sviluppo europeo in particolare verso i Paesi più periferici, a condizioni piuttosto stringenti, non solo con riguardo ai conti pubblici (che devono essere in ordine, pur considerando il ciclo economico), ma anche riguardo l’ambiente giuridico: questo significa che se un Paese non si dota di vere, efficaci e dure norme volte a contrastare la corruzione (anche garantendo l’incompatibilità fra incarichi pubblici e rinvii a giudizio), gli sprechi, le evasioni, le elusioni e la criminalità organizzata, allora quel Paese non deve ricevere soldi europei.
E perché, a meno di un cambiamento epocale nella mentalità italiana ed europea, questo rischia di non avvenire mai:
- con la spesa corrente ci mangiano troppe persone intorno alla politica;
- senza tagli di spesa, lo spazio di manovra per i tagli alle imposte sono un intorno di zero;
- metà dello schieramento politico e i sindacati si opporrebbero alle chiusure poiché causerebbero licenziamenti: il fatto che quelle imprese chiuderanno comunque in futuro (se tutto va male, a causa della bancarotta dello Stato) e che quei soldi potrebbero essere spesi per creare più posti di lavoro di quelli che verrebbero distrutti non viene neanche preso in considerazione;
- la politica attuale è troppo concentrata sul raccogliere voti che sul fare la cosa giusta: nel momento in cui una parte politica decidesse di andare contro questi tumori dell’economia, il resto dello schieramento correrebbe a intercettarne i voti invece di lasciarli morire di inedia;
- la Germania teme l’inflazione: la Germania è il branco di elefanti contro Timothy Mouse con il self-control di Mammy Two Shoes davanti a Jerry;
- la Francia non vuole un’Europa forte e in questo è spalleggiata dalla Gran Bretagna (altre opposizioni nascono su altri tipi di integrazione: per esempio la Germania non vuole l’integrazione della vigilanza bancaria): il risultato è un’Europa con la gambe spezzate in più punti, dove non si taglia una pachidermica PAC,masi cala la mannaia su ricerca e sviluppo ;
- in mancanza di un’autorità forte che punisca i furbetti, le legislazioni volte a favorire gli investimenti, la legalità e la meritocrazia sarebbero solo rivolti ad aggiustamenti di facciata, lasciando tutto il marcio. La Germania potrebbe accorgersene (e lo farà), e non potrei biasimarla se non volesse staccare assegni; d’altro canto la Germania non vuole che la periferia europea si sviluppi (magari facendo nascere concorrenti alle imprese tedesche), ma solo che sopravviva e continui a comprare i suoi prodotti.
Non sono pessimista, ma da come stanno le cose è difficili essere ottimisti. Con il tempo le cose andranno sicuramente meglio, il problema è quanto andranno peggio prima.