Borse generalmente in territorio negativo nel corso dell’ottava conclusasi venerdì con una giornata di forti ribassi a seguito del dato sulla disoccupazione USA che ha deluso le attese degli analisti: il mercato del lavoro USA continua a produrre troppo pochi occupati e non sembra essere ancora in grado di assorbire la disoccupazione prodottasi negli ultimi anni di crisi. Il dato ha sorpreso negativamente, ma neppure troppo: già da diverso tempo, infatti, il tasso di disoccupazione continua sì a scendere, ma non grazie ai posti di lavoro creati, bensì soprattutto per l’uscita dalle statistiche di potenziali lavoratori che hanno smesso di cercarlo perché scoraggiati.
Non c’è crescita senza lavoro, conviene ricordarlo, e per questo le prospettive per il futuro sono tutto fuorché buone: per quanto riguarda l’Europa, abbiamo visto mosse di alleggerimento da parte delle banche centrali, sia con mezzi convenzionali (la BCE ha ridotto i tassi dall’1% allo 0,75%) sia non convenzionali (la Bank of England ha ampliato il suo programma di alleggerimento quantitativo). Il problema è che nel contesto attuale si tratta di una toppa volta solo a galleggiare ancora un po’: l’economia europea rischia ancora di essere strozzata dalle manovre di austerità introdotte o da introdurre in troppi Paesi contemporaneamente. La logica è evidente: se troppi Paesi smettono di spendere insieme e/o iniziano a tassare, molti di tali Paesi finiranno per vedere la propria crisi aggravarsi a causa sia di export mancato (i Paesi UE sono molto interdipendenti fra loro) sia di consumi interni depressi dall’erosione del debito disponibile. E se calano export, consumi e spesa pubblica, e se gli investimenti restano depressi (molto probabile in un contesto di prevedibile aumento della pressione fiscale), non appare per nulla chiaro come il PIL (che è la somma degli elementi precedenti) possa crescere. Il risultato, lo dice sempre la logica, sono aziende che falliscono e lavoratori lasciati a spasso.
La mossa delle banche centrali, della BCE soprattutto, va comunque nella direzione giusta e sono conseguenza delle decisioni di principio prese nel corso del consiglio europeo del 29 giugno, tuttavia l’incertezza circa la loro attuazione (troppi Paesi già manifestano mal di pancia), la loro insufficienza e la stretta sui bilanci rischiano di avere come unico effetto il non ricadere in recessione. Decisamente troppo poco per le sempre più folte coorti di persone in difficoltà.
Per quanto riguarda invece l’agenda della prossima settimana, lunedì è previsto un discorso del presidente della BCE Mario Draghi. Martedì conosceremo il dato sulla produzione industriale italiana, che dovrebbe vedere la sua velocità di caduta attenuarsi. Mercoledì occhi puntati innanzitutto sull’indice dei prezzi al consumo della Germania, Paese particolarmente attento all’inflazione (specie adesso che l’intervento della BCE potrebbe farla ripartire): il dato dovrebbe comunque confermarsi sui livelli dell’ultima rilevazione. Negli USA sapremo se il deficit nella bilancia commerciale si ridurrà, come si aspettano gli analisti, mentre più tardi verranno pubblicate le sempre attesissime minute della FED, ovvero i verbali che offrono agli investitori il resoconto dell’ultima riunione del FOMC, l’organismo della banca centrale USA che decide sui tassi di interesse.
Giovedì atteso il dato sulla produzione industriale europea, che dovrebbe decrescere a un tasso inferiore rispetto alla rilevazione precedente. Nel pomeriggio conosceremo il livello delle nuove richieste di disoccupazione USA, previste stabili sulle 375mila unità. In serata è atteso un altro discorso del presidente Draghi. Venerdì attesi soltanto l’indice dei prezzi al consumo USA (la misura “core”, cioè depurata delle componenti più volatili, dovrebbe rimanere ferma a +0,2% mese su mese) e la stima preliminare dell’indice della fiducia dei consumatori USA elaborato dall’università del Michigan, atteso anch’esso stabile.