Non ricordo esattamente il casus belli per cui smisi di leggerlo (già negli ultimi mesi continuavo a leggerlo, ma con crescente disgusto), ma per rinfrancare la mia scelta è bastato vedere mio padre leggerlo ieri in treno.
Parto dalla fine. Nelle pagine interne ho scorto una foto dell’economista con idee strampalate di cui ho già scritto qui, il quale,intervistato, suggeriva un’idea populista quanto strampalata, e cioè la nazionalizzazione delle banche (così, tanto per aumentare le inefficienze del sistema, per stringere i tentacoli della politica sulle medesime e per creare nuovi Guarguaglini e relative buonuscite milionarie a spese del contribuente).
In prima pagina, invece, esplodeva il solito populismo: in taglio medio si ricordava che le banche ingoiano soldi pubblici e poi “ridono in faccia” a chi chiede un mutuo. E qui bisogna chiarire un po’, perché c’è evidente schizofrenia.
Un altro dei cavalli di battaglia degli indignados alle vongole (di cui il Fatto si è spesso esposto come portavoce) è che le banche sono passate dalla finanza al servizio dell’economia alla finanza creativa prima e alla finanza cretina (cioè tutta matematica e poco buonsenso) poi. Verissimo.
Gli indignados chiedono regole più stringenti. Ottimo.
Le regole più stringenti ci sono già e le banche da tempo si stanno attivando per rispettare, ad esempio, queste regole qui. Però nel frattempo cosa è successo? Facile: c’è stata una crisi economica seguita da un’altra crisi economica; diversi Stati europei sono finiti nella m…, e i titoli di Stato di molti e sempre più Paesi sono passati dall’essere sicuri a quasi sicuri e dall’essere quasi sicuri a non valere più una mazza. Si pensi ai titoli italiani, allo spread e cose varie.
Sicché è partita la corsa al funding, ovvero le banche si sono messe alla ricerca dei quattrini necessari per rispettare le regole più stringenti che venivano loro imposte. Purtroppo, però, i soldi sono pochi e per rispettare i requisiti di capitale, le banche si sono mosse come potevano. Per esempio qualche mese fa Deutsche Bank ha coperto la propria esposizione sui titoli di Stato italiani per evitare il rischio di intaccare il proprio capitale, solo per ricordare il caso più eclatante. Altre banche hanno tentato aumenti di capitale (Unicredit in queste settimane ne sta tentando uno che tenderei a giudicare piuttosto disperato). Tuttavia gli strumenti convenzionali non hanno funzionato e qui è intervenuta la BCE con il quasi-QE delle settimane passate.
Con il quasi-QE la BCE ha quasi-aumentato la sua base monetaria (detto in termini spiccioli: ha quasi-stampato moneta), sperando in questo modo che almeno una parte di questi soldi freschi finisse nel circuito economico. Secondo Société Générale, però, sinora non si è avuto un aumento decisivo della massa monetaria M3 (che anzi è crollata), cioè della moneta creata dalle banche, con buona pace degli economisti austriaci scleroweimeriani (cit.).
Che significa: significa che le banche usano i soldi prestati dalla BCE per acquistare titoli giudicati come “a basso rischio” dalle regole stringenti che sono state loro imposte, e non per acquistare titoli a rischio un po’ più alto (sempre secondo le regole più stringenti di cui sopra), come ad esempio i mutui. Ricordate la crisi dei subprime? Bene, molti mutui che prima non erano subprime, a causa della crisi economica in cui siamo immersi, oggi lo sono.
Chiariamo la schizofrenia: oggi molta gente chiede che le banche non rischino troppo, ma anche che rischino emettendo più mutui di quello che serve. Botte piena e moglie ubriaca.
Esempio molto semplificato. Stando alle regole che sono state imposte alla banche (cioè dai governi, cioè da noi), le banche devono avere “in cassa” una certa percentuale dei soldi che hanno investito in altri strumenti giudicati come rischiosi. Più uno strumento è rischioso, più capitale devono avere in cassa.
Che succede se uno strumento finanziario sicuro o quasi diventa nel giro di un attimo della spazzatura?
Immaginate un po’ quindi che succede se una banca ha in pancia miliardi di titoli di Stato di un Paese che passa da uno spread di 150 a uno spread di 500 nel giro di un anno: aumenta il rischio, aumenta il capitale che noi gli chiediamo di tenere in cassa. Per farmi capire, qualche esempio a numeri casuali: se investo un euro in BOT a tre mesi devo mettere da parte dieci centesimi di capitale; se lo investo in BTP a 10 anni devo mettere da parte 30 cent; se lo investo in mutui, 50 cent; se investo in derivati, devo mettere da parte un euro intero ogni euro investito.
I mutui, infatti, sono tutt’altro che sicuri, si veda la Spagna: proprio in questi giorni si sta verificando di quanti altri accantonamenti le banche spagnole avranno bisogno per resistere alle sofferenze provenienti dai mutui già concessi, figuriamoci se avranno soldi per emetterne di nuovi.
Per questo o le banche aumentano il capitale o diminuiscono il rischio, tagliando sugli strumenti rischiosi. Oggi le banche stanno tagliando sugli investimenti in titoli di Stato (perché il BTP a 10 anni rende il 7%? Perché le banche li stanno vendendo), mentre erogano meno mutui. C’è di peggio: a furia di chiedere regole sempre più stringenti si sta affrettando il passo verso le regole di Basilea III, che già da anni vengono viste come foriere di credit crunch.
Il credit crunch, in ultima analisi, rischia di generare una catastrofe: noi chiediamo alle banche di essere più rigorose, di non rischiare troppo, di mettere da parte sempre più capitale, ma di capitale ce n’è sempre meno, e sempre meno ce n’è per i mutui. In questo modo costringiamo le banche a non emetterne di nuovi, o addirittura a ritirare le linee di credito esistenti, mandando in crisi le aziende, costringendole a licenziare, di conseguenza le persone non potranno pagare i propri mutui e perderanno pure le case, le banche si ritroveranno nuove perdite, saranno costrette ad accumulare altro capitale come noi gli abbiamo imposto, quindi taglieranno, tra l’altro, su altri mutui e via di seguito, finché non implode tutto.
La ricetta per uscire da questo circolo, a mio avviso, è sempre la stessa.
Premessa: le banche servono. Punto. Senza banche si torna all’Alto Medioevo. Punto. Senza banche scompaiono milioni di posti di lavoro. Punto. Servono regole, ma non populiste.
Detto questo, vediamo che devono fare, a mio modesto avviso, gli Stati europei.
La Grecia, il popolo greco, deve pagare per le proprie scemenze: hanno votato non una ma più volte dei criminali bipartisan che hanno falsificato i conti pubblici, nonostante i moniti dell’Europa, che dal dicembre 2004 sentiva puzza di bruciato e chiedeva alla Grecia di verificare i conti pubblici con cui (grazie al decennale governo di sinistra) entrarono in Europa, ma poi la destra, che andò al potere nel 2004, fece orecchio da mercante, e fu pure rieletta nel 2007. Ah, nel mentre il popolo greco si mise di traverso a ogni riforma su liberalizzazioni, privatizzazioni, tetti agli stipendi e riforma delle pensioni. Era il 2008, sapete com’è andata a finire. Trovate l’analogia con un altro Paese europeo.
Gli Stati devono ritrovare equilibri di finanza. I Paesi meno virtuosi, fra cui l’Italia, devono perseguire le riforme necessarie per far ripartire la crescita: come ho già detto in passato, non importa che quanto debito hai, ma che tu sia in grado di pagare gli interessi, e per pagarli devi crescere. Riforme, liberalizzazioni e politica fiscale restrittiva, ovvero riduzione della spesa per liberare risorse nel settore privato e favorire la nascita di nuove imprese e lo sviluppo di quelle esistenti.
La Germania deve smetterla [scusate] di ca*are il ca**o: o stimola la sua domanda interna o apre il portafogli e perequa gli squilibri che crea con il resto dell’area euro.
La BCE deve (con adeguata moderazione) essere libera di espandere la base monetaria per favorire la ricapitalizzazione delle banche e in seguito la crescita di M3, cioè far ripartire l’erogazione di mutui. Occorre cioè una politica monetaria espansiva che mitighi gli effetti della politica fiscale restrittiva.
Queste cose il Fatto non ve le dice perché non vendono, o ve le dice nelle ultime pagine, come foglia di fico, con qualche editoriale di Boldrin, Seminerio e pochi altri, mentre nella pagine interne è tutto un martellare di morte alle banche, è un complotto alieno, usciamo dall’euro e cretinate di astrofisici che si sentono padreterni perché il di loro genitore era un grandissimo economista, tutta roba che il solo pensiero potrebbe generare un buco nero che neanche il CERN.
Per questo ho smesso di leggere il Fatto Quotidiano: non ho bisogno di sentirmi dire quello che voglio sentirmi dire, specie se sono enormi cassiate, ma di sentirmi dire cose su cui possa riflettere. Le vignette di Mannelli, le strisce di Disegni e soprattutto le grandi inchieste giudiziarie non valgono l’euro e venti che servono per comprarlo, specie se mi tocca sorbire mezzo giornale di scemenze.
Sarà un 2012 difficile, non c’è proprio bisogno di buttarsi sul populismo. In un momento di crisi profonda il fascismo, di destra e di sinistra, è sempre dietro l’angolo, e non bisogna fornire all’opinione pubblica leggende metropolitane come “se usciamo dall’euro stiamo meglio” e “è tutta speculazione, signò” su cui gli aspiranti Mussolini possano fare leva.
Caro Fatto, servono fatti.