Un altro dei campi in cui si consuma la guerra fra vecchi (babyboomer) e giovani, oltre le pensioni, è quello del lavoro. Il totem intoccabile si chiama articolo 18 che è metafora per “Statuto dei Lavoratori“.
Lo Statuto dei Lavoratori è nato in un’epoca in cui la condizione lavorativa era “occupato” o “disoccupato”. Quarantuno anni dopo, permetterete, le cose sono un po’ cambiate: è nato un sistema duale in cui da un lato ci sono occupati stabili e dall’altro gli occupati a tempo. Il sistema duale è necessario nell’economia moderna, ma la presenza di totem che hanno reso negli anni il mercato del lavoro rigidissimo ha fatto sì che l’ultima legge di riforma (legge 30 o legge Maroni) lasciasse rigido il sistema a tempo indeterminato, mentre il sistema a tempo determinato è diventato così flessibile da rasentare la schiavitù (i co. co. pro., il contratto più utilizzato a quanto mi risulta, non hanno neanche i più basilari diritti, come esemplificheremo tra un attimo). Uno di questi totem è lo Statuto dei Lavoratori: bisogna eliminarne l’aura sacra e intoccabile, perché fin quando si applicherà solo ad alcuni (i vecchi), ma non ad altri (i giovani), la disoccupazione, specie la giovanile, non calerà (come non è calata negli ultimi sette anni). Oppure lo si può lasciare così, se preferite, però in tal caso consiglio di approvare qualche norma sul suicidio assistito, altrimenti cominceranno a piovere giovani dai balconi. Più di adesso, intendo.
Oggi siamo nella simpatica situazione per cui, ad esempio, una donna con un contratto “normale”, se resta incinta va in maternità e poi torna a lavorare (sperando di trovare posto in qualche asilo nido dove lasciare la creatura); una donna precaria che resta incinta ha due alternative: essere abbandonata dall’azienda presso cui prestava servizio (tecnicamente non si tratta di licenziamento, per cui la copertura dell’articolo 18 va a farsi benedire) o abortire, ammesso che trovi qualche medico disposto a farlo. Che spasso, vero? Boldi o De Sica potrebbero farci uno sketch nel prossimo cinepanettone.
Lo stesso si può dire per ferie, malattie, contributi assistenziali. La donna o l’uomo col co.co.pro. ne hanno meno o, più spesso, non ne hanno proprio.
Nel momento in cui si parla di riforma del mercato del lavoro, le sinistre sinistre dicono no, l’articolo 18 non si tocca. Manco per estenderne la copertura. Perché “toccare l’articolo 18”, nella sinistra vulgata (come ho visto nelle solite vignette populiste di questi giorni), significa, in sostanza, abolirlo e aprire le porte a ogni genere di licenziamento per qualunque causa. Cosa falsissima.
Ogni nuova riforma del mercato del lavoro sarebbe grossomodo applicabile solo ai nuovi contratti: chi ha un lavoro stabile, può stare tranquillo, mentre i precari potranno sperare in contratti migliori dalla prossima volta. All’estero il contratto di lavoro predefinito per i nuovi contratti è quello a tempo indeterminato; in Italia è, de facto, quello precario. Il motivo della differenza è presto detto: all’estero l’essere un lavoratore “flessibile” viene compensato con uno stipendio più elevato, mentre in Italia è quasi uno schiavo negro. Una riforma del mercato del lavoro conterrà (o dovrebbe contenere: tutte le riforme presentate mostrano provvedimenti in tal senso) misure per correggere questa stortura, e cioè fare in modo che il contratto di base sia a tempo indeterminato, mentre gli incarichi a tempo (ripeto, necessari nell’economia moderna) debbano essere pagati di più per compensare minori diritti e più incertezza.
Questa nuova stabilità va compensata con una nuova disciplina del licenziamento: la due tutele previste dall’articolo 18 sul licenziamento ingiusto devono trasformarsi in una sola, valida per tutti. I licenziamenti per giusta causa vanno resi più trasparenti, ma più rapidi: se passi la giornata di lavoro su Facebook, nonostante i richiami del titolare a non farlo, devi essere mandato via. Punto. Oggi invece troppa gente viene reintegrata dal giudice del lavoro per qualche cavillo imbecille, lasciando così occupato un posto che potrebbe essere preso da qualcuno con un po’ più di senso del dovere.
Bisogna poi prendere in considerazione che le aziende vanno in crisi, è normale, e spesso non per scelta fraudolenta o per sbagli del titolare: immaginate, per esempio, un pastificio che rischia di andare a gambe all’aria perché le condizioni meteorologiche hanno causato un cattivo raccolto del grano, facendone esplodere il prezzo. Il titolare si potrebbe perciò trovare davanti a due scelte: o licenzia due dei dieci operai-panettieri adesso o aspetta di fallire e mandarli per strada tutti e dieci, più sé stesso. E secondo voi per lo Stato (cioè noi), che dovrà farsi carico del fallimento dell’azienda, è più facile gestire due posti di lavoro persi o undici? Detto altrimenti, se lo Stato ha in cassa 1000 di ammortizzatori sociali, è meglio se dà 500 a due persone o 90 a undici? La risposta mi pare ovvia: meglio due con reddito di “emergenza” che undici morti d’inedia.
Riforma del mercato del lavoro deve essere anche riforma degli ammortizzatori sociali: che ne facciamo di questi due licenziati? Si può prevedere, ad esempio, che il titolare del panificio versi loro tot mensilità per compensare il licenziamento, e lo Stato integri tale importo in modo tale da garantire loro un certo reddito minimo, a patto che questi due licenziati si impegnino in corsi di formazione, al fine di non diventare lavoratori obsoleti, e ad accettare i lavori che vengono loro eventualmente offerti (chiaramente in linea con le capacità acquisite: certo non possiamo mandare un’archeologa di 50 chili a fare la manovale per costruire una piramide, però un posto da scriba, da segretaria, in attesa di tempi migliori, non lo butterei via).
Si potrebbe poi, sempre a mero titolo di esempio, prevedere che lo stipendio dei nuovi lavoratori a tempo indeterminato sia pagato per una parte e per un tot di mensilità dallo Stato, e il resto dall’azienda, in modo da favorirne l’espansione (anche per questo l’articolo 18 va riformato: blocca l’espansione delle aziende). Così il lavoratore riceve prezzo pieno, ma l’azienda per un po’ lo paga a metà prezzo ed può espandere fatturato e utili, mentre lo Stato ci guadagna in minori tensioni sociali e maggiore PIL. È un win-win-win. Per farlo, però, bisogna buttare via la cassa integrazione, altro residuo archeologico degli anni Settanta, per sostituirlo con forme di assistenza più moderne ed efficienti, come già è in altri Paesi più civili.
Un contributo importante può venire dalle liberalizzazioni. Si liberalizzano le parafarmacie? Kaboom, si aprono nuove parafarmacie e i farmacisti laureati senza diritti dinastici non stanno più a spasso. Ancora: uno dei due lavoratori di cui sopra, per esempio, potrebbe seguire un corso per diventare tassista, mentre lo Stato liberalizza il settore, per esempio regalando una licenza a chi ne ha già una, e che costui potrebbe vendere o portare in società con il lavoratore di cui sopra, al fine di espandere il giro d’affari e fare più soldi. Le liberalizzazioni, va ricordato, se fatte per bene generano lavoro, minori costi e ricchezza maggiormente diffusa, poiché le rendite e i privilegi di cui oggi godono le caste vengono spalmati su più persone.
Mi fermo qui perché è quasi Natale, ma come potete vedere le strade sono tante (non le ho neppure elencate tutte), e “riformare” difficilmente significherà fare peggio dello schifo di adesso: bisogna riformare il mercato del lavoro, per cui non fate i gattopardi, bruciamo i totem del passato, e costruiamone di nuovi per un futuro con meno schiavi moderni.
(Sarebbe ragionevole, ma in Italia le cose ragionevoli affondano nelle cassiate. Per cui prendete questo post come una favola di Natale).
Photo credits | Nomo michael hoefner / http://www.zwo5.de (Own work) [CC-BY-SA-3.0], via Wikimedia Commons
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My friend, ti dirò che in queste ultimissime settimane mi è venuta nostalgia dei posti di lavoro “ereditati” (come facevano nelle banche). Ed è tutto dire.
Ma prendere il PIL (o la sua inifinità crescita, che è impossibile, o sbaglio?) come indicatore di benessere, non è invece un totem da abbattere tra gli economisti?
Il totem da abbattere fra i non economisti è quello della decrescita felice, che è una cagata pazzesca (ormai l’Italia è dal 2008 in decrescita, tu sei più felice? Io no)
Il PIL può crescere all’infinito?
Definisci “infinito” con un numero e poi ne riparliamo.
(Ovvero: la frase “non può esserci crescita infinita in un mondo finito” va bene per fare marketing, ma la realtà è ben diversa. Il PIL si compone di consumi, investimenti, spesa pubblica e export e import: in che modo questi componenti possono andare all’infinito? Che significa consumare all’infinito? Investire all’infinito? Se intendiamo che “infinito=molto grande”, allora il PIL può crescere fino a un numero molto grande, ovvero il PIL può crescere fino a un numero finito, non all’infinito. Ma quanto è grande questo numero?
Cosa significa, poi, mondo finito? Stando a svariati profeti dell’apocalisse il mondo avrebbe dovuto esaurirsi da un paio di secoli, perché, dicevano, si produce troppo poco cibo e un numero sempre maggiore di persone. Poi è venuta fuori la tecnologia e la resa dei terreni è esplosa [e se c’è gente che muore di fame, non è perché sono finite le terre, ma perché ci sono figli di sultana in giro, se hai visto l’ultimo Report puoi capire].
Ciò significa che la tecnologia può aiutarci a sfruttare le risorse naturali in modo più sostenibile, per cui la “finitezza” del mondo potrebbe tendere pure all’infinito [qualunque cosa esso sia].
In altre parole, ci serve crescita sostenibile, mentre la decrescita felice è una cagata pazzesca, buona per vendere libri).
mi sembrano buone ricette (Natalizie)…… invece di scrivere una letterina a Babbo Natale potremmo mandare la tua a Monti.
Tanti auguri e buone feste e tutti……. gli auguri ancora non si pagano!!!!
Grazie e buone feste anche a te (btw, le proposte che ho riportato sono già in Parlamento, solo che i politici stanno facendo la solita ammuina 😉 )
Se non sbaglio questa proposta è vicino al sistema danese?
Approfitto per farti sinceri auguri di buon natale a te ed i tuoi cari, e di passare serenamente le feste.
Ho mescolato un po’ di proposte sensate (a mio avviso) che ho trovato leggendo negli ultimi anni.
Un abbraccio e serene feste anche a voi. 🙂
Ecco, esatto, i contratti sono stati utilizzati in modo diverso rispetto alle intenzioni (sottintendendo buona fede) del Legislatore.