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Riassuntone della crisi d’agosto (per capire quella che sta arrivando)

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Per Diritto di Critica (uno e due)

Il mese di agosto è stato di passione per i mercati finanziari a causa del rapido deteriorarsi delle aspettative sull’economia, che prevedono una ricaduta in recessione nei prossimi mesi, mentre le cartucce da sparare vanno via via esaurendosi, e negli ultimi giorni si stanno tentando proiettili sempre più inefficaci e populisti.

Quasi ovunque, sulla stampa nostrana, si è parlato di speculazione sebbene l’evidenza dimostri come i motivi dei crolli di borsa non abbiano nulla a che vedere con attacchi contro l’Italia o altri Paesi, bensì siano fortemente relativi ad un’ondata di panico. Tutto il resto è mera retorica e ricerca di un capro espiatorio per nascondere l’incapacità politica (non solo a livello italiano) di tirare fuori il mondo dalla più grave depressione degli ultimi settant’anni.

Ciò che è iniziato a fine luglio non è altro che il flight-to-quality, ovvero il passaggio del denaro da asset rischiosi a quelli che non lo sono o lo sono meno. In altre parole gli investitori non hanno speculato contro questa o quella banca o contro questo o quel Paese, bensì hanno venduto realmente titoli ad alto rischio (come le azioni, ma anche i BTP italiani e i simili dei PIIGS) per avere denaro in modo da “comprare sicurezza” con i Treasury Bond americani, i Bund tedeschi, l’oro, l’argento e il franco svizzero.

La stessa Consob, già a luglio, quando la situazione stava iniziando a precipitare, ha fatto notare che non di speculazione (ovvero di vendite allo scoperto, cioè non possedendo i titoli oggetto di transazione) si trattava, bensì di vendite vere dovute al cambiamento circa la percezione del rischio soprattutto verso i titoli del reparto finanziario esposto alla crisi del debito sovrano. Ciò nonostante, il 12 agosto la stessa Commissione ha varato il divieto di vendite allo scoperto (dopo aver già approvato una primo divieto “soft” a luglio) con risultati scarsi: la caduta libera si è effettivamente arrestata per un paio di settimane, ma si è trattato semplicemente di una questione tecnica (in gergo, c’è stata la necessità di scaricare gli oscillatori dalla situazione di ipervenduto), e, quando questo problema tecnico è stato risolto, i mercati hanno nuovamente tentato con successo la via del ribasso, con i crolli che hanno intaccato anche il settore bancario nonostante fosse difeso dalle vendite allo scoperto.

Nel frattempo lo spread fra BTP italiani e Bund tedeschi è volato fino a 400, soglia dell’insostenibilità del debito pubblico, mostrando la perdita di fiducia nell’Italia incapace, nel decennio di stabilità garantito dall’euro, non solo di abbattere il debito pubblico (che anzi è tornato ai massimi storici pre-euro nonostante Tremonti non abbia permesso pacchetti di stimoli dell’economia), ma anche di crescere. E infatti l’Italia può vantare il triste primato di essere il Paese dell’Eurozona che è cresciuto meno nell’ultimo decennio (0,5% medio annuo, come il Portogallo, mentre negli ultimi tre anni, scrive l’Economist, il reddito medio pro-capite è caduto del 6% – peggio di noi solo Grecia e Portogallo).

Per evitare una crisi che, data la grandezza del debito pubblico italiano, avrebbe devastato il mondo, è scesa in campo la Banca Centrale Europea con una lettera al Governo italiano che ha sostanzialmente commissariato la politica italiana. La BCE ha chiesto un nuovo intervento per mettere in sicurezza il debito italiano, un intervento ulteriore a quello varato appena un mese prima. In cambio la BCE ha promesso di sostenere i BTP italiani con acquisti fino a 40-50 miliardi di euro che però si sono esauriti in appena venti giorni: lo spread, dopo essere sceso fin quota 270, ha chiuso venerdì a 327, dimostrando ben poca fiducia negli interventi del Governo italiano.

Il governo italiano è intervenuto a Ferragosto con un’ulteriore manovra in salsa tedesca di 45 miliardi che si aggiunge alla precedente di luglio di simile importo (subito bocciata da più parti). Nei giorni successivi, tuttavia, la situazione è tornata a essere gestita “all’italiana”. La prima versione della manovra colpiva le classi mediobasse con nuove tasse e tagli, era fortemente regressiva e depressiva, non conteneva misure strutturali per la crescita, non colpiva l’evasione fiscale, ma aveva un pregio: anche grazie al contributo di solidarietà, i soldi necessari venivano trovati.

Negli ultimi dieci giorni, però, tutto è stato stravolto, si pensa a causa dei sondaggi che vedevano l’elettorato di centrodestra esprimersi in modo nettamente contrario. La manovra è stata riscritta più volte e le misure annunciate il giorno prima sono state cancellate il giorno dopo (di nuovo, pare, dopo le reazioni – pessime – dell’elettorato). Stando alle ultime versioni, sappiamo però che i difetti della manovra originale rimangono, aggravati dal fatto che certe misure (come i miliardi derivanti dalla lotta all’evasione) sembrano sovrastimare le entrate, dunque l’unico pregio della manovra originale è scomparso, e non è ancora chiaro quanti miliardi manchino all’appello. Il Governo naviga a vista, o meglio, a sondaggi. E appare sempre più privo di bussola, come ha dimostrato venerdì il discorso di Sacconi.

Che le cose non stessero andando bene lo si vedeva già dall’andamento dei CDS sull’Italia: nonostante i BTP fossero ben lontani dai minimi (ovvero lo spread lontano dai massimi), le quotazioni delle assicurazioni contro il fallimento dell’Italia continuavano a stazionare sui massimi, sorretti dai sempre più numerosi acquisti da parte delle grandi banche europee, che, com’è ovvio, non ci stanno a perdere soldi. Dopo Deutsche Bank, è notizia di venerdì che anche Unione Banche Italiane ha drasticamente tagliato l’esposizione verso l’Italia, aggiungendo una nuova tegola contro la teoria complottista della speculazione internazionale. Fa notare Francesco Giavazzi, inoltre, che sui mercati in cui la BCE non ha iniettato morfina, il BTP rende l’8,6%, valore enormemente più alto non solo del 5% attuale, ma pure del 6% di agosto (soglia in cui si attiva la spirale del debito pubblico) e quella del 7% che implica il default.

Il deterioramento della fiducia nei confronti dell’Italia (cui guardavamo con una punta di ottimismo appena pochi mesi fa) è ovviamente continuato e che le cose continuino ad andare peggio è dimostrato dal confronto con la Spagna. Dopo mesi in cui i BTP facevano meglio dei corrispettivi Bonos spagnoli, nella seconda metà di agosto abbiamo visto il sorpasso della Spagna sull’Italia nello spread col Bund, prima di pochi punti, poi, venerdì, di ben sedici (311 a 327). Il motivo di questo sorpasso non è tanto da ricercarsi dalle misure anticrisi messe in atto da Zapatero (con voto sicuro, veloce e bipartisan): il sorpasso è infatti avvenuto qualche giorno prima di queste, quando il premier spagnolo ha annunciato la fine anticipata della sua era (che, nonostante l’evidente doping economico, ha dato grande effervescenza all’economia e alla società spagnole), annunciando le proprie dimissioni. I mercati hanno quindi deciso di mettere in stand-by la fiducia sulla Spagna in attesa del prossimo governo pienamente legittimato, e hanno quindi focalizzato la propria attenzione verso l’altro Paese sotto osservazione, ovvero l’Italia e il suo premier, Silvio Berlusconi, che ha smentito le intercettazioni che lo vedevano andarsene da questo «Paese di m…» (ipse dixit). Operatori e commentatori, tuttavia, continuano ad auspicare che l’esito per l’Italia sia il medesimo della Spagna: dimissioni di Berlusconi.

Di fronte a un Governo che ha fallito la sua missione nonostante abbia governato per otto degli ultimi dieci anni, che continua a dare la colpa non solo ai “comunisti”, alla magistratura, alla stampa, alla speculazione e, negli ultimi tempi, all’incolpevole euro, ma pure ai governi precedenti (dimenticando curiosamente i governi Berlusconi che hanno guidato – si fa per dire – l’Italia dal 2001 al 2006), che scrive e riscrive le manovre finanziarie non badando alle necessità del Paese, bensì alle proprie e a quelle del proprio elettorato (circa un terzo del Paese), di fronte a questo e molto altro non stupisce che i mercati non abbiano più alcuna fiducia in noi.

La domanda che quindi si pone per i prossimi mesi è una sola, ovvero se riusciremo o meno a far sì che la rovinosa caduta di Berlusconi non porti con sé anche lo sgretolamento dell’Italia (o almeno di quel che ne resta).

Photo credits | PerpetualTourist2000 (CC-BY 2.0)

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