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A qualcuno avanza un po’ di politica?

La maggioranza è in grossi casini. Ormai non si contano più gli scandali, pardon “casi isolati di vecchi pensionati” che hanno colpito esponenti del Popolo della Libertà: a Scajola gli pagano una casa a sua insaputa, Brancher si fa nominare ministro del nulla per salvarsi da un processo, Cosentino, su cui pende un ordine di arresto per camorra, chiacchiera amabilmente con un vecchio iscritto alla P2 (Carboni, fratello massone della tessera P2 1816, cioè Silvio Berlusconi), Dell’Utri che viene condannato per mafia, eccetera eccetera.

In tutto questo c’è un’ala del PdL che pare non voglia starci: sono gli uomini di Fini.

Diciamo che in politica esiste una specie di legge che dice che più l’opposizione è debole e più la maggioranza è frammentata, più è probabile che cresca l’opposizione interna alla maggioranza stessa. Mussolini, ad esempio, fu fatto fuori non dai partigiani, non dagli angloamericani, bensì dal suo stesso partito nel momento in cui il collante che teneva insieme le camicie nere (il carisma, la sacralità del duce legate alle fortune della guerra) veniva meno (il fallimento di Mussolini fu evidente il 22 luglio, quando gli Alleati conquistarono la Sicilia, e infatti il duce fu destituito due giorni dopo). Si può dire qualcosa di simile per la Democrazia Cristiana, che pur spaccata in mille correnti riuscì a sopravvivere per quasi cinquant’anni, e si dissolse quando venne meno il collante dell’anticomunismo (caduto il muro di Berlino, cambiato il nome del PCI, il pericolo rosso non esisteva più e non c’era più niente a tenere assieme gente con idee profondamente diverse).

Qualcosa di simile sta accadendo nel PdL: un’opposizione inesistente (il PD) o irrilevante (gli altri) lascia spazio all’opposizione interna al PdL stesso. In altre parole, essendo il PD praticamente innocuo, i finiani non sono costretti ad abbracciare Berlusconi per fare fronte comune contro i democratici (il nemico), cercando di imporre una propria agenda. Perché è questo che un’opposizione fa: cerca di imporre almeno parte della propria agenda. Il PD non lo fa, lo fa Fini.

Fini e i suoi uomini)sono, pare, fondamentali per il governo, ma Berlusconi non vuole sottostare al ricatto, perché questo significa essere costretto a cambiare la propria filosofia politica: Berlusconi, infatti, da sedici anni impone i propri interessi quale agenda politica, mentre Fini vuole imporre delle idee. Esempio: legge sulle intercettazioni, Berlusconi vuole imporre un proprio interesse (voglio parlare coi miei amici piduisti, mafiosi, coi miei corrotti, coi ladri, con le put*ane senza che la gente sappia che gli sto praticamente ca*ando addosso mentre credono che faccia il bene del Paese), Fini vuole imporre un’idea (per dire, evitare usi impropri delle intercettazioni senza impedire ai magistrati di prendere i criminali).

Che fa allora Berlusconi? Tenta di diversificare il rischio. In che modo? Allargando la maggioranza. Se l’UDC entra, Fini non è più fondamentale, e il suo peso politico diventa quasi irrilevante. Casini dice che non vuole entrare nella maggioranza, ma credo che alla fine, a settembre, capitolerà. Vedremo.

La questione, intanto, si fa pericolosa. Se Berlusconi allarga la sua maggioranza, aumenta il proprio potere e tutta la sua cricca continuerà a fare affari a spese del Paese. Se non ci riesce e arriva alla spaccatura, l’unica soluzione sembrano essere le elezioni (un governo tecnico sembra fuori discussione, o meglio, per crearlo serve un coraggio che Napolitano non ha sinora dimostrato di avere). Ma in tal caso, data la legge elettorale, riusciranno le opposizioni ad unirsi e ad essere maggioranza relativa contro Berlusconi? Perché se vanno divise, come credo, si ritorna al 1924. Berlusconi, facendo una campagna elettorale televisiva tremenda, riesce a conquistare la maggioranza relativa dei voti (e quindi, grazie alla legge Acerbo-Calderoli, assoluta del Parlamento) e torna al potere senza avere altro ostacolo che la Lega Nord, che te li raccomando quanto a principi etici e morali.

Ma allora perché Berlusconi non va a vedere se Fini sta bluffando? Per molteplici ragioni: aprire una crisi di governo potrebbe non portare a nuove elezioni, ma ad un governo di unità nazionale o tecnico che dovrebbe preparare le riforme che servono al Paese (o almeno la riforma del sistema elettorale). Infatti nel 1994, quando il suo primo governo cadde, non vi furono nuove elezioni, bensì un governo tecnico. Le elezioni si sarebbero svolte solo nel 1996, e Berlusconi sarebbe tornato al potere solo nel 2001, e solo perché esistevano ancora esseri che ritenevano Minimo D’Alema uno statista. Berlusconi non può rischiare: in primo luogo, è già troppo vecchio per aspettare qualche altro anno. In secondo luogo, perdere la carica di premier comporta la perdita del legittimo impedimento. In terzo luogo, il lodo Alfano costituzionale si arenerebbe per almeno un altro anno, quindi se ne parlerebbe nel 2012 (troppo tardi, a questo punto gli converrebbe cercare la prescrizione). E tutti i suoi interessi nella sua agenda politica andrebbero a farsi benedire.

C’è poi il problema che Berlusconi non può usare il simbolo del PdL senza il placet di Fini, il che significa essere costretti a fondare un nuovo partito e a evidenziare in ogni modo la spaccatura. Basterà la tv per spiegare agli elettori questo cambio? Capiranno ciò che il ducetto di Hardcore vuole che  capiscano o cercheranno di capire la verità? Si rischia di servire un assist involontario ai finiani, i quali avrebbero buon gioco a dire che Berlusconi non è un liberale, ma il capo di un gigantesco e corrotto comitato d’affari (che poi, vedendo un po’ in giro, è la verità).

Insomma, a settembre, di questo passo, rischia di esserci il caos, e di questo l’Italia non ha proprio bisogno. Ma del resto, non ha bisogno nemmeno della legge sulle intercettazioni, né del lodo Alfano, né del legittimo impedimento, né dello scudo fiscale, né di tutte le altre leggi e leggine, proposte o approvate, che servono a Berlusconi e ai suoi fratelli massoni, ma non ai disoccupati, ai cassintegrati, alle aziende in crisi, alla ricerca, alla cultura e al Paese in generale. La manovra di Tremonti è un’autostrada che porta all’inferno (cit.), ed è per questo che si cerca di farla passare sotto silenzio (tipo l’emendamento sulle pensioni: si vuole riformare un sistema gigantesco con un emendamento nascosto, senza quasi dibattito politico, e Tremonti si vanta pure di questa mancanza di trasparenza e onestà).

E invece le leggi tagliate su misura per Berlusconi sono il punto fondamentale del dibattito politico. E questo non tanto per “colpa” di Berlusconi, quanto per il fatto che il PD, al pari del fratello massone, non ha idee politiche. Un’opposizione decente dovrebbe approfittare della difficoltà della maggioranza, ma invece sono lì a copiare il diretto avversario nel campo dei senza-idee (e pure i democratici, almeno alcuni, hanno corposi interessi – abbiamo una banca!).

E tutto questo non è politica. Maggioranza e opposizione sono entrambe votate all’antipolitica o al minimo alla non-politica. Prendersela con Grillo o con Travaglio significa mettere la testa sotto la sabbia: l’uno è un comico che nonostante tutto ha un seguito politico infinitesimale (e che tra l’altro approfitta della debolezza del PD per rubargli elettori); l’altro è solo un giornalista che ci ricorda ogni tanto che un po’ di gente dovrebbe stare dietro le sbarre, sia a destra che a sinistra.

Io nelle ultime settimane non ho sentito parlare di politica dal Partito Democratico: ho sentito un Bersani che dice che faremo barricate contro il bavaglio, che dialogheremo sulla manovra, ma senza mai parlare di idee. Leggo blog di democratici che parlano di mondiali, dei casini del PdL, di Grillo, di Travaglio, di Di Pietro, ma la politica? I contenuti? Mi sono perso gli articoli di Repubblica a riguardo? Qua le uniche eccezioni sono quelle di persone che di questo passo andranno al potere fra quarant’anni, e penso ad un Civati o persino ad una Serracchiani, ogni tanto esce qualche post sul suo blog che parla addirittura di politica.

In ogni caso siamo nella me*da. O, al massimo, ci finiremo presto.

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