Finito il periodo elettorale, va ricordato che ci sono due governatori in bilico per questioni legali: Roberto Formigoni e Vasco Errani, che nei prossimi mesi potrebbero vedersi annullata la propria rielezione. Beppe Grillo ha annunciato (se non erro, è solo l’ultimo arrivato) il ricorso per procedere all’annullamento (anche se questo significherà far cadere i due “suoi” uomini eletti in Emilia-Romagna).
C’è una legge, la 165/2004, promulgata regnante Silvio Berlusconi, che all’articolo 2, comma 1 lettera f, prevede la non immediata rieleggibilità dei governatori di regione eletti con suffragio universale e diretto dopo il secondo mandato.
Un’altra legge, la 43/1995, prevede che i governatori siano eletti con suffragio elettorale universale e diretto.
Formigoni ed Errani sono stati eletti entrambi con suffragio universale e diretto nel 2000 e nel 2005. Per loro, quindi, si tratta del terzo mandato in tale modalità e ciò contrasta con la legge del 2004.
Essi però rispondono che la legge del 2004 non è retroattiva e che dunque i due mandati vanno contati a partire dal 2004 e non da prima, dunque per loro si tratterebbe del secondo mandato.
Si tratta, com’è ovvio, di un cavillo burocratico, problema mai risolto dal Parlamento poiché la questione va “bipartisanamente” bene, visto che Formigoni ed Errani appartengono a schieramenti diversi.
La questione va posta in questi termini: prevale il rispetto formale della legge o il rispetto dello spirito che muove tale legge?
Ovvero, visto che la disposizione non è esplicita, va lasciata vivere la norma dura e pura o prevale lo spirito che la muove?
Ma soprattutto, questa differenza esiste?
Preciso che la questione è differente rispetto al caos Lazio: lì la legge è stata infranta in forma, sostanza (che poi è la stessa cosa) e spirito, qui la questione è più fumosa, perché è sicuramente infranto lo spirito, ma forse non la forma.
Si badi bene: io penso che sia stata infranta pure la forma, ma riconosco che la questione non è limpida come nel caso Lazio.
In un Paese migliore, tuttavia, prevarrebbe la seconda interpretazione: lo spirito della legge mira a favorire il turn over degli eletti, in modo da favorire il ricambio generazionale e la nascita di nuovi approcci volti a creare nuove idee per i sempre nuovi problemi della gente. Restare attaccati alla poltrona per troppo tempo, inoltre, spinge naturalmente ad usare il potere in modo distorto, come se fosse roba propria e non, come invece è, un servizio per il Paese (o la Regione).
Ma in un Paese migliore, pur non essendovi chiarezza giuridica, Formigoni ed Errani si sarebbero fatti da parte per il bene del proprio Popolo, e non sarebbero rimasti solo per conservare poltrone e potere (non vivo in Emilia-Romagna, ma per la Lombardia posso dire che Formigoni è un fallimento piuttosto evidente).
Basti pensare che negli Stati Uniti per secoli è rimasta in piedi la consuetudine di non presentarsi mai per chiedere un un terzo mandato come Presidente, e che una legge che esplicitamente lo vietasse è stata approvata solo nel 1951, quando Franklin Delano Roosevelt si candidò per il terzo e il quarto mandato (e magari pure per il quinto, se non fosse morto prima).
Fino ad allora, infatti, restava “in vigore” quanto detto da George Washington, primo presidente USA, che nel 1793 affermò che troppo potere non doveva essere accentrato per troppo tempo nelle mani di un solo uomo, e che dopo due mandati si fece da parte.
Lo spirito di quelle parole è arrivato in Italia solo due secoli dopo, ma rischia di essere ignorato almeno fino al 2015, oltre undici anni dopo il suo “arrivo”.
Perché una cosa è il bene dei propri concittadini, ma vuoi mettere con la soddisfazione di rimanere attaccato ad una poltrona anche se sei solo un incapace con gli appoggi giusti?