In questi giorni si sta parlando dei trucchi contabili che la Grecia ha inventato per fregare l’Unione Europea. L’inchiesta del New York Times, però, ricorda che anche l’Italia fece lo stesso nel 1996, al fine di essere ammessa subito all’euro.
Nel 1996 l’Italia era governata da Romano Prodi, e ministro dell’Economia era Carlo Azeglio Ciampi, che fecero dell’entrata dell’Italia nell’euro il proprio obiettivo di governo. È noto che ci riuscirono, infatti siamo nel club dei primi utilizzatori dell’euro, ma questo come è avvenuto?
Nel 1995 nessuno avrebbe scommesso un centesimo sull’ammissione dell’Italia: il ministro delle Finanze tedesco Theo Weigel riteneva l’esclusione una certezza, e nel documento di programmazione economica e finanziaria del 1996 lo stesso governo Prodi prevedeva che l’Italia avrebbe raggiunto gli obiettivi di Maastricht (con esclusione del rapporto debito/PIL) solo nel 1998, con un anno di ritardo. Il problema era ovviamente il deficit, che doveva essere sotto il 3%, ed era difficile raggiungere questo obiettivo a causa del mostruoso debito contratto anni prima da Bottino Craxi, che aumentava spaventosamente la spesa per interessi e dunque il deficit stesso.
Per ridurre il deficit si doveva convincere il mercato della solidità del nostro Paese, e questo avrebbe comportato tassi da pagare più bassi. La Finanziaria 1997 intendeva rassicurare il mercato in due modi: il primo era la tassa sull’Europa, un prelievo straordinario che sarebbe stato restituito in seguito; il secondo, abbastanza collegata al primo, erano una serie di trucchi contabili che spostavano più in là nel tempo alcune spese. In questo modo, un po’ grazie alle maggiori entrate della “tassa temporanea”, un po’ grazie a delle finte riduzioni delle spese, il mercato si sarebbe convinto della buona volontà dell’Italia, avrebbe chiesto meno soldi per gli interessi e il deficit sarebbe finito sotto il 3%.
L’Europa ci venne incontro, e ci riammise allo SME giusto un mese prima della scadenza (per entrare nell’euro, infatti, era necessario anche essere all’interno dello SME per almeno due anni prima del primo gennaio 1999, e l’Italia ne era uscita nel 1992 a causa della svalutazione voluta da Amato, se non ricordo male). Ma la situazione rimaneva disperata: lo spread BTP-Bund crollò effettivamente in pochi giorni, ma non abbastanza. Il deficit per il 1996 si fermò al 6,7%, portando così la previsione per il 1997 al 3,7%, che implicava l’Italia fuori dall’euro, con conseguenze che sarebbero state disastrose.
Prodi e Ciampi decisero quindi di mettere in atto un’altra manovra aggiuntiva, ma si trattava, ancora, di trucchetti contabili, ovvero anticipazioni di entrate e rinvii di spesa, che si sarebbero fatti sentire negli anni successivi (e infatti non furono pochi gli economisti che s’incazzarono, primo fra tutti Franco Modigliani). Il trucchetto però funzionò: il deficit calò al 2,7% nel 1997 e l’Italia entrò nell’euro il 3 maggio 1998. Il successo fu talmente grande che lo spread BTP-Bund praticamente si annullò, riuscendo a contenere gli effetti dei trucchetti contabili del 1997, facendo anche scendere il rapporto debito/PIL fino al 110%, che credo sia tutt’oggi il minimo degli ultimi venti anni.
In pratica Prodi e Ciampi fecero una scommessa con un’altissima posta in gioco: le alternative erano il successo su tutta la linea o il completo disastro, e per fortuna il risultato fu il primo.
E veniamo ai giorni nostri. Abbiamo visto che i trucchi italiani erano finalizzati ad uno scopo ben preciso: entrata nell’euro con conseguente dissoluzione del disavanzo, insomma si voleva innescare un circolo virtuoso partendo dal nulla. La differenza con la Grecia è ovvia: i greci nell’euro ci sono già, e i trucchi contabili sono stati attuati solo per evitare un circolo vizioso che li avrebbe portati (o li porterà) alla tragedia. Mentre l’Italia aveva molto da guadagnarci (e infatti ci guadagnò) in caso di esito positivo, la Grecia ne aveva molto meno, in altre parole erano trucchetti messi in campo solo per mantenere a galla una barchetta con molte falle e non per ripararle (al contrario dell’Italia). Ancora in parole diverse, l’Italia voleva innescare un circolo virtuoso, la Grecia no.
Il governo greco, quello precedente, di destra, avrebbe dovuto giocare anche pulito, oltre che sporco, ovvero porre in essere reali misure per riportare in carreggiata il Paese. Ma vuoi per motivi di crisi economica internazionale o per incapacità politica o più semplicemente perché le misure che si sarebbero dovute mettere in atto sarebbero state altamente impopolari, il governo non ha fatto nulla del genere. E ora ne pagherà un prezzo altissimo (anche perché anche il nuovo governo, di sinistra, sta facendo granché).
Questo è un monito per l’Italia: i trucchetti contabili potevano avere un senso all’epoca perché avrebbero fatto autoavverare una profezia. Ma oggi bisogna fare sul serio, non c’è spazio per proclami a reti unificate: l’Italia rischia seriamente di fare la fine della Grecia se non prende in mano le redini della finanza pubblica, che da dieci anni è fuori controllo.
Casomai sugli scenari futuri ci ritornerò fra qualche giorno, se riesco a preparare qualche grafico.