Ormai è noto che l’ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento verrà chiuso perché costruito con la sabbia. Qualcuno si è domandato chi l’abbia costruito. Come al solito, per un ospedale costruito in vent’anni e costato oltre cento miliardi di lire, sono stati in molti a passarsi le consegne di anno in anno. Un’ospedale inaugurato sotto i peggiori auspici (i topi mandarono in tilt mezzo ospedale il giorno dell’inaugurazione) e teatro di varie inchieste di sospetta malasanità, (bimbo nato con il cranio fratturato, donna morta sotto i ferri) oltre, manco a dirlo, di una Tangentopoli sanitaria.
Chi iniziò la costruzione del San Giovanni di Dio fu la Impresem di Filippo Salamone, un’impresa finita sotto il controllo di Totò Riina, il capo dei capi della mafia. Insieme o successivamente alla Impresem vi erano altre imprese, anche milanesi ed emiliane (noto anche una certa Itel; che sia solo un caso di omonimia con la Itel di Ilario Floresta, deputato di Forza Italia che disse che con Colaninno Telecom era in buone mani – e poi sappiamo com’è andata a finire?) e quindi terminato (pare) dalla Campione Industries. Questo Filippo Salamone, l’anno scorso, è stato definitivamente condannato per associazione mafiosa in un processo riguardante mafia e appalti.
Ma non è finita qui: il fratello di Filippo, Fabio Salamone, fu il grande accusatore di Antonio Di Pietro durante i processi contro quest’ultimo a Brescia negli anni Novanta. Salamone doveva però astenersi, poiché Di Pietro aveva indagato contro Filippo, sospettato di essere una testa di ponte fra la mafia e alcune imprese del Nord Italia (come quelle coinvolte nella costruzione dell’ospedale di Agrigento? Non lo sappiamo).
Come sappiamo Di Pietro fu assolto, mentre Salamone fu richiamato dalla sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura. Le accuse contro Di Pietro furono però portate avanti da altri, di cui ho incidentalmente parlato, e ogni tanto riprese dai soliti noti, come Il Giornale.
Davvero un bel bersaglio, non c’è che dire.