Non so se qualcuno ha notato che in queste ore Massimo D’Alema brilla per la sua assenza. Non fa parte neppure del direttivo del PD che aveva respinto le dimissioni. Non dice nulla. Parlano tutti, ma lui zitto.
D’Alema è fatto così: dalla nascita del PD lui è rimasto in attesa, vediamo come va a finire. Lo appoggia ma anche lo critica. Va bene, ma anche va male. Così se le cose fossero andate bene, sarebbe stato pronto a prendere i suoi applausi. Adesso che le cose vanno peggio sarà pronto a dire che lui l’aveva detto, che non è colpa sua, che lui aveva già capito tutto.
Insomma, si è comportato come se il PD non fosse un suo problema. Lui si occupa della sua fondazione, che stampa un bimestrale da cinque numeri l’anno.
Le elezioni in Sardegna, per lui, sono una manna. Ha fatto piazza pulita del suo avversario di sempre, Walter Veltroni, e dell’astro nascente Renato Soru. In un colpo solo. Manca solo la ciliegina sulla torta: un dalemiano (anche Bersani va bene) alla segreteria. Lui no, sarebbe troppo evidente e troppo rischioso, perché il PD potrebbe anche peggiorare dopo le elezioni europee. E poi sarebbe colpa sua.
D’Alema galleggia, come una boa in una tempesta. Il centrosinistra affonda, e lui non fa nulla. Berlusconi avanza, ma pazienza. Alla fine di questa avventura, ne rimarrà solo uno. Lui. Baffetto.
Cosa ne sarà dell’Italia alla fine di questo simpatico affare, possiamo solo immaginarlo.