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Economics for dummies: cos’è la deflazione e perché non dovrebbe piacerci

In questi tempi di crisi sentiamo parlare, fra le altre cose, di deflazione. Non serve tanto per definire questa parola: si tratta, semplicemente, di un calo dei prezzi.

In parole più che semplici, se io un anno fa compravo un paniere di oggetti e lo pagavo 100, mentre oggi lo pago 90, vuol dire che siamo in deflazione.

Qualcuno dirà che non c’è niente di male che i prezzi scendano, anzi, che è meglio. Ma in realtà non è così.

Gli economisti sono spesso preoccupati a sentire questa parola, per un motivo semplicissimo: l’abbiamo affrontata, nel corso della nostra storia, solo una volta, e non sappiamo bene come fare a contrastarla. Uno dei massimi esperti in questo campo, che incidentalmente è anche a capo della Federal Reserve, è Ben Bernanke, il quale, in un suo discorso, affermava che, se proprio tutto dovesse andare male (come adesso, con una Fed che ha portato i tassi allo 0%), per uscire dalla deflazione potrebbe essere un’idea stampare soldi e buttarli giù da un elicottero. Da allora lo chiamano Helicopter Ben.

In soldoni, l’economia rischia di impazzire.

Ma concretamente, perché la deflazione è tanto brutta?

Le aziende, per produrre, hanno bisogno di beni da trasformare (ad esempio la farina) e manodopera (mister Mulino Bianco), dopodiché vendono gli oggetti che producono (il pane), ottenendo soldi in cambio.

Ora, se siamo in deflazione, può accadere che sia i beni che trasformiamo sia quelli che vendiamo abbiano un prezzo inferiore. Ma se questo è un bene da un lato (paghiamo meno per avere la farina) dall’altro è un male (perché riceviamo meno per il pane). I due effetti non si compensano, perché per produrre dobbiamo pagare non solo il tizio che impasta la farina (o meglio, che controlla l’impastatrice), ma anche altra gente, ad esempio gli impiegati in ufficio (i contabili) e altra gente. In altre parole dobbiamo pagare gli stipendi, che sono una bella fetta dei costi, e che quindi sono importanti per stabilire il prezzo finale del nostro prodotto.

Solitamente gli stipendi vengono stabiliti in base all’inflazione, ovvero vengono aumentati in base ad essa. visto che prevediamo che l’inflazione sia al 2% l’anno, quest’anno ti pago 100, l’anno prossimo 102, l’anno dopo 104 e cent e così via. Ma che succede quando l’inflazione è negativa (ovvero c’è deflazione)?

È molto difficile che le persone accettino di essere pagate meno, specialmente in tempi di crisi, ed è una cosa piuttosto ovvia (pensate a voi stessi, e chiedetevi se accettereste un taglio al vostro stipendio “perché c’è deflazione”).

Il problema, però, è che in questo modo le aziende, già in crisi, vedrebbero i propri margini di guadagno erosi, rischiando di fallire (il che comporta licenziamenti).

In poche parole: un anno fa vendevo una pagnotta di pane a 100, di cui 50 copre i costi della farina, dell’acqua, del lievito, etc., 45 i costi degli stipendi e 5 è il mio guadagno. Quest’anno, però, la pagnotta di pane la vendo a 90 (a 100 nessuno è disposto a comprarsela perché “c’è la crisi”), la farina la compro a 45, devo pagare 46 di stipendi (grazie a un’inflazione contrattuale che non c’è stata nella realtà), e come risultato sono in perdita di 1.

Ecco perché la deflazione non dovrebbe piacerci: perché crea una forte dose di incertezza sul futuro, mescola le carte in tavola e rischiamo di fare le scelte sbagliate. Non a caso l’obiettivo della nostra Banca Centrale Europea è quello di mantenere bassa l’inflazione (ovvero vicina al 2%): se i prezzi aumentano in modo costante sarà più facile sia fare previsioni per il futuro che adeguare gli stipendi delle persone senza erodere il loro potere d’acquisto. E siamo tutti più contenti.

(O almeno, speriamo…).

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