La casa di cura che avrebbe dovuto accogliere Eluana Englaro nei suoi ultimi giorni di vita ha detto che non si può più: «Se lo facciamo ci fanno chiudere».
Oltre la questione, prettamente etica e quindi personalissima, della morte sì o morte no, c’è un altro soggetto che è in stato vegetativo da più o meno lo stesso periodo: il Diritto. Lo tengono in vita artificialmente.
Non è possibile che in un Paese civile, liberale, occidentale, una sentenza definitiva non possa essere attuata a causa di un ricatto di un’autorità politica. Perché in un Paese civile non è una questione di sua competenza.
Questa non è una questione di riformare la giustizia: il potere giudiziario il suo lavoro l’ha fatto, e l’ha fatto in base alla Legge dopo una marea di processi, come sempre. È il potere politico che, una volta ancora, invade la sfera di competenza altrui. E stavolta non si prende neppure la briga di emanare una legge “ad personam” o una controriforma della giustizia, bensì utilizza l’arma del ricatto: «se dai luogo a quella sentenza definitiva, ti faccio chiudere». In base a motivazioni, a pareri, che nulla hanno a che fare con la Legge.
Non è più lo stato di diritto: stiamo regredendo allo stato della legge della giungla, dove chi è più forte vince. Non funziona più il discorso, vecchio ormai di secoli, “il Parlamento approva le leggi, i giudici le applicano”. Funziona il discorso, ancora più vecchio: “o fai come dico io o ti taglio la testa”.
La parte divertente (tristemente divertente) è che poi esce sempre qualcuno che approva indefessamente certi atti perché sono coerenti con le proprie idee: «bravo, hai fatto bene a non applicare la legge». Ma poi si lamenta se qualcosa non funziona, si indigna se quello uscito con l’indulto ti rapina in mezzo alla strada, si arrabbia se il clandestino colpito da decreto di espulsione ti violenta la figlia perché un buco legislativo non permette di accompagnarlo nel suo Paese di origine, si strappa i capelli se l’ubriacone che investe con l’auto un gruppo di persone come fossero birilli al bowling non va in galera perché incapace di intendere e di volere (però mentre beveva come una spugna sapendo che poi avrebbe dovuto guidare lo era, no?).
Ma in fondo ce la cerchiamo, se finiamo per votare chi, condannato e/o prescritto, si prende la briga di pontificare di moralità a reti unificate per ricordare che “la giustizia non funziona”, per non parlare degli amministratori, politici, che rubano ma non vanno in galera grazie a leggi studiate apposta, magari dalle stesse persone che ne beneficeranno (perché, ricordiamolo, la mafia non esiste). La colpa, ovviamente, è dei giudici, quegli psicopatici, che fanno lo sbaglio di applicare le leggi che scrivono altre persone. Aboliamoli tutti, così risparmiamo: pensate, quindici anni di processi, giudici pagati con soldi pubblici, con le nostre tasse e adesso che, finalmente, hanno fatto il loro lavoro, scopriamo che è stato tutto inutile? È un po’ come se, dopo una maratona corsa con enormi sacrifici, il vincitore si veda togliere la medaglia perché la sua faccia non garba al giudice di gara.
Stanno cancellando secoli di storia: bazzecole come la Rivoluzione francese sono passati invano. Almeno in Italia.
Perfino Hammurabi si sta rivoltando nella tomba: non riesce a trattenere le risate.