Nel corso del quinto appuntamento con le pillole di storia italiana, fatta salva la trattazione del miracolo economico, siamo arrivati al gennaio 1962, quando Fanfani si apprestava a formare il suo quarto governo, con il sostegno del Partito Socialista Italiano, che si era quindi stabilmente inserito nell’area dei partiti di governo. Come al solito, se qualcuno si fosse perso gli appuntamenti precedenti, può ricominciare da dove preferisce.
Le riforme del Fanfani IV. Il 21 febbraio del 1962 Amintore Fanfani, grazie alla tessitura del segretario della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, forma il suo quarto governo insieme al Partito Socialista Democratico Italiano e al Partito Repubblicano Italiano, con l’appoggio esterno del PSI. Il 2 marzo Fanfani presentò il suo piano di governo, per molti aspetti rivoluzionario: innanzitutto la nazionalizzazione dell’energia elettrica e la riforma della scuola media inferiore, con l’obbligo fino a 14 e la fine del doppio percorso (prima della riforma i più ricchi continuavano a studiare, mentre i più poveri venivano avviati al lavoro). Fra gli altri provvedimenti presi dal governo Fanfani, di chiara impronta di sinistra, vi su una riduzione della censura sulle opere teatrali (ma non cinematografiche), l’aumento delle pensioni minime, libri gratuiti alle elementari e divieto di licenziamento per le donne prima e dopo il parto. Queste riforme vennero attuate in pochi mesi, ma il resto non andò per il verso giusto: nel piano Fanfani vi erano anche l’attuazione delle Regioni (che non lo saranno ancora per un bel pezzo) e la riforma urbanistica, che avrebbe colpito i proprietari terrieri. Entrambe queste riforme non verranno attuate a causa dell’opposizione interna della DC.
Segni presidente della Repubblica. I dissidi all’interno della DC, infatti, si fanno sentire e Moro deve trovare una soluzione per accontentare i più restii all’alleanza col PSI. La soluzione sarà l’elezione del presidente della Repubblica, poiché Giovanni Gronchi è in scadenza di mandato. Eliminata l’ipotesi di un secondo settennato per quest’ultimo, rimarranno in lista Giuseppe Saragat (PSDI) e Antonio Segni (DC). Qui si determina una spaccatura fra DC e PSI, e alla fine Segni verrà eletto grazie ai voti del Movimento Sociale Italiano e dei monarchici, ovvero con una maggioranza di centrodestra.
L’obiettivo è isolare il PCI. L’alleanza con il PSI aveva come obiettivo l’isolamento del Partito Comunista Italiano, che era ancora fra i maggiori d’Europa, ma gran parte della DC riteneva esagerato concedere alle sinistre anche la Presidenza della Repubblica. La situazione, quindi, si polarizza e si prepara ad esplodere (siamo, ormai, nei pressi del Sessantotto), come si vede a Torino, dove i sindacati organizzano uno sciopero che coinvolge quasi tutti i lavoratori della FIAT. Fanfani fa qualche passo di troppo a sinistra e i diffidenti cominciano ad organizzarsi ad affrontare il pericolo rosso. Nel frattempo, però, vengono approvate le due riforme di cui abbiamo detto sopra, la nazionalizzazione delle aziende dell’energia a novembre (inizia a crescere il debito pubblico, visto che queste imprese nazionalizzate verranno indennizzate con titoli di stato), la riforma della scuola media inferiore a dicembre.
Nuove elezioni, Fanfani liquidato. I socialisti, ormai entrati nel giro, iniziano a dare fastidio, come accade ad esempio nell’inchiesta sulla Federconsorzi, che ritenevano malgestita (e con un pesante deficit), ma che veniva tenuta in vita (e lo sarà, nonostante tutto, fino agli anni Novanta) poiché, grazie alla sua posizione chiave nel mercato dei cereali, era una roccaforte della DC. Per questo motivo Moro decide di prendere in mano la situazione: Fanfani viene liquidato (ritornerà solo fra molti anni). Uno degli ultimi atti di questa legislatura è la fissazione dei seggi di Camera e Senato: mentre prima dipendevano dalla popolazione, da ora in poi, sino ai giorni nostri, i deputati saranno 630 e i senatori 315 (più quelli a vita). A febbraio Segni scioglie le Camere e indice elezioni per il 28 aprile 1963.
Giovanni XXIII mescola le carte. In Vaticano, intanto, papa Giovanni XXIII non manca di stupire: dopo essere stato il primo papa ad uscire dal Vaticano dalla breccia di Porta Pia, addirittura lascia entrare nello Stato pontificio il genero di Nikita Chruščёv, a capo dell’Unione Sovietica. Questo incontro ha una ragione profonda: pochi giorni dopo, infatti, Giovanni XXIII pubblicherà l’enciclica Pacem in terris, nella quale fa appello agli “uomini di buona volontà” a comporre i dissidi (all’epoca USA e URSS vivevano crisi terribili, erano gli anni del muro di Berlino e della crisi dei missili di Cuba) non con le armi, ma con la discussione, che dovrà basarsi, quindi, sul riconoscimento reciproco. L’effetto dell’enciclica, almeno in Italia, sarà però contrastato: se da un lato rafforzerà il PCI, ora riconosciuto, in qualche modo, perfino dalla Chiesa, dall’altro lato non farà crollare la diffidenza della DC, che continuerà a comprimere il PCI, con conseguenze critiche.
Le elezioni del 1963, il governo Leone I e l’avvento di Moro. Alle elezioni, il PCI, come abbiamo appena accennato, cresce di alcuni punti percentuali, a scapito di DC e PSI, che però mantengono saldamente la maggioranza. La crescita del PCI, però, mantiene fredda la DC, che decide di rimandare l’esperienza del centrosinistra organico, ovvero con il PSI al governo. Moro deve ancora terminare di tessere la sua tela, e rinuncia all’incarico di governo. Giovanni Leone viene scelto da Segni per formare il governo, che sarà monocolore DC e “balneare”, ovvero con l’unico scopo di approvare la legge di bilancio, che all’epoca doveva essere approvata il 31 ottobre. Incassata una risicata fiducia, nell’estate del 1963 (ecco perché si chiamano governi balneari) Leone mette al lavoro la sua squadra che durerà, come detto, fino al 5 novembre, ma dovrà affrontare il disastro del Vajont, che portò alla morte di quasi duemila persone e comincerà a portare alla luce i primi difetti del sistema economico-politico italiano. Ricominciano le consultazioni e Moro, questa volta, è l’assoluto padrone della scena politica. Chi si oppone viene sconfitto una volta per tutte, come Mario Scelba che, dopo molti anni da protagonista, lascerà la scena politica italiana. Moro forma un governo insieme a PSI, PSDI e PRI: i socialisti hanno sei ministri e il vicepresidente del Consiglio, il segretario Pietro Nenni. Moro, infine, lascia la segreteria della DC a Mariano Rumor. Leone, invece, diventerà avvocato dell’ENEL nel processo sul Vajont e riuscirà a far risparmiare allo Stato (visto che l’ENEL era di proprietà dello Stato) miliardi di risarcimento che sarebbero stati dovuti ai superstiti del disastro.
Non mi voglio soffermare sul Vajont, perché ci sarebbe un bel po’ da dire su certi “malcostumi”, cui ci abitueremo negli anni fino ad oggi. Mi fermo qui, visto che stavolta mi sono dilungato un bel po’: sarà una necessità perché da questo momento in poi comincerà il “divertimento”. La prossima volta, infatti, parleremo della fine del boom economico, di golpe e di qualche riforma che in questi giorni sta tornando alla ribalta. Alla prossima, allora!