Fra le manovre che sarebbero state prese per creare una rete di sicurezza in grado di attutire la caduta di una o più banche italiane c’è la possibilità per il ministero del Tesoro di entrare nel capitale della banca in difficoltà attraverso l’acquisto di azioni privilegiate, immettendo quindi soldi pubblici nel capitale della banca, come per darle ossigeno.
Le azioni privilegiate danno al possessore tutta una serie di diritti aggiuntivi, come la possibilità, in caso di fallimento della banca, di essere rimborsati prima degli altri azionisti, o di ricevere dividendi aggiuntivi. A questi diritti aggiuntivi si aggiunge però un costo da pagare, e quel costo è l’impossibilità di votare durante le assemblee ordinarie della società, ovvero quando si svolge un importante evento: l’elezione del consiglio di amministrazione (CdA), ovvero delle persone che gestiranno materialmente i soldi prestati dallo Stato.
A questo punto entra in gioco una locuzione famosa, pericolosa, ma che in Italia, ormai, è una cosa normalissima: si chiama conflitto di interessi. Nel nostro caso, il problema è dovuto all’azzardo morale.
In cosa consiste l’azzardo morale: se io presto dei soldi a Tizio perché vuole aprire una gelateria, non essendo soldi suoi, Tizio sarà incentivato ad usare i soldi che gli ho prestato per un altro motivo, per esempio per giocare in borsa (tanto sono io che li perdo, mica lui…). Per risolvere il problema di azzardo morale di solito si interviene concedendo a chi presta la possibilità di esercitare un controllo sulla gestione del denaro, per esempio entrando nella società. Quindi, per controllare l’investimento di Tizio, io gli presto i soldi, ma in cambio voglio diciamo la metà della gelateria, per evitare che lui faccia scemenze con i miei soldi.
Nel caso delle banche e delle azioni privilegiate, se lo Stato presta alla banca dei soldi entrando nel capitale con le azioni privilegiate, potrebbe accadere la stessa cosa: il CdA sarà incentivato ad assumersi più rischi, perché il capitale è dello Stato e lo Stato non ha la possibilità di mandarlo a casa, perché le azioni privilegiate non hanno diritto di voto.
Qui entra in gioco un problema tipico degli scommettitori: se io gioco X e perdo, la volta successiva sarò incentivato a giocare 2X, perché in questo modo riuscirò a rifarmi della perdita. Lo stesso accade nel caso in esame: visto che ho perso X, adesso mi conviene giocare 2X (ovvero puntare ad investimenti a rischio e rendimento più elevati), e visto che i soldi non sono miei, ma di uno che non può farmi nulla, mi conviene rischiare.
Io penso che lo Stato dovrebbe trasformarsi in una sorta di venture capitalist, ovvero che dovrebbe comprare azioni ordinarie, ma senza entrare nella gestione vera e propria. Se però il CdA cominciasse a usare male i soldi prestati, avrebbe la facoltà di intervenire per rimuoverlo e impedire di sperperare denaro pubblico. Una volta che la banca si è rimessa in piedi, lo Stato non dovrebbe fare altro che vendere le proprie quote, rientrando nel proprio investimento. In questo modo avrebbe il controllo che i soldi vengano spesi bene, senza però entrare direttamente nella gestione.
Il problema, nella pratica, diventa un altro: avendo a capo del Governo un tizio (Berlusconi) che usa lo Stato come un proprio giocattolo per realizzare i suoi propri fini (come dimenticare che qualche giorno fa ha consigliato al mondo, in veste di Presidente del Consiglio italiano, di acquistare le azioni della sua Mediaset, distorcendo il mercato in modo clamoroso?). Quindi se lo Stato finisse per entrare nel capitale di una banca, questa finirebbe per entrare nell’orbita di Berlusconi (e un obiettivo già c’è, Unicredit, che controlla una bella fetta di Mediobanca e di Generali, cosa che fa sbavare Berlusconi, come abbiamo visto tempo fa).
Ricapitolando: la cosa migliore, in teoria, è comprare azioni ordinarie per evitare lo spreco di denaro pubblico. In pratica, però, la cosa non è fattibile, né auspicabile, visto che diventerebbe semplicemente un altro tassello nell’impero economico di Berlusconi.
Rassegnamoci: il conflitto di interessi, di cui Berlusconi è l’incarnazione, rende l’Italia inevitabilmente zoppa.