Silvio Berlusconi, finalmente, è riuscito a mettere piede nella stanza dei bottoni della finanza italiana: il Consiglio di Amministrazione di Mediobanca, il salotto buono della finanza italiana. A chi non è “addetto ai lavori” questo potrà non dire niente, ma in realtà si tratta di un fatto che aggrava i già esistenti punti deboli di Silvio Berlusconi inteso come politico. Vediamo perché.
Sono anni che Silvio Berlusconi tentava di entrare in quel salotto, e ci aveva provato in tutti i modi, con gentilezza e con spallate. Ma no, non poteva: il fondatore Enrico Cuccia e il suo delfino, Vincenzo Maranghi, glielo avevano sempre impedito. Poi, nel 2003, tutto è cambiato.
Enrico Cuccia era già morto nel 2000, Maranghi, invece, è stato fatto fuori nel 2003, quando Unicredit e Capitalia, guidati dall’allora governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio (sì, quell’onest’uomo lì, l’amico di Ricucci e Fiorani e gli altri furbetti del quartierino), decisero che era il caso di dare una svolta. Tuttavia le banche hanno tenuto Berlusconi alla larga ancora per un po’, fino a quando non è sceso in campo un certo Vincent Bolloré, un magnate dei media francesi (!), che ha spianato la strada all’amico Silvio.
Ma cosa è Mediobanca, e perché Berlusconi voleva entrarci a tutti i costi?
Mediobanca è una banca molto particolare: difficilmente potrete entrarci per aprire un normale conto corrente (per farlo dovreste usare la nuovissima CheBanca!). Questa banca nacque per finanziare la ricostruzione nel dopoguerra e grazie a questa posizione, con il tempo, ha assunto partecipazioni rilevanti in numerose imprese italiane, come le assicurazioni Generali, Telecom Italia, RCS-Corriere della Sera e molte altre.
Insomma, i più grandi affari italiani passano da quelle parti. E Berlusconi, per questo motivo, doveva entrarci a tutti i costi.
Aveva provato a unire le Generali con la banca Mediolanum, controllata al 35% dalla Fininvest.
Aveva tentato di comprare Telecom Italia, per farne un gigantesco colosso dei media insieme a Mediaset.
Aveva provato a scalare il Corriere della Sera.
Ma Mediobanca ha sempre risposto con un gentile, ma odioso “No”.
Adesso che Berlusconi è tornato presidente del Consiglio, ha nuovamente la possibilità di fare favori ai cosiddetti “amici”. Un po’ con la carota (i favori, non ultimo quello di Alitalia), un po’ con la mazza (Bolloré, influentissimo in Mediobanca), Berlusconi, attraverso la figlia, è entrato nel Consiglio di Amministrazione, ovvero potrà decidere le sorti di tutte le società su cui ha il controllo Mediobanca, comprese le tanto amate Generali, Telecom Italia e il Corriere della Sera, il maggiore quotidiano italiano.
I conflitti di interessi, ovvero il punto debole più forte di Berlusconi, si aggrava enormemente, perché il presidente del consiglio non solo controlla il suo proprio impero, ma adesso mette le mani anche su un impero, meno conosciuto, ma non meno importante: quello di Mediobanca.
Tutto finito? Non proprio: Mediobanca è di per sé il salotto dei conflitti di interessi (basti pensare che il controllo di Mediobanca è in mano a due suoi concorrenti, Unicredit e Capitalia). Inoltre spesso Mediobanca controlla anche quelle che dovrebbero controllare lei, in un intricatissima rete di collegamenti che racchiude in sé gran parte dell’economia italiana (secondo Geronzi, presidente di Mediobanca, tali collegamenti sarebbero 1 200).
Infine la chicca: oggi Berlusconi è solo un socio di minoranza del patto di sindacato. All’interno del patto c’è solo un 1% (ovvero il 2% del patto), ma Fininvest controlla in totale il 2,2%. A questa partecipazione si aggiunge quella della controllata Mediolanum, al 3,4%, per un totale di 5,6%.
Il patto di sindacato (ovvero un accordo fra vari soggetti per tenere sotto controllo Mediobanca) scade a fine 2009. Tutto lascia intendere che il patto, in quella data, non verrà prorogato, ma rinnovato. Il che significa che qualcuno potrebbe rimanere fuori, altri potrebbero entrare. E allora facciamo due conti.
Fininvest-Mediolanum controllano il 5,6% circa, mentre Bolloré arriva al 5%. Da soli, questi due, potrebbero controllare nel 2009 almeno il 20% di un patto di sindacato.
Poi ci sono i Benetton (che possiedono le Autostrade, cui Berlusconi ha già fatto un favore, membri della CAI), che controllano un altro 2,2%, i Ligresti (membri della cordata della CAI per Alitalia, che patteggiarono durante Tangentopoli) con il 4,1%, Carlo Tassara (che controlla il 6% di Intesa Sanpaolo, altro membro della cordata Alitalia) con il 2,2%. Poi ce ne sono altri, come Pirelli (altro membro CAI). E vi risparmio tutti i legami che questi gruppi hanno tra di loro (uno per tutti: Benetton e Ligresti controllano Impregilo, che controlla la FIBE, uno dei protagonisti della crisi dei rifiuti in Campania, che Berlusconi dice di aver risolto).
Insomma, nel 2009 potrà accadere di tutto e Berlusconi è in prima fila: in ballo ci sono le sorti della più grande compagnia di assicurazioni italiana (Generali), del più grande quotidiano italiano (Corriere della Sera) e della maggiore compagnia telefonica italiana (Telecom Italia).
Il conflitto di interessi si allarga in modo semplicemente pauroso. E le unghie che Berlusconi ha sull’Italia sprofondano sempre più nella carne del nostro Paese.
Qualcuno ha ancora dubbi su quali siano gli interessi principali di quello che dovrebbe guidare il nostro Paese?