Visto il grande successo (in termini di traffico e di commenti) dell’articolo precedente (riguardante la non vera contraddizione in termini fra bassi salari e alto costo del lavoro) e visto che oggi ho un esame correlato all’argomento 😀 , voglio lasciare qualche appunto per approfondire la questione.
Un modello macroeconomico ci dice che il salario reale (ovvero il salario nominale W – i numerini scritti sulla busta paga – diviso per il livello dei prezzi P) è una funzione della produttività A (che, non è un caso, è anche la lettera che contraddistingue la tecnologia) e del markup µ, ovvero quanto le imprese aggiungono ai costi per produrre un bene per avere un profitto. In particolare la formula magica è
non considerando le aspettative. Questo ci dice che il salario reale cresce se cresce la produttività , decresce se aumenta il markup µ e viceversa. Infatti se oggi aumenta la produttività , produrre lo stesso bene costa meno che ieri, quindi i prezzi non crescono (in teoria scendono, in pratica no, per vari motivi) e il salario reale, di cui i prezzi P è il denominatore, cresce.
Correggendo il modello con le aspettative e guardando all’evidenza empirica, possiamo aggiungere che quando imprese e lavoratori si incontrano per decidere W (il salario nominale) comprendono al suo interno anche la produttività A. Ma attenzione: l’evidenza empirica ci dice che l’aumento del salario nominale riflette l’aumento della produttività passata più che quella futura (Blanchard, 2006), e questo vuol dire che i salari nominali non incorporano istantaneamente l’aumento di produttività , a differenza dei salari reali (visto che se la produttività aumenta oggi, produrre un bene diventa meno costoso oggi).
Taccio di altre conseguenze positive: riassumendo, l’aumento della produttività (ovvero della tecnologia) ha effetti positivi sui salari reali, e questo fa abbassare il costo del lavoro e alzare il livello degli stipendi.
Inoltre nel lungo periodo un’economia, per continuare a crescere, deve progredire tecnologicamente (modello di Solow).
In conclusione, un Paese che vuole crescere non può non incentivare la produttività , e qualunque misura voglia prendere, il Governo deve puntare ad accrescere la produttività e la tecnologia. Cosa che in Italia non si fa: le imprese, di solito, utilizzano i guadagni non per aumentare la produttività , ma per ingrassare le tasche degli azionisti. Inoltre lo Stato fa poca e pochissima ricerca di base, che è la ricerca che le imprese non possono fare e senza la quale non possono innovare (ovvero aumentare la produttività ).
A tutto questo si aggiunge il fatto che gli italiani non riescono più a risparmiare (perché gli stipendi sono bassi) e questa diminuzione del tasso di risparmio fa cadere il prodotto pro-capite. In poche parole ho spiegato perché l’Italia, oggi, è a crescita zero: poco risparmio e poca tecnologia (negli ultimi decenni) hanno portato (oggi) al livello in cui siamo.
Tutto chiaro? 🙂