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Italia al voto: la trappola delle maggioranze e il fascio littorio

Ora, senza fare troppi conti arzigogolati, che a quest’ora non sono un toccasana, prendo le cose come stanno e faccio due considerazioni, prendendo qualcosa dai sondaggi sulla Camera.

La legge elettorale vigente, il Porcellum di Roberto Calderoli, prevede per la Camera una soglia di sbarramento su base nazionale del 10% per coalizione, del 4% per liste non collegate (i partiti che corrono da soli) e del 2% per le liste collegate. Fatti due conti, spariscono, fra le più famose degli ultimi tempi, la Rosa Bianca, il Partito Socialista, l’Udeur (alleluja!), i Radicali e la Destra.

Alla Camera si avrebbero quattro gruppi parlamentari:

Stando così le cose, al PdL spetterebbe, come da legge elettorale, il 55% dei seggi della Camera, ovvero 340 seggi, potendo contare quindi su una maggioranza stabile. Al Partito Democratico andrebbero circa 200 seggi, alla Sinistra Arcobaleno 51 seggi, all’UDC 39.

Contando le coalizioni uscenti, il centrodestra avrebbe circa 380 seggi (il 60% del totale), mentre il centrosinistra circa 250 (il 40% del totale). Quindi, due partiti con, in totale, il 50% dei voti, prenderebbero il controllo del 60% della Camera.

Al contrario, se l’UDC fosse dentro il PdL, l’intera coalizione con la Lega Nord passerebbe dal 44% al 46% (non una semplice somma, quindi). Quindi a questa coalizione spetterebbero 340 seggi. Al Partito Democratico 240, alla Sinistra Arcobaleno 50, per un totale di 290. Il controllo della Camera, con l’UDC nel PdL, passerebbe dal 60 al 55%.

Una cosa simile può accadere anche al Senato? Sì, su base regionale, ma la cosa è un po’ più complicata. Correndo divisi, in una legge elettorale con un premio di maggioranza simile i voti che sarebbero destinati alle opposizioni si spaccano, mentre la maggioranza, anche piccola, ne ha sempre una certa disponibilità.

Uno scenario simile accadrebbe anche se vincesse il Partito Democratico, con la Sinistra Arcobaleno al posto dell’UDC.

Perché ho fatto questi conti? La cosa è presto svelata: Benito Mussolini, il 28 gennaio del 1924, pronunciò un discorso dal balcone di piazza Venezia in cui affermava che il Partito Nazionale Fascista avrebbe respinto ogni alleanza elettorale con altri partiti, ma che avrebbe accettato tutti coloro che avessero espresso il desiderio di entrare nel Listone. L’adesione doveva avvenire a titolo personale, perché si dovevano superare i tradizionali partiti politici. Sicuri di ottenere la maggioranza richiesta (con il 25% dei voti si ottenevano il 66% dei seggi), accanto al Listone i fascisti presentarono una seconda lista, che aveva lo scopo di rosicchiare altri voti al centrosinistra. La strategia ebbe successo, e la storia andò come sappiamo.

Oggi:

  1. Se contiamo che le elezioni del 1924 e quelle del 2008 hanno come carattere comune il fatto che vi sia un premio di maggioranza assurdo (e che la Corte Costituzionale ha dichiarato, in modo purtroppo non esplicito, incostituzionale);
  2. Se contiamo che le elezioni del 1934 e quelle del 2008 hanno come carattere comune il fatto che i parlamentari vengono scelti dai partiti, togliendo al cittadino la libertà di scelta (= di elezione);

allora si può affermare che qualunque maggioranza vinca, il risultato sarà assurdo, alla faccia della democrazia.

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