Nella sua raccolta di articoli Berlusconi e gli anticorpi. Diario di un cittadino indignato
La malattia si è poi espansa, aggredendo il “sistema immunitario” del Paese, già indebolito per motivi strutturali che precedevano Berlusconi. Gli effetti di questa malattia sono sopravvissuti anche a ciò che è venuto dopo la fine dell’era Berlusconi. Il risultato è stato un Paese tutte chiacchiere, poca sostanza e tanta rincorsa verso il dirupo.
Negli Stati Uniti sta succedendo qualcosa di simile con la candidatura sinora inarrestabile di Donald Trump, altro uomo d’affari “sceso in campo”. La differenza, in questo caso, è che gli anticorpi (soprattutto i giornalisti) non sono stati indeboliti da decenni di collusione con il potere, ed è la ragione per la quale la corsa di Trump, molto probabilmente, non arriverà al 20 gennaio 2017, quando la Casa Bianca avrà un nuovo inquilino.
La candidatura di Trump ha sorpreso per la sua longevità: in molti credevano che la corsa dei tycoon si sarebbe esaurita presto perché particolarmente inconsistente, tanto che alcuni giornali l’avevano inizialmente trattata come notizia di entertainment invece che di politica. Invece, aiutato da una diffusa diffidenza verso una politica immobile e rissosa, Trump è diventato il frontrunner dei repubblicani. Anche questo ricorda quel che è avvenuto negli anni Novanta e nei primi del Duemila in Italia.
Come Berlusconi, Trump si è dimostrato efficace nello sfruttare i media, ma, a differenza di Berlusconi, non li controlla né li può manipolare. Infatti, diversamente che in Italia, gli anticorpi sono infine entrati in funzione. Per esempio John Oliver, che a differenza del suo mentore Jon Stewart non ha una particolare ossessione per Trump, aveva ignorato la sua candidatura, ma nell’ultima puntata del suo Last Week Tonight lo ha sonoramente arrostito, evidenziandone le contraddizioni e il populismo e infine ridicolizzandolo, da giullare contro giullare, chiamandolo con il meno roboante cognome dei suoi antenati, ovvero Drumpf (( Il cambio di cognome è avvenuto un paio di secoli fa, quindi Donald Trump non c’entra niente. )) .
Sembra una sciocchezza, ma riderne aiuta a rendere la candidatura di Trump meno inarrestabile e potenzia il messaggio precedente, ovvero la pericolosità del populismo di Trump. In Italia i nostri presunti autori satirici sarebbero passati, al massimo, direttamente al Drumpf: uno sfottò assolutamente inutile e facilmente superabile dal candidato, magari con una comparsata nello stesso spettacolo.
Get a #MakeDonaldDrumpfAgain hat at https://t.co/lGqmpDEDFX! pic.twitter.com/NySwGdPogf
— Last Week Tonight (@LastWeekTonight) February 29, 2016
Durante l’ultimo dibattito repubblicano su FOX News, poi, oltre al prevedibile attacco degli altri contendenti alla nominations (attacchi piuttosto “immaturi”, diciamo così), sono intervenuti anche i moderatori del dibattito, con un fact checking in tempo reale molto più duro dei precedenti che gli ha lasciato poco respiro e che ha fatto emergere altre contraddizioni.
Anche qui le differenze con l’Italia sono enormi. I giornalisti, per quanto biased (un po’ di parte) come quelli della FOX e quindi interessati ad un dibattito vivace ma pure “interessato”, non si sono inginocchiati di fronte al possibile candidato repubblicano in vista di futuri favori e appoggi, che invece sono molto comuni fra i giornalisti italiani, che in pratica vivono di SMS di questo o quell’ufficio stampa che poi chiamano “retroscena”.
La candidatura di Trump (come quella degli altri candidati) sarà sempre più attaccata dagli anticorpi nei prossimi mesi, man mano che ci saranno meno papabili, e per questo ha ancora elevate probabilità di sgonfiarsi. Uno degli argomenti su cui potrebbe cadere, per esempio, è quello dei soldi. Trump afferma di essere un uomo di successo, ma in realtà ha ereditato la sua fortuna e la sua ricchezza attuale è inferiore rispetto a quanto avrebbe se avesse investito l’eredità in banali strumenti finanziari.
Ci sono dubbi sulle sue dichiarazioni dei redditi, che devono essere ancora rese pubbliche, e poi c’è la grande panzana dell’autofinanziamento della campagna elettorale (“sono ricco, non ho bisogno di donazioni”). La verità è che, a parte una piccola donazione, Trump ha prestato (non donato) soldi alla propria campagna elettorale, e sta raccogliendo donazioni piuttosto copiose. Come andrà a finire? Facile: quando la campagna sarà terminata, Trump userà il denaro delle donazioni per pagare tutti i debiti, compresi quelli a sé stesso. Se ne riparlerà probabilmente ad aprile, quando saranno pubblicati i dati finanziari trimestrali.
Sono tutti appigli buonissimi per gli anticorpi, i quali, con l’avvicinarsi dell’estate delle convention e l’autunno del voto, ne faranno certamente buon uso per fermare il pericolo Trump.
Ci riusciranno? Non è detto, perché la politica e la società statunitensi sono in un momento molto delicato e in subbuglio (per questo Trump sta avendo tanto successo), per questo gli anticorpi sono evidentemente indeboliti.
Ma pure se Trump dovesse riuscire a conquistare la Casa Bianca, va ricordato che il sistema politico USA è molto ben bilanciato (i famosi pesi e contrappesi), per cui esistono anticorpi (la magistratura, ad esempio: la Corte Suprema non è influenzabile come la Consulta italiana) che lavoreranno dopo l’elezione per arginare l’esuberanza di Trump.
La questione, insomma, è tutta lì: se gli anticorpi funzioneranno, gli Stati Uniti riusciranno a sopravvivere anche a Trump. Se smetteranno di funzionare, anche gli Stati Uniti, che già non se la passano troppo bene politicamente parlando, conosceranno il declino che abbiamo sperimentato negli ultimi decenni qui in Italia.
Ecco perché gli anticorpi, i giornalisti in particolare, sono un tesoro da proteggere, non dei nemici da abbattere o dei cani (o dei PR) da ammaestrare: servono a fermare il potere prima che diventi servo esclusivo di sé stesso, invece che della comunità che governa. L’alternativa, noi italiano li sappiamo bene, è il trionfo dell’apparenza e il declino della sostanza: una combinazione che porta alla morte.