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Il reddito di cittadinanza (quello vero) e il compromesso con la realtà

A distanza di tre giorni, una novantina di commenti e qualche migliaia di visite, finalmente nei commenti all’articolo sul reddito di cittadinanza bufala proposto da Grillo è venuta a galla una dimenticanza (che dimenticanza non era): ho volutamente dimenticato di inserire un’importante fonte di copertura del reddito di cittadinanza, perché volevo fare un esperimento e dimostrare quanto sia necessario essere pronti a scendere a compromessi con la realtà in primo luogo, e con altri politici, in secondo luogo, se si vuole fare vera e buona politica.

Un esempio già c’era, basta vedere l’esperienza del grillino Pizzarotti a Parma, il quale, chiamato a governare si è dovuto rendere conto che certi punti del programma erano semplicemente infattibili e che, se non si voleva buttare al macero (o meglio, nell’inceneritore) tutta la città, bisognava guardare in faccia alla realtà.

Qual è dunque questa dimenticanza?

Qualcuno mi ha detto che Grillo ne ha parlato nei comizi. Non in quelli (due) che ho sentito io, ma forse sono stato sfortunato o distratto, per cui mi fido, va bene, l’ha detto.

La fonte di copertura di copertura dimenticata altro non è che la cassa integrazione (ordinaria, straordinaria, in deroga) e le altre forme di sussidio, che verrebbero aboliti, con grande sollievo per l’economia italiana, visto che sono paurosamente insufficienti. Tutti questi sussidi sono costati circa 20 miliardi nel 2012, di cui 8 coperti da contributi, gli altri dalla fiscalità generale e da fondi regionali (ovvero sono stati sottratti a servizi, investimenti per infrastrutture e robetta simile). In altre parole, di soldi veri ne abbiamo trovati 8 miliardi l’anno. Ne mancano 27 per coprire il reddito di cittadinanza (o meglio, il sussidio di disoccupazione: faremo finta che non ci sia differenza) ai disoccupati.

Al netto dei soldi spudoratamente inventati nell’articolo precedente e delle favole, se abbiamo un po’ di fortuna, siamo in grado di trovare un’altra decina di miliardi, facciamo che in totale arriviamo a 20 (sarebbero 18 scarsi, ma come al solito siamo buoni). Non arriviamo a coprire i 1000 euro al mese ai disoccupati (lasciamo perdere il resto della popolazione), ma un sistema alla tedesca (dopo un anno di sussidio, un programma di circa 300 euro per adulto, 200 per bambino più 300-500 per l’affitto) potremmo riuscire a progettarlo.

Servono delle precisazioni e dei caveat. Il sussidio deve tutelare il lavoratore, non il posto di lavoro. La cassa integrazione serve a mantenere in vita aziende cotte, e questo è sbagliato: le aziende cotte devono ristrutturarsi a spese proprie oppure chiudere e lasciare spazio e risorse a quelle nuove, che creano nuovi posti di lavoro. Nel mentre lo Stato deve sostenere parzialmente il tenore di vita del disoccupato, una certa percentuale dello stipendio fino a un tetto massimo, per un tempo limite (al massimo un anno), e per importi decrescenti, perché il disoccupato non deve comunque rimanere con le mani in mano, e se la congiuntura è sfavorevole deve essere disposto ad arrangiarsi in attesa di tempi migliori, non certo vivere a spese della collettività.

Dopo un anno di sussidio lo Stato dovrebbe un po’ rompersi le scatole, e corrispondere al disoccupato il sussidio minimo, che chiameremo “il programma”.

Il programma va costruito per bene per evitare che uno se ne approfitti. Per esempio, il programma non dovrebbe essere rinnovato automaticamente: ogni sei mesi dovresti fare un colloquio per spiegare che il lavoro lo hai cercato, ma non lo hai trovato, spiegare perché non hai accettato le offerte che ti ha passato il programma stesso o dimostrare di aver ripreso gli studi o la formazione professionale. E se la giustificazione è insufficiente, il sussidio te lo decurto di un terzo alla volta, e al terzo rifiuto te lo sospendo per qualche mese. Tale sospensione andrebbe a finire in un registro a disposizione dei potenziali datori di lavoro, a integrazione del curriculum, diciamo. Nel registro finirebbero pure tutte le volte che una persona finisce nel programma, in modo tale da potere capire se uno entra ed esce dal sistema solo per mangiare a spese dello Stato, e per avvertire le aziende che potrebbero assumerlo che hanno a che fare con un fannullone, e agire di conseguenza.

Che dite, troppo brutale? In Germania funziona così: chi può lavorare o almeno studiare, deve studiare o lavorare. Il bengodi è finito, nel caso non ve ne foste accorti. Mi rendo conto che può sembrare disumano (specie la parte relativa alla gogna), ma guardiamo in faccia alla realtà: hai un anno di grazia prima di entrare nel programma, dopodiché io Stato comincio a perdere la pazienza solo dopo ancora altri mesi, se fai lo schizzinoso e ti metti a rifiutare lavori. Ormai non lavori da un anno e mezzo, due anni: in tutto questo lasso di tempo neanche un lavoretto part-time di sei mesi sei riuscito a trovare? La congiuntura economica fa schifo e non si trova lavoro manco a farlo gratis? Nessuno ti dice niente. Ma se il lavoro te lo trovo io Stato e tu lo rifiuti e pure più volte, io ti riempio di mazzate. Posto che non hai problemi fisici, non è che se non ti piace fare un lavoro “umile o squalificante” io posso farti mangiare a spese degli altri in attesa che si liberi il posto di Regina d’Olanda. Intanto fai il lavoro “umile”, poi quando il trono si libera te ne vai ad Amsterdam.

Un sistema del genere non si costruisce dalla sera alla mattina: in Germania i lavori per Hartz sono iniziati nel 2002 e sono finiti con l’introduzione di Hartz IV nel 2005. Da noi, se tutto va bene, si parte dal 2015, se si comincia a lavorare seriamente dal 10 marzo.

Ma non è mica finita qui.

Spiacerà a molti, ma servono altre misure collaterali, tipo aumentare la tracciabilità dei pagamenti e rafforzare il redditometro per chi è nel programma (senza dare superpoteri all’Agenzia delle Entrate, non ce n’è bisogno). Esempio: l’abuso che vogliamo evitare è che uno entri nel programma e poi lavori in nero, prendendo in sostanza due stipendi. Per evitare ciò: 1) i trasferimenti di denaro oltre una certa soglia (bassa: 100-200 euro) vanno fatti per via elettronica o comunque non per contanti o altre forme “nascondibili”; 2) anche in sede di colloquio di cui qualche paragrafo sopra, il funzionario dovrebbe poterti chiedere come mai, se ricevi un sussidio di 300 euro, ne riesci a spendere 800, e se la spiegazione è insufficiente, il funzionario dovrebbe poter passare ad altro reparto una segnalazione per far partire controlli più approfonditi.

Niente stato di polizia tributaria, insomma: la maggiore attenzione del fisco è rivolta solo a chi entra nel programma (sono soldi pubblici, dopotutto, devono essere spesi bene), e ci sono ben tre filtri, prima che partano le cartelle e il processo tributario (con altri filtri contro gli errori).

Che dite? Abbiamo complicato un po’ troppo le cose?

Beh, il discorso che ho fatto finora è anche semplificato. Ho tralasciato tutta la riforma del mercato del lavoro che dovremmo fare nel frattempo per rendere sfavorevole il sommerso, per cancellare la precarietà, per creare flessibilità e garanzie, e scordiamoci pure che bisogna anche fare una riforma del fisco per tagliare il cuneo fiscale (fra le altre cose): sono altri mesi e mesi di lavori, e tutto questo è necessario per finanziare e far funzionare il nostro sussidio, sono gambe della stessa sedia, non puoi farle una più lunga e una più corta (( Lasciamo perdere gli estrosi del design. )) . E lasciamo perdere anche una riforma del diritto fallimentare, che male non ci starebbe.

Volevo dimostrare che le bugie hanno le gambe corte, certo, ma soprattutto un’altra cosa.

Se ci lavoriamo un po’ su forse possiamo riuscire a costruire qualcosa, ma i 1000 euro al mese per i prossimi tre anni sono una boutade. Possiamo dare un piccolo sussidio di disoccupazione fra qualche anno, ma oltre a trovare i soldi dobbiamo anche creare un sistema che limiti gli abusi e favorire la creazione di posti di lavoro.

Questo significa studiare la situazione, ideare soluzioni, fare proposte di legge, promuoverle, andare in commissione, dialogare, trovare compromessi, andare in aula, dialogare, trovare compromessi e infine votare, dopodiché si ricomincia nell’altra Camera. Lasciamo perdere berlusconiani, leghisti e analfabeti vari che sono il peggio del peggio del peggio e hanno perso qualunque credibilità, escluso che per quel 30% di popolazione italiana con evidenti problemi di memoria, ma i grillini parlamentari che faranno?

Le assemblee del movimento daranno ai candidati sufficiente libertà di manovra o 1000 euro sono stati promessi e 1000 devono essere, per cui alla fine non se ne farebbe nulla? Se i candidati avranno sufficiente libertà, saranno in grado di portare avanti autonomamente le trattative? Le assemblee accetteranno il compromesso? I candidati eletti saranno in grado di leggersi le relazioni tecniche e rendersi conto che oltre certi limiti (la realtà) non si può andare o sarà un complotto di Pippo e Pluto? Passata la sbornia della campagna elettorale, Grillo diventerà responsabile, accetterà l’infattibilità di gran parte del suo programma (per lo meno nel breve termine) e collaborerà con altre forze politiche come abbiamo fatto noi nei commenti all’articolo precedente, in modo da tirar fuori qualcosa di decente? Oppure dirà «Noi l’abbiamo proposto, ma la kasta non ce lo vuole dare, vaffan****!»? E se fra quei 100-150 parlamentari ci sarà qualcuno dotato di senno e farà timidamente notare che le cose non stanno come dice il grande capo, farà la fine di Favia e Salsi, dileggiati, offesi, espulsi e minacciati?

Magari andrà tutto bene, per carità, ma permettetemi di avere dubbi: sappiamo come Grillo tratta il dissenso; sappiamo che, avendo alzato troppo le aspettative, se Grillo dovesse abbassarle, perderebbe consenso, e a lui la rabbia serve come collante del movimento; sappiamo che i videocurriculum dei candidati mostrano volti nuovi e in apparenza più puliti, ma pure che si tratta di dilettanti allo sbaraglio (non riesco a togliermi dalla testa la signora che “votatemi perché faccio le torte”). Sia ben chiaro, “nessuno nasce imparato”, ma fra aule e commissioni ci saranno persone tecnicamente molto preparate (se non i parlamentari altrui, i vari burocrati): se io non sapessi cosa significa e cosa implica essere nel programma F35, me lo farei spiegare da un esperto, e l’apparato burocratico è lì per questo. Ammetteranno i grillini, eventualmente, la loro ignoranza su argomenti che ignorano (nessuno è tuttologo, ma i parlamentari votano comunque su qualunque cosa, dai cacciabombardieri alla tutela del piccione prataiolo, la burocrazia esiste anche per aiutarli in questo) o urleranno anche ai tecnici “siete morti!” quando gli spiegheranno che la faccenda degli F35 è leggermente più complessa di quanto ha detto Grillo?

Politica significa fare compromessi, in primo luogo con la realtà. Chiunque vinca, il 26 finirà il tempo della fuffa.

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