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Fare o non Fare per Fermare il Declino (parte 2)

Ha detto bene Crozza in uno dei suoi monologhi ieri sera: «Solo nel Paese delle meraviglie quando fanno delle promesse elettorali speri che ti prendano per il cu*o». Pare che se tutte le proposte fiscali promesse dai partiti passassero ci costerebbero 180 miliardi, che andrebbero trovati da qualche parte. Magari tagliando ricerca, istruzione, sanità, pensioni… Mi chiedo se qualcuno ha mai notato che in questo Paese, a ogni taglio delle tasse tentato, o a ogni tentativo di compressione ragionato della spesa, è sempre corrisposto un aumento delle tasse e un taglio finale della spesa fatto con l’accetta. La finiamo di credere a demagoghi e ignoranti?

Il programma che finora più ha cercato di affrontare l’argomento con razionalità, pur con pesanti ombre e dubbi, è stato quello di Fare per Fermare il Declino, di Oscari Giannino. Qui di seguito la parte 2, su questa pagina la parte 1. Spoiler alert: la seconda parte diventa progressivamente una delusione, non azzeccandoci niente con la prima. Peccato.

Il quinto punto del programma di Fare concerne la disoccupazione. Qui siamo in pieno raziocinio economico: piuttosto che spendere soldi per tenere in vita imprese cotte e stracotte, senza futuro e tenute in vita solo dai sussidi pubblici, Fare preferisce usare tali quattrini per sostenere il reddito dei disoccupati e la loro formazione, in vista di un rientro nel mercato del lavoro. Si deve tutelare il lavoratore, non il posto di lavoro. Non è una differenza da poco: nel secondo caso c’è il fondatissimo rischio di tutelare l’inefficienza. Dobbiamo cominciare a convivere con l’idea che il posto di lavoro non è per sempre, e che in un mondo che cambia velocemente, presto o tardi arriverà qualcuno o qualcosa che ti renderà obsoleto. L’unica cosa che possiamo fare è diventare sempre più bravi e formarci continuamente. In questo punto manca un approfondimento che era meglio Fare.

Il sesto punto riguarda le legislazione sul conflitto di interessi e la lotta alla corruzione: è una dichiarazione di intenti comune un po’ a tutti i partiti non berlusconiani, ma senza sostanza.

Sul settimo punto (riforma della giustizia) posso dire assai poco (se qualcuno volesse colmare la lacuna, queste pagine sono a disposizione).

All’ottavo punto Giannino e soci si occupano della questione giovanile e, soprattutto, di quella femminile. Per la prima sono presenti generiche dichiarazioni di intenti, per la seconda un interessante approfondimento. Le donne devono avere la possibilità di costruirsi una carriera al di fuori della famiglia, perché (oltre, ovviamente, a soddisfare il sacrosanto bisogno di autorealizzarsi), più gente produce (in modo efficiente), più cresce la ricchezza nazionale (e con essa, si spera, i servizi offerti anche dallo Stato). Per farlo, però, occorre sgravare le donne del “peso” della famiglia: la cura dei figli nel mondo moderno deve essere condivisa fra i partner e con i “professionisti” della crescita (la scuola, in primo luogo).

Fare identifica alcune problematiche e propone soluzioni che a mio avviso potrebbero avere conseguenze impreviste. Dicono che le donne lasciano il lavoro per occuparsi dei figli piccoli e dei genitori anziani, e vogliono usare la leva fiscale per indurle a tornare al lavoro. Ciò non risolve il problema: chi si occupa di figli e genitori anziani? L’incentivo fiscale basta a coprire la retta dell’asilo e/o quello di una badante, per non dire di un ospizio? Sono un po’ diffidente. In ogni caso, è un inizio di discussione del problema (come l’intero programma di Fare, del resto), ma che dovrà scontrarsi con una mentalità che si fa via via più chiusa man mano che si scende verso l’Equatore, e che dimostra la più grave carenza di Fare. Ma a questo arriviamo fra due punti.

Il nono punto concerne istruzione e ricerca. In Italia ci sono meno persone con istruzione superiore rispetto al resto d’Europa, nonostante non sia finanziata poi così male, in termini quantitativi. Il problema è qualitativo, ovvero non viene finanziato il merito, bensì il fatto di essere figlio di o cocco di. Fare propone di aumentare la trasparenza nella gestione del merito (e quindi dei finanziamenti), eliminando gli automatismi e i conflitti di interesse e incentivando la raccolta di fondi privati, auspicando un aumento di quelli pubblici (ma non mi è ben chiaro in che modo vogliano finanziare il tutto, visto che la proposta a riguardo è un po’ controintuitiva e presenta anche un “LINK ALLA SCHEDA SUL FISCO”, a dimostrazione del fatto che forse era necessaria una rilettura della pagina prima della pubblicazione – non è l’unico svarione presente).

Il decimo punto è complesso, anche perché è un calderone in cui è stato infilato un po’ di tutto al fine di fare cifra tonda: si parla di federalismo, ambiente e riforme.

Sul federalismo vedo molta sufficienza: si parla di autonomia di entrate ed uscite, di costi standard, di abolizione dell’IRAP, che compre gran parte della spesa sanitaria, ma poche indicazioni circa la copertura, cui si rimanda ai punti 1, 2 e 3, trattati nella parte precedente. L’argomento è sufficientemente complesso che avrebbe meritato un approfondimento più approfondito.

Sull’ambiente Fare critica l’approccio dirigista alla sua tutela. È un fatto che il sistema di tutela dell’ambiente sia stato a più riprese stuprato, basti pensare che il ministro incaricato era Stefania Prestigiacomo, sovente trattata a stracci dai suoi compari di coalizione: piani inattuati e demoliti da deroghe e proroghe, enorme burocratizzazione, inefficienza. Fare propone un’apertura al mercato, passando da un sistema finanziato con le tasse a uno finanziato con le tariffe (nel 2013 si è fatto il percorso al contrario, passando dalla tariffa TIA alla tassa TARES, bah), in cui le aziende possono competere per aumentare l’efficienza della gestione dei rifiuti, lasciando allo Stato e agli enti locali il dovere di vigilanza. Qui la criticità è collegata al fatto che in certe parti d’Italia la gestione dei rifiuti è in mano alla criminalità organizzata con il tacito consenso degli enti locali che dovrebbero vigilare. Serve qualcosa di più incisivo.

Circa l’urbanistica ho forti dubbi che alcune proposte possano essere applicate in Italia, sempre per la solita questione culturale. Spesso e volentieri o uno costruisce abusivamente o uno costruisce lecitamente e qualcuno deve venire a romperti le scatole, ma questo è il minimo: il problema è che il barocchismo burocratico favorisce i primi e i troll del secondo caso. Siamo un sistema sociale, culturale, giuridico ed economico che favorisce il contenzioso, dove il troll del piano di sopra si appropria di un locale comune del condominio e per ottenerne la restituzione devi fare due anni di tribunale solo per fissare la prima udienza. E tralasciamo altre storie ben più tristi: abbiamo un problema culturale ben più profondo e gli economisti di Chicago e Saint Louis, fra gli altri, paiono ignorarlo, ma ci arriviamo.

Sul fisco, si prevede che parte dell’imposta sulle società sia proporzionale all’impatto ambientale. Non viene detto in che modo: un’imposta teoricamente pigouviana? Sono previsti sussidi, sgravi a chi produce esternalità positive? Cribbio, tre righe?

La sezione sull’acqua merita un po’ di schiaffi per l’approssimazione. Eccovi uno screenshot:

Ma qualcuno lo ha riletto? Si parla tanto di peer review e nessuno si accorge che la frase è monca?

Infine si parla di aumentare l’efficienza energetica, ricordando che l’attuale riduzione dei consumi è da imputarsi per la maggior parte alla crisi economica e che, semmai l’economia dovesse ripartire saremo punto e a capo.

L’ultimo approfondimento riguarda le riforme istituzionali. Fare vuole il maggioritario a doppio turno (ok), cambiare il quorum del referendum abrogativo per ridargli significato (e togliere di mezzo lo schifosissimo meccanismo per il quale l’astensione gioca a favore del no, e quindi solitamente della maggioranza parlamentare, spaccando le gambe all’espressione per eccellenza della democrazia diretta), far sì che, in virtù del peso sempre maggiore del Governo, le sedute del Consiglio dei Ministri siano pubbliche (come quelle del Parlamento) e l’aumento della trasparenza nell’attività di lobbying. Interessante la volontà di cambiare forma di governo in senso tedesco, ovvero rafforzando l’esecutivo (nominato sempre dal Presidente della Repubblica, con poteri di revoca, su proposta del Premier) pur mantenendo il legame fiduciario con il Parlamento attraverso lo strumento della sfiducia costruttiva: detto altrimenti, un governo che perde la maggioranza parlamentare non cade se non viene trovato un sostituto. Detto ancora altrimenti, se questa norma ci fosse già oggi, i partiti minori avrebbero minori poteri di ricatto: per esempio Vendola non potrebbe mettersi di traverso per far cadere il governo, se Bersani fosse costretto ad allearsi coi centristi, visto che dovrebbe mettersi d’accordo col PdL e la Lega per formare un nuovo governo. Detto nuovamente altrimenti, si passerebbe da una forma di governo basata sul ricatto a una più rivolta al compromesso, che dovrebbe essere la ragione di vita di ogni Parlamento funzionante. Non è la panacea di tutti i mali, ma è già qualcosa.

Conclusioni.

Come avrete notato, man mano che si scendeva nell’analisi dei 10 punti cresceva la mia insofferenza nello scriverne. Le proposte diventano via via sempre più approssimative e caotiche, più per fare numero che per fare sostanza. Molte dichiarazioni d’intenti, qualche misura interessante, e tanti rimandi ai punti 1, 2 e 3. Troppo spesso è mancata una revisione prima di mandare alle stampe, e questo riflette la debolezza fondamentale del movimento: troppe primedonne che non collaborano bene. Peccato: anche se manca una vera sintesi, il programma dei punti 1, 2 e 3 è anni luce avanti a quelli degli altri in quanto a pragmaticità (a cominciare dall’agenda-fuffa Monti; poi, speriamo, vedremo le altre proposte). Un’occasione mancata. Possiamo augurarci che Giannino rosicchi voti a destra, specie nelle regioni in bilico, ma questo presupporrebbe che gli elettori berlusconiani siano capaci di pensiero logico, cosa che stando ai sondaggi non possiamo ritenere reale.

Ma il peccato originale di Giannino e soci è il ritenere che il rilancio del Paese possa basarsi solo su riforme più o meno economiche e non civili. La questione dei diritti è stata più volte posta a Fare, ma la risposta, in sostanza, è stata “chissenefrega, noi dobbiamo pensare all’emergenza economica”. Ora se tu ti candidi per governare cinque anni, non puoi pensare che saranno cinque anni di emergenza economica. Dovrai affrontare per forza altre questioni, come i diritti di LGBT e coppie di fatto, degli immigrati, dei carcerati (vagamente trattati nella sezione giustizia), eccetera, ed è fondamentale sapere qual è la posizione a riguardo. Se vuoi liberare le forze della crescita, devi per forza distruggere le barriere nel cervello degli italiani reazionari, che sono ancora la maggioranza in questo Paese, e per farlo DEVI partecipare alla battaglia per i diritti civili con una tua proposta. Non dubito che ci sia stata pure qualche discussione a riguardo, ma immagino che i promotori primedonne abbiano litigato abbastanza da lasciar cadere l’argomento.

Diventate partito, giungete a sintesi, ci rivediamo alle prossime elezioni.

Voto di sintesi:. (Monti e compari presero un 5- anche troppo generoso, visti i risvolti più recenti)

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