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Tagliare le tasse ok, ma con quali soldi?

Considerando che il 2012 è stato l’anno delle tasse e che il 2013 non sarà da meno, appare piuttosto ovvio che la campagna elettorale abbia ancora una volta come tema principale quello del loro taglio. E ancora una volta ci troviamo di fronte allo stesso problema di sempre, cioè che i partiti promettono di abbassare e/o eliminare questa o quella imposta, ma mai nessuno si pone seriamente una semplice domanda: dove li trovate i soldi per farlo?

La storia politica di questo Paese dalla memoria di una mosca lascia pensare che se fosse obbligatorio dichiarare anticipatamente dove intendono trovare le risorse per questo o quel punto del proprio programma elettorale, la campagna si svolgerebbe nel più totale silenzio, interrotto qua e là da un coro di facepalm.

Le tasse e le imposte, infatti, servono a pagare qualcosa. Ne consegue che se vogliamo tagliare una certa tassa, abbiamo solo due opzioni: o tagliamo le spese o alziamo altre tasse per uguale importo (indebitarci al fine di differire tale manovra nel tempo è impraticabile, al momento, visto l’abuso che se ne è fatto in passato). Finora la proposta più concreta è stata “abbasso l’IRPEF, tolgo l’IMU e alzo le tasse sul tabacco”, il che dovrebbe aiutarvi a comprendere il mio pessimismo a riguardo.

Poniamo che il gettito dell’IMU venga utilizzato per rifare ogni anno tutte le strade d’Italia. Se eliminiamo l’IMU, gli scenari sono tre: o alziamo un’altra tassa o tagliamo da qualche altra parte o ci teniamo le strade dissestate (o una combinazione delle tre).

In caso contrario avviene la catastrofe. È quello che è successo, per esempio, dal 2008 in poi, regnante Berlusconi. Volendo mantenere la sua promessa, abolì l’ICI ai ricchi senza trovare una reale e sensata copertura. Ne è conseguito un buco di tre miliardi, in parte coperto a debito, in parte coperto alzando altre tasse e in parte non coperto affatto, perché Tremonti non riuscì ad effettuare tagli sensati, bensì solo lineari, che servono solo a prolungare il gioco delle tre carte fino alla crisi degli spread. A posteriori, infatti, si è avverata la profezia di Monti: il governo Berlusconi è stato costretto a reintrodurre dopo pochi anni l’ICI, sotto forma di IMU, a partire dal 2014.

Intanto però il danno era stato fatto, insieme ad altri danni: tanto per dirne una, la privatizzazione di Alitalia, invece di portare in cassa due miliardi come voleva Prodi, ci è costata tre miliardi e mezzo per regalarla prima ai capitani coraggiosi coi soldi degli altri (nostri) e poi, probabilmente in futuro, ad AirFrance (o in alternativa, si spenderanno altri miliardi per rinazionalizzarla).

Aggiungi anche la crisi economica, ed ecco che il buco diventa voragine. Arriva Monti e fa l’unica cosa che può fare in tempi ristretti: alza le tasse, specie l’IMU, per tappare il buco. Tenta poi nel 2012 di fare altre due cose: tagliare la spesa pubblica e stimolare la crescita. E qui, venuta meno la pressione dell’emergenza e lo spettro del fallimento, deve scontrarsi con la totale ingessatura della politica, dell’economia e della cultura italiana.

Tagliare la spesa, in Italia, è decisamente difficile poiché l’economia del Paese è praticamente adagiata sullo Stato: è tutto intoccabile, vuoi perché sono servizi ritenuti essenziali, vuoi perché siano clientele ben protette, vuoi perché sono sprechi blindati da contratti di ferro, troverai sempre un’opposizione interna e/o esterna e/o laterale che ti dirà “perché a me sì e a quello no?”. Sicché finisci per tagliare l’inevitabile (come l’elefantiaco e inefficiente sistema pensionistico) e il casuale (chi protesta meno rumorosamente e non ha santi in paradiso).

Potresti poi volere stimolare la crescita: se il Paese cresce da 100 a 110 (in termini reali) e tieni ferma la pressione fiscale diciamo al 50%, le tue entrate, in termini assoluti, crescono da 50 a 55, dunque ti basta non spendere troppo di più da un anno all’altro per trovare risorse per tagliare le tasse, e per davvero. Il problema è che, anche qui, una grossa parte dell’economia si appoggia allo status quo. Qualche esempio: esistono corporazioni più o meno informali che vivono di inefficienti rendite di posizione e contrastano in ogni modo liberalizzazioni che ci darebbero crescita praticamente a costo zero. Teniamo poi in vita aziende cotte e stracotte con tanti di quei soldi che se le lasciassi fallire potresti comprare un appartamento a ogni lavoratore licenziato. Anche qui, insomma, ti tocca sorbirti interventi a gamba tesa che ti lasciano steso a terra.

E se anche dovessi trovare un tesoretto (come i risparmi sugli interessi sul debito pubblico a seguito dell’entrata nell’euro), quasi certamente troverai un modo per sprecarlo aumentando la spesa corrente.

Tutto questo non è un’astrazione, ma la storia d’Italia degli ultimi vent’anni, ovvero da quando è finita l’illusione che si può crescere stampando banconote e costruendo una montagna di debito pubblico che siamo sempre meno in grado di ripagare.

Tutti i partiti affermano di voler tagliare le tasse nella prossima legislatura. Meraviglioso, ma qualcuno vuole pure spiegarci in che modo, concretamente? Perché dovrei credere che il prossimo governo, probabilmente di centro-centrosinistra, non farà la fine dell’Unione, visto che ci sarà un centro che vuole abbassare le tasse riducendo il welfare (chissà come) e una sinistra che vuole aumentare il welfare (chissà come) con una patrimoniale che o colpirà il ceto medio o darà gettito minuscolo, a seconda di come verrà declinato? Ma soprattutto, perché non si rivolge a Berlusconi la domanda “con quali soldi, presidente?”. Vuole fare il ministro dell’Economia? Incalziamolo con questa domanda finché non si alza e se ne va, perché sono piuttosto sicuro che una risposta non ce l’ha, a parte la solita retorica insipida, quella di far pagare le tasse a evasori e mafie.

Volendo riassumere, prima di abbassare le tasse bisogna tagliare la spesa pubblica e fare riforme strutturali, ma la Storia di questo Paese lascia intendere che questo è estremamente complicato e chi si candida a guidare il Paese nei prossimi anni dovrebbe cominciare a far di conto con questa difficoltà già da adesso. Qualsiasi promessa di taglio delle imposte che ignori questo percorso logico è una promessa che nel giro di pochi anni le tasse saranno ancora più alte.

E non è un’astrazione teorica o un “ce lo chiede l’Europa”: è la storia d’Italia e della sua mediocre classe dirigente.

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