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Com’è finita con la Tobin Tax

Il nuovo anno ha portato con sé la legge di stabilità, che chiude, per ora, la questione Tobin Tax. La versione definitiva porta diversi cambiamenti che la rende meno dannosa rispetto a quanto previsto dalla teoria e dalla pratica, e che ha respinto le indicazioni mortali provenienti dai più ignoranti talebani in materia. Restano, comunque, sciocchezze ridicole che pagheremo care e amare, ma c’è anche un barlume di ragione che, in astratto, è positivo.

Chi volesse abbeverarsi direttamente al testo normativo, veda la legge 228/2012, all’articolo 1 (e unico), commi da 491 a 500. Quelli più interessanti, comunque, sono il 491 (azioni), il 492 (derivati) e il 495 (Algorithmic high-frequency trading – ovvero, nel testo, “negoziazioni ad alta frequenza effettuate tramite algoritmo informatico”). Di seguito una spiegazione estremamente sintetica, visto che la legge, come avrete già intuito dalla frase che apre il paragrafo, è abbastanza cervellotica, come tutta la legislazione italiana in qualunque materia. Molta consigliata la lettura dei miei articoli sull’argomento e linkati nel testo, qualora servisse un “Nelle puntate precedenti” e spiegazioni più o meno tecniche.

La Tobin Tax (che non è una Tobin Tax, come ho già spiegato numerose volte) si applicherà ad azioni italiane di società con capitalizzazione superiore ai 500 milioni acquistate ma non vendute nella stessa giornata (solo in multiday) e sui derivati su azioni e indici italiani, sia nell’ambito di operazioni intraday che multiday. La parte relativa alle azioni sarà tassata in base ad aliquote diverse (più alte se lo scambio è effettuato su mercati non regolamentati), mentre quella sui derivati in base a un importo fisso tabellare crescente in base al valore del contratto: ad esempio per ogni lotto del derivato sul FTSE MIB si dovrebbe pagare 0,15 euro.

Sono quindi escluse dalla Tobin Tax le operazioni effettuate su:

Chi conosce la Tobin Tax francese avrà letto qualcosa di familiare, visto che quella italiana si ispira a quella transalpina.

Obiezioni varie (già affrontate in linea teorica e ora analizzate nella pratica, grazie anche ai sei mesi di [deludente] esperienza sperimentata dalla borsa francese).

Non si capisce perché accanirsi sulle azioni. Fatto sta che un ipotetico speculatore, se volesse muovere a proprio piacimento le quotazioni delle più grandi società residenti in Italia, grazie alla riduzione della volatilità, avrà bisogno di meno capitale, e avrà vita più facile.

Il mercato italiano dei derivati (IDEM) era ritenuto come uno dei più efficienti al mondo. Dopo il drenaggio di liquidità dovuto alla Tobin Tax, questo sarà molto probabilmente meno vero, con operatività che si sposterà su altri mercati, come quello dei derivati di Francoforte, gioiello della borsa tedesca. I tedeschi, promotori della Tobin Tax poi ritiratisi dalla corsa dopo che i primi fessi han cominciato ad applicarla (Francia e Italia), ringraziano.

La tassa è ridicolmente eludibile in modo legale. Per molti investitori basterà adeguare i propri sistemi sui titoli esteri, il che è un fatto positivo per il singolo investitore (i mercati esteri europei e americani funzionano meglio rispetto a quelli italiani), ma negativo per il sistema economico italiano, che si ritroverà con un mercato finanziario meno liquido, più volatile e meno efficiente, a svantaggio della cosiddetta economia reale. Altrimenti basterà tuffarsi su mercati esteri più opachi per continuare a trattare titoli italiani senza dover pagare la tassa.

Ragionevole, in astratto, è una tassazione più punitiva nei confronti del trading algoritmico, che colpisce chi immette nel sistema operazioni senza poi eseguirle, con il solo scopo di “spingere” il mercato. Dico in astratto, poiché queste operazioni potrebbero avere una sorta di funzione “igienica” sui book, ma la dimostrazione di ciò non è abbastanza interessante da stare ai margini di questo post. Basti dire che forniscono liquidità, e questo è positivo. Non mancano tuttavia i lati negativi, come il fatto che il trading algoritmico talvolta si basa sul fatto che i loro computer conoscono prima degli altri (parliamo di frazioni di secondo) il prezzo di un ordine e possono intercettarlo prima che diventi pubblico. Siamo ai limiti dell’insider trading e del front running, ma va detto che le piattaforme che ammettono il flash trading sono pochissime e vanno scomparendo.

Ragionevole è pure il fatto che una Tobin Tax del genere magari spegnerà il mercato finanziario italiano, ma non ucciderà gli investitori, dovendo questi limitarsi semplicemente a spostare la propria operatività altrove. Le ricadute occupazionali dovrebbero essere meno negative, mentre le imposte sul capital gain non dovrebbero crollare in modo tragico.

Il gettito, stimato sul miliardo di euro, rischia di avere la stessa deludente (ma prevedibile) dinamica di quello francese: non sono poche le probabilità che il gettito si fermerà sui 200 milioni di euro, sicché siamo appena al 2 gennaio e già potrebbero mancarci 800 milioni.

Molto dipenderà, comunque, da una componente ciclica: il gettito sarà inevitabilmente condizionato dall’economia reale, e lo Stato potrebbe incassare un po’ di più se e quando tornerà l’ottimismo sulla ripresa economica.

Resta il fatto che una tassa sulle transazioni finanziarie applicata ad un’area geografica modesta (laddove “modesta” significa “che non prevede almeno Germania e Regno Unito”) è destinata a fare solo danni. Vedremo il bilancio a consuntivo e come il prossimo governo deciderà di muoversi: se, come temo, il prossimo governo penserà solo ad inasprire la tassa, passeremo un lunghissimo brutto quarto d’ora; se invece riuscirà a convincere gli altri Paesi europei (praticamente tutti) sulla necessità di una tassa del genere, sarà un brutto quarto d’ora, per meno tempo, ma per più gente.

Poi quando si vorrà regolare il sistema finanziario in modo più efficiente, e soprattutto senza ucciderlo, le alternative ci sarebbero.

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