Ma veniamo a noi. Vediamo (come al solito in modo semplificato) quale meccanismo trasmette l’aumento degli spread sui titoli di Stato (ovvero il costo – assoluto e relativo – dei prestiti allo Stato) sul costo di mutui e prestiti a persone e imprese.
Ricordiamo innanzitutto cos’è lo spread. È la differenza fra l’interesse sul titolo di Stato italiano a dieci anni (BTP) e lo stesso titolo tedesco (Bund). Se il primo ha un interesse di 4,5% e il secondo di 1,5%, lo spread sarà 300 punti. Se l’interesse del BTP sale e/o quello del Bund scende, lo spread aumenta, e viceversa.
Se sale l’interesse del BTP rispetto al Bund tedesco vuol dire che gli investitori percepiscono un rischio maggiore sull’Italia rispetto alla Germania. Questo significa che essi vendono titoli di Stato italiani, facendone cadere il prezzo. Per esempio un BTP che prima valeva 98 adesso vale, per esempio, 95. In particolare a vendere sono stati gli investitori non domestici, la cui quota è passata nel giro di un anno e qualche mese dal 50% al 36% (se escludiamo la BCE). Badate bene: non è una questione di speculazione cattiva. È pura e semplice paura di perdere soldi.
I soggetti che più hanno comprato titoli di Stato italiani sono state invece le banche italiane. Che succede a queste ultime se il valore dei BTP cala? Succede che i bilanci delle banche italiane (ma non solo) si deteriorano ed esse diventano meno capaci di rimborsare i propri debiti. Un esempio di debito per le banche sono i conti correnti, i soldi che la gente deposita in banca. Se la banca di Paperopoli è sull’orlo del fallimento perché ha investito male in BTP e lo spread è salito, voi depositereste i soldi in quella banca, col rischio di vederveli congelati sotto Natale (come è già successo qualche anno fa)?
Se meno persone e banche vogliono prestare soldi alla banca, per quest’ultima aumenteranno i costi di raccolta, ovvero diventa più costoso prendere denaro in prestito. Di conseguenza, per scongiurare guai peggiori, la banca comincia a tenersi stretti i propri forzieri. Una banca, infatti, per legge e per buonsenso, deve tenere in “cassa” una certa somma per far fronte a eventuali problemi, ordinari e straordinari. Per legge e per buonsenso, non perché sono cattive, chiaro?
Una delle mosse che la banca mette in atto è quindi quella di far uscire meno soldi, ad esempio in mutui e prestiti, poiché la congiuntura economica è pessima e chi contrae tale mutuo/prestito avrà probabilmente più difficoltà a pagarlo. Se l’offerta diminuisce, inevitabilmente cresce il prezzo del mutuo, ovvero il tasso di interesse che è pari, per il tasso variabile, all’Euribor più una certa percentuale, o, per il fisso, all’EurIRS più una certa percentuale. Questa percentuale, ovvero la differenza fra il tasso del mutuo e l’Euribor o l’EurIRS si chiama anch’esso spread. Questo significa che se il tasso di interesse sale vuol dire che o è aumentato l’Euribor (o l’EurIRS – ometterò quest’ultimo per semplicità) o è aumentato lo spread applicato dalla banca. Se consideriamo che l’Euribor è deciso dal mercato, e quindi non è manipolabile (( Lo so, non è vero, ma faremo finta che sia così. )) , la nostra banca di Paperopoli che vuole ridurre le uscite dai suoi forzieri aumenterà lo spread sui mutui.
Abbiamo dimostrato (molto semplicemente) come un aumento dello spread BTP-Bund fa aumentare lo spread (e quindi il costo) di un mutuo: in un momento critico come quello attuale, esso, oltre a contenere il costo “puro” del prestito e la solita dose di avidità bancaria, oggi contiene anche il costo di rischi fortemente più grandi rispetto a qualche anno fa.
Qualcuno obietterà: l’Euribor è ai minimi, perché i mutui ancora costano così tanto? In altre parole, perché le banche tengono gli spread così alti?
La risposta è che c’è una crescente sfiducia sulla salute dell’economia e del sistema bancario, sicché ci sono tanti soldi che non vengono impiegati nell’economia, perché il rischio che tali soldi non ritornino all’ovile dopo esserne usciti per finanziare famiglie e imprese è ancora molto alto, ovvero che si ripeta qualcosa di simile a quanto accaduto con i mutui subprime: le banche prestano, l’economia peggiora, famiglie e imprese non riescono più a pagare, la banca fallisce. Inoltre le banche sono ancora piene di BTP a prezzi ancora piuttosto bassi. Se l’economia peggiora, lo spread tornerà inevitabilmente ad alzare la testa, le banche perderanno altri soldi e rischiare di fallire. Per questo preferiscono non far uscire denaro dai forzieri, se non a un costo elevato. Inoltre ci sono distorsioni politiche per cui le banche sono “invitate” a comprare titoli di Stato rischiosi come i BTP, invece di prestare all’economia cosiddetta reale. Ancora: se le banche non prestano, le imprese falliscono e licenziano, i mutui esistenti vanno sempre più in sofferenza e la banca… fallisce.
Insomma, lo spread applicato dalle banche sui mutui rispecchia tutti questi rischi e distorsioni. A questo si aggiunge un problema ulteriore: in giro ci sono troppi debiti. Così tanti che la politica monetaria delle banche centrali fa fatica a trasmettersi all’economia reale attraverso il sistema finanziario, per quanto detto sopra. La banca centrale sgancia soldi freschi, ma le banche hanno troppa paura, troppi debiti e troppe perdite sui prestiti esistenti per poterli dare a famiglie e imprese, anche perché certi soggetti che fino a un paio di anni fa erano strasicuri (come l’Italia) e a cui avevano prestato soldi (comprando BTP) stanno facendo schifo (=> lo spread BTP-Bund sale).
Come si esce da questo loop è ancora oggetto di discussione. Le banche centrali stanno usando sempre più mezzi non convenzionali per riattivare la circolazione della moneta: la BCE, per esempio, visto che immettere liquidità nel sistema non è servito a risolvere il problema, sta pensando di applicare tassi di interesse negativi sui soldi che le banche depositano presso di lei, ovvero se le banche tengono i soldi nei forzieri, esse perderanno soldi, invece di guadagnarne.
Il problema, però, è anche altrove: non si può ripetere la crisi dei mutui subprime. I prestiti vanno concessi a chi li può pagare, altrimenti nel giro di un paio d’anni saremo di nuovo punto e a capo; dunque bisogna trovare un modo per aumentare la capacità dei debitori (attuali e potenziali) di pagare i propri debiti. In altre parole serve (fiducia nella) crescita economica, cosa che al momento non abbiamo, perché il paradigma è quello dell’austerità, che ci ha riportato prevedibilmente in recessione.
D’altro canto per crescere servono soldi, ma gli Stati che più ne necessitano hanno già troppi debiti. Bisogna rientrare da quel debito con comportamenti virtuosi, e siamo d’accordo, ma serve pure un po’ d’olio nel motore. Quell’olio ce l’avrebbe Berlino o, più esattamente, un’Europa fiscalmente più integrata.
Ma questa è materia di un altro post. Per eventuali domande, i commenti qui sotto sono aperti. 🙂