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[Economics for dummies] La Tobin Tax e l’economia irreale

Articolo lungo perché ho alleggerito il più possibile la roba tecnica con dettagliate spiegazioni in modo che sia di facile comprensione. Si descrive fin troppo brevemente il funzionamento dei mercati e l’importanza della liquidità nei medesimi e di come la Tobin Tax, specie se applicata solo dall’Italia per almeno un anno, rischia di avere ripercussioni pesanti sull’economia reale. E non ho neppure trattato tutti i casi in cui la Tobin Tax farà danni a imprese, famiglie e Stato. Ma spero di avere quanto meno reso l’idea.

Se proprio non si è capito nulla, alla fine dell’articolo ho inserito un riassunto.

E nel caso abbia fallito nell’intento di spiegare questa abissale scemenza della Tobin Tax, aspetto le vostre domande nei commenti 🙂

Prendetelo, vi servirà. [Photo by Unisouth (Own work) [GFDL or CC-BY-3.0], via Wikimedia Commons
Non capita raramente che quando Micromega pubblica un articolo riguardo l’economia, vi si possano ritrovare all’interno sfondoni che farebbero ridere se non fosse che servono solo a confondere le acque e allontanare il lettore dalla realtà dei fatti. Stavolta si tratta di un articolo riguardo la Tobin Tax, pubblicato originariamente su Affari & Finanza di Repubblica (l’articolo è di Marco Panara, il quale, ovviamente, insegna Scienze Politiche, mica Economia).

Gli altri post riguardanti la Tobin Tax, dove spiego anche cos’è, li trovate qui.

L’articolo inizia con una frase da fumeria d’oppio:

Se compro un litro di latte pago una tassa, l’Iva, se compro un’azione Generali o un’obbligazione Enel invece no.

Già da questa frase si può tranquillamente evincere che la carta su cui è stato stampato l’articolo è buona solo per incartarci il pesce. Ammesso che il pesce voglia farsi incartare in una simile monnezza. Fatto sta che se compro un litro di latte io consumo e me lo bevo; se compro un’azione, io investo, non so se riavrò qualcosa indietro quando lo rivenderò, non posso consumarlo in qualche modo, neppure fumarmelo, visto che è un titolo dematerializzato. È l’ABC dell’economia mettere i consumi da una parte e gli investimenti da un altra, infatti nel corso delle prime lezioni di macroeconomia insegnano che il PIL di un Paese è dato dalla somma di C, I, G e NX, ovvero Consumi, Investimenti, Spesa Pubblica (Government spending) ed eXport Netto (ovvero esportazioni meno importazioni) (( È l’expenditure approach, uno dei tre metodi con cui si calcola il PIL. )) . Il motivo per cui queste componenti sono trattate separatamente è perché le medesime sono cose diverse, funzionano in modo diverso, servono a scopi diversi, riguardano soggetti diversi. Metterle nello stesso calderone significa mettere assieme ananas, balconi, camion e Domodossola. Senza contare che azioni e obbligazioni sono tassate in altro modo. Diverso, appunto, ma non sono mica esenti.

Ma passiamo ad analizzare alcuni estratti dell’articolo.

[Dagli scambi frequenti, a breve e brevissimo periodo] L’economia non ne guadagna invece nulla e anzi la volatilità dei prezzi alimentata dalla frequenza degli scambi si trasforma in un danno.

Ci sono tonnellate di studi che dimostrano che l’economia beneficia dalla liquidità dei mercati, e per quanto possa sembrare strano, di solito più un mercato è liquido, meno è volatile. Il libro su cui ho studiato la microstruttura dei mercati dei capitali (Trading and Exchanges: Market Microstructure for Practitioners, di Larry Harris, un must per chi studia la materia, oltre che un mattone di cui vi invito a leggere dimensioni e peso) frantuma gli apparati genitali di chi studia i mercati su questo punto. Non sto qui a fare lo spiegone (magari in altro articolo, a richiesta), ma scrive Harris a pagina 394 del suo contraccettivo cartaceo: «Regulators like liquidity because liquid markets are often less volatile than illiquid one». Insomma, chi governa dovrebbe fare di tutto per attrarre gente sui mercati, perché più gente c’è, meglio funzionano. Se una tassa allontana gente dal mercato, il mercato diventa meno liquido, sicché la volatilità, di solito, aumenta, poiché i prezzi inizieranno a muoversi a strappi (lo spiego meglio più sotto). Sicché accade questo: l’economia va male? Bene, i mercati tracollano come tracollano da sempre (nel 1929 mica c’erano daytrader e trading ad alta frequenza) solo che invece di farlo più lentamente iniziano a “saltare” dei livelli di prezzo (creano “gap”, in gergo). Basti dare un’occhiata al grafico dell’indice italiano per vederlo pieno di buchi, a differenza di piazze ben più popolate, come quella americana, tedesca o il cross euro-dollaro.

Dunque, meno attori ci sono sul mercato, più i mercati impazziscono. Questo in linea generale. In linea pratica, la Tobin Tax allontanerà in primo luogo i trader più sfigati, i piccoli risparmiatori, renderà più oneroso chi usa il mercato per coprirsi dai rischi, non per speculare, mentre non toccherà i “grandi speculatori”, che dovranno semplicemente spostare residenza e quattrini a Londra. Gli hedge fund americani che volessero vendere allo scoperto tutti i titoli di Stato dell’universo potranno continuare a farlo indisturbati.

Inoltre renderà i prezzi meno informativi. L’economia trarrà grave danno da questa tassa così sciocca. Ma ci ritornerò tra poco. Andiamo avanti.

Continua Panara:

Gli operatori finanziari si sono ovviamente scatenati contro [la Tobin Tax]: sono loro che guadagnano su ogni ordine di acquisto e di vendita e una tassa, anche se contenuta, inevitabilmente limiterà il numero delle operazioni perché le renderà meno convenienti.

Panara qui evidenzia di non sapere una beneamata cippa. Gli operatori non guadagnano da ogni ordine di acquisto e di vendita, anzi, spesso e volentieri ci perdono. Su dieci persone che iniziano a far trading oggi, nove avranno già perso tutto entro un anno. Il decimo, invece, sopravviverà (non si sa per quanto) perché ha capito che le perdite fanno parte del mestiere. La regola numero uno del trading è proteggere il capitale, e occorrono anni di studio e pratica per iniziare a guadagnare. La Tobin Tax non farà altro che buttare in mezzo alla strada il decimo di quel decile che riesce a vivere di trading (banche, hedge fund e tutti i nemici del popolo che volete se ne andranno altrove, come già detto). Si tratta comunque di migliaia di persone, e sono solo una parte di chi perderà il lavoro a causa di questa tassa.

Tornando alla metafora del latte (da non intendere dal lato consumo, ma come prodotto di un investimento in mucche, stalle, eccetera), sarebbe come mettere una tassa su ogni litro che il pastore riesce a mungere dalla mucca. Il pastore guadagna da ogni litro di latte che produce? No, guadagna solo da quelli che riesce a vendere, e solo dopo aver pagato tutte le spese per tenere in vita il bovino, la stalla e il resto. Allo stesso modo il trader guadagna solo quando riesce a chiudere un’operazione in positivo e, credetemi, non capita così spesso. Chi vive di trading di solito guadagna poco da ogni operazione di solito chiude in positivo fra il 60% e l’80% delle operazioni; chi guadagna molto, di solito perde due volte su tre o una su due. Un trader medio in un anno rischia di non guadagnare nulla. Tassare le perdite equivale a tassare il latte che non si vende e si è costretti a buttare. E se il margine del pastore era già esiguo, con la nuova tassa sul latte forse gli converrà abbattere la mucca e trovarsi un altro lavoro: in fondo in Italia ci sono così tanti posti di lavoro disponibili che dobbiamo importare disoccupati.

Suvvia.

Quelli che verrebbero a mancare non sono gli acquisti e le vendite degli investitori di medio e lungo periodo, che sono quelli che danno sostanza al mercato e i cui investimenti ricadono sull’economia, ma buona parte di quelli che comprano e vendono per lucrare sulla differenza delle quotazioni nel breve e nel brevissimo periodo.

Qui si tratterebbe di capire innanzitutto che significa “brevissimo, breve, medio, lungo”. Nel trading “medio periodo”può significare pure due giorni. Ma tralasciamo. La locuzione chiave, qui, è “dare sostanza al mercato”. Chi ha studiato la microstruttura dei mercati dei capitali (non Panara, così a occhio) sa che un mercato avente sostanza è un mercato avente liquidità, ovvero un mercato in cui è possibile comprare o vendere cose in grandi quantità, in poco tempo e per poca spesa. Una tassa come la Tobin Tax è fortemente distorsiva e contribuisce a togliere sostanza al mercato in quanto 1) aumenta la spesa per comprare e vendere una cosa; 2) diminuiscono le opportunità di comprare e vendere ad ogni livello di prezzo, sicché a) si troveranno meno acquirenti o meno venditori per ogni livello di prezzo, sicché è più difficile scambiare grandi quantità di una cosa, e b) ci vorrà più tempo per farlo. La Tobin Tax drena liquidità e perciò sostanza.

Questo ha effetti sull’economia reale in molteplici modi. Uno l’abbiamo già incontrato: i trader disoccupati e quelli che, pur non vivendo di trading, compravano e vendevano strumenti finanziari in modo tale da potersi permettere una pizza il sabato sera. Se migliaia di disoccupati e persone con minori capacità di spesa e quindi di consumo (la C di cui sopra, che fa crescere il PIL) non sono economia reale, io sono la Regina d’Olanda. Altro effetto sull’economia reale. Nella mitologia comune i derivati sono visti come lo strumento tipico della speculazione brutta e cattiva. Una buona parte (minoritaria) degli scambi in derivati è però relativa a coperture del rischio. Esempio: un’impresa che vende beni in USA, Cina, Brasile, Australia, e che perciò contribuisce ad aumentare il PIL (aumentando NX, ma non solo). Come dovrebbe essere risaputo, i pagamenti fra imprese (o fra imprese e ente pubblico, semipubblico, come vi pare) avvengono a x mesi, poniamo il caso “tre mesi”. Tre mesi fa il cambio euro/dollaro USA era a 1,21, oggi è a 1,29. Supponiamo che l’azienda italiana abbia venduto un bene per 100 dollari: se avesse incassato i soldi subito avrebbe ottenuto 82 euro (circa), mentre dopo tre mesi il valore di quei 100 dollari è sceso a soli 77 (circa). È il 6% in meno, e chi esporta non lo fa per pochi euro, ma in lotti un po’ più grandi, sicché le perdite possono essere rilevanti. Il problema (tecnicamente è un rischio strategico di ogni impresa che vende all’estero) viene risolto con l’utilizzo dei derivati: in modo molto brutale, compro euro contro dollaro, sicché se l’euro sale del 6%, i 5 euro che ho perso poche righe fa li riguadagno sui mercati. E viceversa. In questo modo io azienda so che fra tre mesi mi arriveranno 82 euro e chissenefrega di quant’è il cambio: il rischio è annullato grazie ai derivati.

Ovviamente la cosa vale pure per le imprese importatrici. Ma pure per un tizio a caso che va a contrarre un mutuo, un prestito o ad acquistare una polizza, insomma ovunque ci sia un qualche tipo di rischio (ad esempio di tasso di interesse): per rendere quei contratti meno onerosi (anche per la normale donna della strada), la banca o l’assicurazione compra e vende derivati. E continuerà a farlo pure con la Tobin Tax: tanto verrà scaricata sul cliente, domestico o straniero che sia, che gli piaccia o meno la Tobin Tax.

Insomma, un tizio che va in banca col cappello in mano a chiedere soldi per comprarsi un monolocale pagherà la Tobin Tax, senza neanche il bisogno di comprare un BOT o un’azione.

Non siamo manco a metà articolo, e già abbiamo fatto danni a C, a I e a NX. Manca G, abbiate fede, saranno dolori pure per lo Stato.

Intanto complimenti a chi è arrivato fin qui, ma la tragedia del buonsenso continua.

il prodotto lordo globale è stato nel 2011 di 70 mila miliardi di euro, il totale della ricchezza finanziaria nello stesso anno è pari a 256 mila miliardi di euro, il totale della finanza derivata ha raggiunto la fantasmagorica cifra di 648 mila miliardi di euro.

Perché la cifra della finanza derivata è così alta? È molto semplice. Torniamo all’azienda di prima, solo che invece di vendere beni per 100 dollari, ne vende per 100000 (centomila). Abbiamo detto che per coprirsi dal rischio di cambio deve comprare euro contro dollaro. Ora, chi di noi non ha 100000 dollari buttati sul pavimento, pronti da vendere per comprare euro alla bisogna? I pezzenti, gli emarginati, insomma quelli che pagano le tasse. Questi poveracci possono però comprare un contratto derivato del valore di 100000, versando la modica cifra, poniamo, di 250. Dopo tre mesi lo rivendo: l’euro è salito, per cui ho perso 5000 euro per la vendita del bene. Li ho pero riguadagnati sul contratto derivato. Quei 100000 di carta (alias finanza derivata) hanno evitato una perdita non da poco (diciamo lo stipendio di quattro o cinque operai della medesima azienda? Ok, diciamolo).

Peccato però che con la Tobin Tax le cose sarebbero diverse. Se senza Tobin Tax la somma delle due operazioni è 0 (zero), con la Tobin Tax, la somma è negativa (un centinaio di euro, grossomodo). Pare niente, ma aumentando gli zeri, com’è normale, visto che le aziende fatturano spesso e volentieri per milioni alla volta, sono un sacco di soldi che vengono distratti dall’economia reale per finire nelle casse pubbliche, meno efficienti per definizione (e si spera non nelle tasche del Batman di turno).

Direte voi, lo Stato almeno avrà più entrate. Ma neanche nei sogni più perversi di Monti. Lo Stato ci perderà in quanto:

  1. Spariranno o saranno drasticamente ridotte le imposte sulle plusvalenze;
  2. Molti di coloro che lavorano nel settore perderanno il lavoro, e lo Stato, di conseguenza, perderà gettito IRPEF;
  3. La spesa in Tobin Tax abbatterà la base imponibile dell’IRES e di conseguenza lo Stato incasserà meno tasse sulle imprese di quanto potrebbe senza la Tobin Tax.

Così a occhio il gettito della Tobin Tax (un miliardo di euro) è già andato a farsi benedire solo per coprire questi buchi. Poi ci sarebbe da prendersi cura di questi nuovi disoccupati. Così a occhio, dopo aver colpito C, I e NX, la Tobin Tax colpisce pure le spese dello Stato.

Ma la mostruosità della Tobin Tax sta anche nella sua completa illogicità. Quando uno Stato decide cosa tassare può scegliere (anche combinandoli) tra reddito, patrimonio e consumo. Chi investe sui mercati finanziari paga l’imposta sul reddito da capitale (ammesso che guadagni), paga il bollo e la patrimoniale sui titoli (sempre), oltre ad essere, ovviamente, tassato quando consuma, quando compra casa, macchina, come tutti i comuni mortali. La Tobin Tax ritassa il patrimonio investito sui mercati ogni volta che si muove e, addirittura, nel caso dei derivati, tassa un patrimonio che neppure esiste, visto che colpisce il capitale nozionale di un contratto (ovvero, è come tassare i soldi falsi, vedi sotto). È come se ti tassassero ogni volta che esci di casa per andare a lavorare.

Meno male che serve all’economia reale, questa tassa.

(Una chiosa: Barroso diceva che grazie alla Tobin Tax l’Europa avrebbe guadagnato gettito per 50 miliardi. Ora, se considerate che l’Italia è la terza economia dell’area e produrrà gettito per un solo miliardo, dovreste provare a chiedervi dove accidenti prenderanno gli altri 49 – una media di 4,9 miliardi per ognuno degli altri dieci Paesi che parteciperanno alla Tobin Tax Area. Se vi sentite presi in giro, tranquilli).

Ma torniamo al nostro Panara.

Questi ultimi [i derivati] in particolare, per lo più non regolamentati, sono solo per meno di un quinto legati ad operazioni reali, ovvero a coperture sulle oscillazioni dei tassi di cambio e dei tassi di interesse. Il resto è speculazione purissima.

Qui rientriamo nel concetto di liquidità che abbiamo già affrontato 1500 parole fa. Ripetiamolo: un mercato è liquido se un tizio qualsiasi può scambiare qualcosa in grande quantità, in poco tempo e con poca spesa. Appare logico e consequenziale che più gente c’è sul mercato, più è facile  scambiare, tanto è vero che più un mercato è concorrenziale, più tende ad essere efficiente.

Torniamo indietro di 4 anni: in questo articolo spiegavo (fra le altre cose) perché i future hanno soppiantato i contratti forward. In poche parole, perché i future sono standardizzati e sono più facili da scambiare. È lo stesso motivo per cui non esistono banconote da sette euro: sono una rottura di scatole.

Facciamo un salto in avanti a 500 parole fa. Immaginiamo che sul mercato esistano contratti derivati standardizzati da 1000. La nostra azienda può scegliere di prendere un contratto derivato (forward) da 100000 oppure cento contratti derivati (future) da 1000. Secondo voi, per un dato livello di prezzo, è più facile trovare un solo soggetto che scambi un solo contratto da 100000 o cento (pure meno, purché più di uno) soggetti desiderosi di scambiare cento contratti da 1000? Riformulo la domanda per i paninari di turno: in un frigorifero è più facile trovare Guernica o un litro di latte?

[E sia chiaro, qui tralasciamo casi più realistici, in cui magari l’azienda vorrebbe scambiare 145000 o 32000 o 1647000].

Ora supponiamo che la Tobin Tax azzeri la speculazione altissima, purissima, levissima. TRAC, sparisce l’80% del mercato. Secondo voi, trovare cento soggetti disposti a scambiare cento contratti per un dato prezzo è più facile o più difficile ora che c’è la Tobin Tax? Riformulo la domanda: se ci fosse una sola mucca su tutto il pianeta, comprare un litro di latte sarebbe più facile o più difficile?

Ma non è solo più difficile: è pure più costoso, e non solo in termini di tempo. Qui purtroppo devo essere più tecnico, ma cerco di rendere tutto ai minimi termini.

Ogni cosa scambiata sui mercati ha due prezzi: uno è Ask (oppure Offer), l’altro è Bid. Il Best Ask è il miglior prezzo a cui posso comprare, il Best Bid è il miglior prezzo a cui posso vendere. Ad esempio, poniamo il caso (semplificando moltissimo) che l’euro contro il dollaro abbia come Bid 1,29 e come Ask 1,39. Questo significa che se voglio vendere adesso, devo farlo a 1,29; se voglio comprare adesso, devo farlo a 1,39. Cosa significa? Significa che da qualche altra parte del mondo c’è qualcuno che è disposto a comprare a 1,29 e qualcun altro che è disposto a vendere a 1,39.

Notate subito una cosa: nel momento stesso in cui io compro o vendo mi ritrovo in perdita per 10 centesimi (da moltiplicare per la quantità acquistata o venduta). Quello (si chiama Bid-Ask Spread) è un costo che l’investitore deve sostenere e sperare poi di riuscire a coprirlo.

In un mercato molto liquido, ovvero con moltissimi partecipanti, il Bid-Ask spread è ridottissimo, perché è molto probabile che qualche partecipante decida di fare migliori proposte di acquisto o di vendita. Ad esempio, qualcuno potrebbe essere disposto a vendere a 1,30, qualcun altro a 1,38, sicché lo spread (e quindi il costo per l’investitore) si riduce. E sappiate che questa cosa (la riduzione degli spread) fa incazzare le banche, che guadagnano un sacco dagli spread molto larghi: fino a qualche anno fa le borse statunitensi erano piene di frazioni. Le azioni si potevano comprare a un dollaro e un ottavo, o tre dollari e tre quarti, eccetera. Lo spread minimo insomma era di 12,5 centesimi, e le grandi banche d’affari si incazzarono di brutto quando le borse passarono ai centesimi, sicché lo spread poteva pure essere di un solo centesimo, a tutto vantaggio degli investitori.

Infatti uno dei mercati preferiti dagli investitori è il cross EURUSD: è liquidissimo (= ci sono moltissimi partecipanti di tutte le “taglie”), e infatti gli spread sono ridottissimi, ad esempio 0,007 centesimi (o se preferite, 0,00007 euro). Questo significa che ci sono moltissime persone disposte a comprare o vendere ad ogni livello di prezzo, ovvero ad ogni millesimo di centesimo. Per la nostra solita azienda, trovare quei centomila euro da comprare contro il dollaro è una bazzecola.

Oggi.

Domani no: la Tobin Tax allontanerà molti soggetti dal mercato (l’80% del volume abbiamo detto), e di conseguenza gli spread si allargheranno, rendendo ancora più costoso per chi non fa “speculazione purissima” (qualunque cosa voglia dire) coprirsi da uno fischio di rischio d’impresa e “maledetto il giorno in cui ho venduto roba agli americani”. Intanto le banche lucrano sugli spread. Contenti? (( Per amor di precisione, il mercato del cross EURUSD è troppo grande per essere influenzato dalla Tobin Tax italiana, e così per tutti i mercati internazionali: chi ci perderà sarà il mercato italiano, già di suo affamato di capitali e perciò insignificante. ))

Voglio evidenziare alcun parole dalla frase citata sopra:

[i derivati vengono scambiati su mercati] per lo più non regolamentati

Si sappia che la Tobin Tax sposterà i capitali in quei mercati più opachi, sicché sarà più facile per gli “speculatori” fare il bello e il cattivo tempo. La liquidità attira la liquidità, e se questa sparisce dai mercati regolamentati, semplicemente si sposterà su quelli non regolamentati, per non dire nascosti.

Niente moralismi quindi ma la ricerca di un equilibrio che oggi non c’è.

Che frasso significa? I mercati più sono liquidi e più sono in equilibrio. In ogni singolo istante. Sui mercati, in un dato momento, il prezzo di una cosa è “giusto” finché non giungono nuove informazioni che cambiano tale prezzo. Facebook martedì 23 ottobre valeva 19,50 dollari ad azione, e il prezzo era giusto. Poi s’è scoperto che questa bolla coi riccioli fa meno schifo del previsto, e il giorno dopo ne valeva 23,50, e il prezzo è comunque giusto. Di che equilibrio parliamo? Del sistema economico? Qui c’è da capire come rendere i prezzi meno informativi possa migliorare l’equilibrio del sistema economico.

È come la barzelletta di quelli a cui non piace che i mercati scendano e allora si vietano le vendite. Citofonare Consob.

Panara poi ci spiega a quali condizioni la Tobin Tax riporterà questo fantomatico equilibrio.

La Tobin Tax non basterà a ripristinarlo [l’equilibrio] ma può essere un passo. Ad alcune condizioni che oggi non ci sono. La prima è che si applichi ovunque, e così non sarà perché ad applicarla saranno solo 11 paesi dell’Europa continentale (e tuttavia da qualche parte bisogna cominciare).

Citofonare Svezia: vai avanti tu, Svezia, che a noi viene da ridere, dissero un decennio e rotti fa, quando la Svezia decise di introdurre la Tobin Tax. I soldi svedesi sono finiti in Norvegia, Finlandia, Danimarca e altrove; il gettito è stato insignificante; la Svezia hapoi deciso che era una immane idiozia e infatti si è chiamata subito fuori dalla tassa europea. Errare è umano, perseverare è da malati mentali.

A Londra già sono in attesa a salutare i capitali europei in fuga dalla Tobin Tax con la carta igienica delle grandi occasioni, pronta a raccogliere il frutto della libidine. Brava Italia, comincia tu a introdurre la Tobin Tax. La Germania, dicono, la introdurrà dal 2014. Guarda caso dopo le elezioni di settembre. Fidati, non la introdurranno, alla fine, perché come questa crisi ci ha insegnato, il tedesco sa fare molto bene il proprio interesse a scapito dei più furbi, come gli italiani, e pure a Francoforte non fanno altro che aspettare i soldi degli italiani e degli altri imbecilli che introdurranno la tassa per primi. Massì, facciamo i fighi.

Lo stesso Panara, in un attimo di lucidità, ammette:

La seconda è che sia omogenea, ovvero uguale in tutti i paesi che la prevedono, e qui già si vedono i frutti dell’azione delle lobby e l’approssimazione di alcuni governi: una Tobin Tax che abbia meccanismi diversi in Italia rispetto alla Francia o in Francia rispetto alla Germania farebbe solo danni.

Maddai? E indovina a chi farebbe danni? A quei fessi che l’hanno introdotta per prima, l’Italia, visto che a gennaio saremo gli unici cretini con una tassa del genere (almeno Hollande è stato abbastanza furbo da introdurla sull’onda del populismo, ma pure da limitarla moltissimo, e per questo farà molti meno danni; noi, che siamo ancora più furbi, la introdurremo su tutto; e pure Hollande, con la Merkel, giù a ridere con la pancia in mano).

La terza è che sia universale, ovvero che colpisca la transazione su tutti i titoli (escluso il momento della emissione) emessi, scambiati o intermediati da soggetti residenti nei paesi che la applicano. L’esclusione dei titoli pubblici da questo punto di vista è un errore, anche perché è proprio su quelli che la speculazione fa maggior danno.

Non è un errore escludere i titoli di Stato. È semplicemente il segno del fatto che la Tobin Tax per contrastare la speculazione (come la intendono i più naif) è una enorme cassata. È l’esplicita ammissione del fatto che ci stiamo prendendo in giro.

Da mesi trombano sulla “spegulazzione che addagga l’Itaglia vendendo ingiustiziamente i nostri bittippì”, e poi non la introducono sul mercato dei titoli di Stato? Ma ingoiare un panetto di burro e farla finita no?

D’altro canto, introdurre la Tobin Tax sui titoli di Stato equivale, grossomodo, a un asteroide che si schianti sull’Italia dopo un massiccio bombardamento nucleare. Già non se li fila nessuno, figurarsi se ipertassati.

Né l’esclusione tutela i piccoli risparmiatori: chi compra un titolo all’emissione e lo conserva fino a scadenza non sarebbe soggetto alla tassa, e questo è il comportamento prevalente delle famiglie.

Le azioni scadono, Panara? Che faccio, le compro, me le metto in un cassetto e aspetto che l’azienda fallisca? Le metto in frigo, magari, assieme al litro di latte? È il latte che scade, Panara, mica l’azione Generali in borsa almeno dal 1938.

E se un’azienda di cui ho comprato le obbligazioni va male che faccio? Me la tengo sperando che arrivi a scadenza? Oppure cerco di venderle sperando ci sia qualcuno disposto a comprare? Caro Panara, se avessi avuto in mano bond di Parmalat o dell’Argentina, li avresti tenuti in mano fino alla scadenza? Se sì, cambia commercialista.

E arriviamo finalmente alla conclusione dell’articolo, che va contro la logica più spicciola.

Parte finale, in cui Panara fa una bella proposta costruttiva: dare all’Europa stabilità finanziaria e lavoro.

Infine, poiché quello che delle tasse conta non è solo chi le paga, è importantissima la destinazione delle risorse che attraverso di essa si raccoglieranno. Sarebbe bello che questa fosse una tassa europea, sia pure al momento di una parte solo dell’Unione, e avrebbe un senso che andasse a finanziare le due cose di cui oggi l’Europa ha più bisogno: stabilità (finanziaria) e lavoro (crescita).

Peccato che la Tobin Tax abbia effetti diametralmente opposti.

Quanto alla stabilità finanziaria, abbiamo già detto tanto. La Tobin Tax renderà il mercato (domestico) meno liquido e quindi con alta probabilità molto più volatile. In ogni caso, condurre operazioni finanziarie non speculative diventerà più costoso per i residenti italiani, fra cui aziende e famiglie. Se questa è la stabilità finanziaria, prepariamoci al terremoto.

Quanto al lavoro, mi piacerebbe capire che fine farà chi vive di trading; chi sopravvive grazie al trading; chi riesce ad coprirsi dai rischi (e quindi riesce a non finire in bancarotta) grazie al trading; chi lavora nel campo dell’intermediazione finanziaria, presso banche, broker, dealer e compagnia bella, i quali, se italiani, ridurranno l’organico, se esteri, se ne andranno proprio. Se meno persone investono, servono meno persone per consigliarle, seguirle. Via, licenziati. La logica sarebbe la stessa che la FIAT: se meno persone comprano auto, servirebbero meno operai per costruire quelle auto. Invece no, perché gli operai FIAT sono tanti ma organizzati; chi invece lavora nella finanza e con la finanza e non magari manco specula, invece, sono tanti, ma isolati. È brutto mandare per strada la gente solo quando quella gente può bloccare un’autostrada?

Parliamo di persone che hanno speso anni o addirittura una vita per studiare e lavorare in questo campo. E che adesso si trovano a dover ripensare il proprio percorso lavorativo da capo. Che è un eufemismo per dire disoccupati.

La Tobin Tax, dunque, oltre a togliere efficienza e dunque stabilità ai mercati finanziari, toglie pure lavoro, ovvero fa il contrario di ciò che dovrebbe finanziare secondo Panara.

Nella pagina successiva, il riassunto di tutta la storia.

Riassumendo:

  1. La Tobin Tax allontana molte transazioni dai mercati (specie quelli italiani, che vengono presi in considerazione praticamente dai futuri soggetti passivi d’imposta, ovvero gli italiani), facendo venir meno molta liquidità. Meno liquidità significa più volatilità, ovvero i mercati si muoveranno ancora più pazzamente di prima;
  2. Crea disoccupazione fra chi investe sui mercati professionalmente, fra chi fa consulenza e supporto per il risparmio (broker, impiegati di banca) e chi lavora nella finanza in generale, senza però manco sfiorare le grandi banche, hedge fund e cattivoni simili, che non dovranno fare altro che licenziare gli impiegati italiani per assumerne altri a Londra, Amsterdam, Francoforte, eccetera;
  3. I capitali passeranno dall’Italia all’estero, sicché sarà molto più complicato per le imprese italiane trovare fondi per nascere, espandere e sopravvivere, e già ora non è che sia così facile. Ci saranno licenziamenti anche in settori non finanziari;
  4. E nuovi disoccupati significa meno consumi, che significa altre imprese in difficoltà e altri licenziamenti;
  5. Sarà più costoso per le imprese coprirsi da vari tipi di rischio, visto che i derivati vengono usati anche a fini di hedging, sono solo di speculation;
  6. Sarà più costoso per le imprese emettere titoli per finanziare progetti, benché l’emissione dei medesimi non sarà soggetta a Tobin Tax, in quanto quando un investitore compra uno strumento finanziario vuole anche sapere che se le cose vanno male o semplicemente se gli serviranno soldi in futuro,egli potrà vendere facilmente lo strumento sul mercato secondario, dove però la Tobin Tax si paga: il maggiore costo del finanziamento indurrà molte imprese a lasciar perdere, facendo venire meno innovazione e posti di lavoro, se non a chiudere baracca e burattini e delocalizzare;
  7. Il maggiore costo di finanziamento collegato all’introduzione della Tobin Tax si evince anche dal fatto che il governo ne ha escluso l’applicazione sui titoli di Stato: se non sono sicuro di poter rivendere i miei BOT nel caso in cui mi servono soldi per comprare i libri di scuola a mio figlio, io quei BOT non me li compro, facendo così salire il costo del debito pubblico (per una semplice questione di domanda/offerta che spero di non dover spiegare). Lo stesso accadrà per le obbligazioni corporate, quelle delle imprese;
  8. E visto che i titoli di Stato sono esenti da Tobin Tax, la medesima non servirà a fermare la “speculazione”; e se pure non fossero esenti, allo speculatore basterebbe andare all’estero (se non c’è già) per “attaccare” l’Italia e non pagare una sterlina di Tobin Tax;
  9. Lo Stato incasserà meno tasse, visto che il gettito minuscolo della Tobin Tax verrà divorato più e più volte dal welfare per sostenere i nuovi disoccupati e dal minore gettito proveniente da IRPEF degli ex-lavoratori, dalle imposte sul capital gain e IRES delle imprese (per le quali la Tobin Tax rappresenta un costo, quindi deducibile), per non parlare della minore IVA incassata causa minori consumi. Altro buco nelle casse pubbliche, e indovinate a chi alzeranno le tasse per riempirlo? Bravi, ai soliti deficienti che ancora le pagano;
  10. Gli investitori abbandoneranno Piazza Affari (mercato regolamentato) inizieranno a trattare sempre più i titoli su mercati non regolamentati, nascosti, su cui è più difficile scovare e punire eventuali condotte illecite.

Riassumendo ancora più strettamente, la Tobin Tax è una tassa spietatamente distorsiva dell’economia reale, e lo sarebbe anche se fosse applicata in ogni angolo del pianeta. Con la differenza che se fosse applicata ovunque, le distorsioni sarebbero inferiori; ma se applicata ad un solo Stato o a una sola area economica rischia di decretarne la morte. Giova ricordare il caso svedese: la Svezia introdusse la Tobin Tax, ma nessuno ne seguì l’esempio. Gli svedesi, lavoratori e imprese, pagarono un costo altissimo e furono costretti ad abolirla, tant’è che oggi non vogliono sentire parlare di entrare nella Tobin Tax europea.

Qualcuno mi spieghi perché la Tobin Tax italiana dovrebbe avere un esito diverso, perché non dovrebbe generare disoccupati e buchi di bilancio da coprire aumentando (come al solito) le tasse a chi lavora.

A Panara, semmai dovessi avere una risposta a questo quesito, giuro che offrirò un litro di latte.

Ovviamente, latte di capra.

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