Con un mercato in deciso ipercomprato e in un contesto macroeconomico in continuo deterioramento, era anche logico attendersi una forte correzioni sui mercati azionari. I rischi che gli investitori si preparano ad affrontare sono quelli già delineati in passato, ovvero il crollo dell’Euro, la recessione USA con fiscal cliff annesso, il rallentamento delle economie emergenti, le tensioni in Medio Oriente, il tutto condito da distorsioni varie causate dalla politica monetaria, che in vari modi danno sollievo ai mercati, ma poco all’economia.
In particolare l’Eurozona subisce il guaio spagnolo: nonostante politiche austerissime, no continui a richieste di aiuto e proteste di piazza, la Spagna vede la coperta accorciarsi sempre di più. Servirebbero aiuti, ma Madrid non ne vuole sapere, i mercati vedono benissimo che la situazione peggiora e nell’incertezza cercano porti sicuri.
C’è di peggio: il buco spagnolo è in primo luogo un buco delle banche. Gli istituti di credito spagnoli avrebbero bisogno di capitale fresco per 60 miliardi di euro, ma i soliti “falchi” (Austria, Finlandia, Germania e Paesi Bassi) intendono limitare i poteri di intervento dell’ESM in modo tale che la dotazione del fondo salva-Stati non potrà essere utilizzata per dare sollievo a un mercato creditizio verso il collasso, poiché non si vogliono coprire i debiti precedenti all’attività del fondo, in modo da ridurre il moral hazard a non fare per tempo i compiti a casa (incidentalmente si ridurrà anche l’efficacia del fondo medesimo).
In un contesto di elevata incertezza come questo, gli investitori cercano ovviamente di prendere profitto, spiegando i ribassi dell’ultima settimana. Un eventuale ritorno in modalità “risk on” sarà come sempre sostenuto soltanto da buone notizie e non più dalle toppe delle banche centrali che già sono riuscite a togliere di mezzo buona parte degli eccessi speculativi; tuttavia l’orizzonte appare sempre piuttosto tetro: in settimana, infatti, abbiamo visto un PIL USA che cresce più lentamente di quanto atteso (e non è che cresceva tanto prima), mentre alcuni indicatori anticipatori come il Philly Fed Survey e gli ordini di beni durevoli segnalano che il rallentamento dell’economia è soltanto agli inizi.
Passando all’agenda macroeconomica per questo inizio di ottobre, lunedì attesa una raffica di PMI manifatturieri, sondaggi volti a verificare l’attività dei direttori degli acquisti, attività che in qualche modo ci permette di prevedere l’andamento del ciclo economico atteso nei mesi successivi. Si parte dalla Cina per arrivare al dato degli USA, passando per quelli spagnolo, tedesco, svizzero, italiano e UE. Tutti sono accomunati dalla poco simpatica caratteristica di essere previsti al di sotto dei 50 punti che segnalano un’economia verso l’espansione. L’Italia e l’Europa, inoltre, rilasceranno il dato sul tasso di disoccupazione, attesi, rispettivamente, 10,8% e 11,4%, in entrambi i casi in rialzo per +0,1.
Mercoledì sarà la volta dei PMI non manifatturieri relativi ai medesimi Paesi di cui sopra: anche qui lo scenario dovrebbe essere negativo, eccezion fatta per il PMI tedesco, atteso lievemente sopra i 50 punti. Lievemente negative sono attese le vendite al dettaglio nella UE.
Giovedì BoE e BCE annunceranno le proprie decisioni in materia di politica monetaria: gli analisti si attendono tassi stabili. Negli USA usciranno i consueti jobless claims, che, dopo aver sorpreso positivamente giovedì scorso, dovrebbero tornare a salire. In serata attesi infine i verbali dell’ultimo meeting del FOMC, che permetterà di conoscere le opinioni dei membri del comitato circa le aspettative sull’economia.
Venerdì conosceremo il dato sul PIL europeo (atteso lievemente negativo) e gli ordini all’industria della Germania (anch’essi attesi in decrescita). Gli occhi degli investitori saranno però puntati soprattutto sugli USA, che rilasceranno il mensile report sul mercato del lavoro, il penultimo prima delle elezioni. Non si attendono buone notizie neppure su questo fronte.