Con l’incarico a Mario Monti in molti avvertono l’inizio di una nuova era di prosperità per l’Italia, sottintendendo con questo una grande svolta nella politica e nell’economia prossima ventura. Niente di più falso, anzi, a giudicare dalle premesse, il futuro che ci attende è ancora avvolto dalla nebbia e i pericoli sono ancora dietro l’angolo, per due ordini di ragioni.
La prima riguarda strettamente la politica italiana: in molti hanno salutato le dimissioni di Berlusconi con spumante e trenini conga in piazza del Quirinale, come se fosse la fine di un’era, ma in realtà manifestazioni del genere non sono null’altro che figlie del berlusconismo, che ha trasformato la politica in un immenso stadio, in cui il popolo faceva un tifo feroce sugli spalti mentre i politici in campo si passavano (e si passano) la palla in un ventennale torello, mentre i problemi marcivano. Un’analisi un po’ più fredda dimostra impietosamente che l’Italia, ancora una volta, esce fuori da un ventennio disastroso solo grazie a un intervento esterno alla politica, e cioè la vendita massiccia di titoli di Stato da parte di investitori terrorizzati dal fatto che questi potessero diventare nel giro di pochi anni (fra due e cinque) carta straccia.
Benché ne dica Pierluigi Bersani, che ieri sera in un’uscita imbarazzante, si è dichiarato responsabile della caduta di Berlusconi, non è stato il popolo italiano, nella fattispecie l’opposizione, a liberare l’Italia da Berlusconi, e per questo sovviene l’angosciosa domanda: non è che passata la burrasca, nel giro di qualche anno, lo stesso popolo italiano tornerà all’ovile e riconsegnerà l’Italia, se non a Berlusconi, a uno dei suoi figli, ovvero ai vari berlusconiani che oggi se ne contendono l’eredità? Berlusconi era morto nel 1996, ma fu resuscitato da D’Alema con la Bicamerale; era morto nel 2006, e si risuscitò da solo salendo sul predellino della sua auto. Date queste premesse – soprattutto quella di Berlusconi non cancellato dal voto popolare, ovvero da un vero cambiamento nella coscienza nazionale, ma dalla sfiducia dei mercati in un Paese sempre più divorato non dagli squali della finanza, bensì da metastasi autoinflitte – chi ci garantisce che fra qualche anno non ritornerà, anche attraverso una marionetta? Il berlusconismo è un fenomeno ben lontano dall’essere sradicato.
La seconda ragione riguarda invece l’economia, italiana e internazionale: Mario Monti non cammina sulle acque, non moltiplica pani e pesci, non ha i poteri taumaturgici che molti gli hanno attribuito. Sa però quali sono i problemi del Paese, ma se consideriamo che molti di questi hanno radici decennali (alcuni addirittura affondano nella Controriforma), possiamo ben capire che non basteranno certo pochi mesi di governo del Presidente a risolvere questioni lasciate a marcire da vent’anni di politica assente, specie se questi sei-diciotto mesi saranno l’ennesima campagna elettorale continua (altro frutto del berlusconismo). I mercati magari riprenderanno fiato oggi, forse per qualche giorno, ma nuovi problemi già si aggiungono ai vecchi. Sul breve periodo si vede il ritorno della crisi del debito statunitense (il 23 novembre scade l’accordo preso ad agosto dopo il temuto shutdown); nel medio periodo l’Italia di Monti, come gran parte d’Europa, dovrà probabilmente convivere con il ritorno in recessione nei prossimi sei-dodici mesi; nel lungo periodo i problemi dell’Europa, con la sua cronica mancanza di government, specie in materia fiscale, potranno costringere il ripetersi della crisi che stiamo vivendo oggi, perché è inammissibile, fra le altre cose, un’unione monetaria senza la benché minima unione fiscale, senza contare che è inaccettabile avere una Banca Centrale che non può lavorare da Banca Centrale perché la Germania la tiene in ostaggio.
Dobbiamo insomma renderci conto che l’obiettivo di Mario Monti non è risolvere tutti i problemi dell’Italia (ed è assurdo pensare che possa farlo in pochi mesi, tra l’altro in un Parlamento di Scilipoti), bensì fare in modo che dopo di lui possa esistere un’Italia che abbia i mezzi finanziari (ma non solo) per risolvere i propri problemi nel lungo periodo. Non possiamo permetterci che inizi un altro ventennio (salvo piccole e precarie parentesi) di non politica, sia a destra che a sinistra.
Non può cominciare una nuova era se ci sono la stessa assenza di idee, la stessa politica da stadio e gli stessi protagonisti sciatti della vecchia, ancora lontana dal finire. Rispetto a una settimana fa abbiamo fatto solo un passo indietro, ma il baratro, specie per i giovani, è ancora due passi avanti a noi.
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