C’è una manovra (o meglio due) che, se tutto va bene, chiederà al ceto medio e basso di sborsare la maggior parte dei 90 miliardi di euro sotto forma di nuove tasse o minori servizi, il tutto alla fine di tre anni in cui il reddito medio REALE si è ridotto del 6% (peggio di noi solo Grecia e Irlanda).
C’è il capo di uno staterello nel cuore di Roma che nel 2009 scrisse in una cosa intitolata “Caritas in Veritate”, in cui parla, tra l’altro, di un gap sempre maggiore fra ricchi e poveri, non solo fra gli Stati, ma anche negli Stati. Gap che la manovra correttiva di luglio e la manovra correttiva della manovra correttiva di agosto contribuiranno ad aumentare.
C’è questo staterello nel cuore di Roma che riceve l’otto per mille delle tasse italiane (di TUTTE le tasse italiane, pure di quelli che non barrano l’apposita casella), gran parte del quale non viene utilizzato per i poveri, i malati, eccetera, come dichiarato in commoventi spot pubblicitari, ma per pagare le spesucce della sua alta nobiltà, che non paga svariati tipi di tasse non solo sui luoghi di culto ma pure sui centri commerciali (il 30% degli immobili italiani è nelle loro mani, il tutto esentasse) e che non paga manco la bolletta dell’acqua, visto che lo fa lo Stato italiano (in Caritas in Veritate si parla pure di acqua e di gratuità dei servizi pubblici [capitolo 2], ma mi sa che qui si esagera).
C’è chi chiede che questo staterello rinunci almeno un po’ a tutti questi privilegi, giusto perché le famiglie italiane possano pagare un po’ meno tasse.
C’è quindi qualche editorialista di un giornale vicino a quello staterello che s’indigna al solo pensiero di queste proposte poiché sarebbero un attacco degli atei contro la loro religione, seguito a ruota dai principi ereditari di porpora vestiti.
C’è, infine, un tizio che, secondo alcuni avrebbe fondato la religione di cui sopra (noi crediamo ne abbia fondata un’altra) e che avrebbe detto, almeno secondo quanto ha scritto un certo Matteo in mezzo al capitolo 22 di un suo libro (poco conosciuto, specie in quello staterello), che bisogna «rendere a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio».
È evidente che quel tizio, almeno secondo il capo di quello staterello, dei suoi principi ereditari e degli editorialisti loro vicini, altro non era che un ubriacone che doveva spezzare più pane e versare meno vino.
Aridatece Benedetto XI.
(Non sapevate che ormai questa gente non ha nulla a che fare con la religione e che ormai è tutta questione di soldi e politica? No? Rinfrescatevi la memoria leggendo di cardinali bestemmiatori, di cripte in oro massiccio alla faccia di chi muore di fame e di hotel vaticani in un universo parallelo nel centro di Roma)