Se il buongiorno si vede dal mattino, il 2011 si preannuncia un anno difficile per l’Italia: l’inizio dell’anno porta con sé notizie e statistiche utili per comprendere su quale binario stia viaggiando l’economia italiana, e tali notizie, riguardanti debito pubblico, inflazione e disoccupazione, non sono per nulla esaltanti.
A fine 2010 (ma a far data dal 2011) il Ministero del Tesoro ha emesso nuovi titoli di Stato, BOT, CTZ e, soprattutto, BTP: nonostante il clima festivo, la domanda è stata buona, ma per piazzare tali titoli il Ministero ha dovuto alzare non di poco i tassi d’interesse. Parliamo di un aumento dall’1,48 all’1,69% per i BOT, dal 2,3% al 2,93% per i CTZ e dal 4,43 al 4,8% per i BTP a dieci anni, che vengono utilizzati per avere una misura del rischio Paese nel medio-lungo periodo nei confronti della Germania. Si tratta di tassi tutto sommato ancora bassi, se confrontati con gli altri PIIGS, ma fanno sospettare che nel 2011 sarà più difficile per l’Italia rifinanziare il proprio debito, poiché bisognerà pagare interessi ancora maggiori: dai 72 miliardi di soli interessi del 2010 si passerà, secondo le previsioni di Giulio Tremonti, ai 75 del 2011 e agli 80 del 2012. Lo stock di debito da rifinanziare nel 2011, inoltre, sarà di 240 miliardi di euro, cifra inferiore di 20 miliardi rispetto al 2010, ma non indifferente specialmente in un momento di crisi come quello presente.
La questione è sempre la stessa: come ripagare questo debito? La risposta non cambia da che esiste l’uomo: aumentare le entrate (cioè alzare le tasse), tagliare le spese oppure aumentare il reddito, cioè fare crescere il PIL. L’ultima strada è quella più virtuosa, ma, oltre alle difficoltà strutturali che impediscono all’Italia da decenni di avere una crescita sostenuta, il dato sull’inflazione aggiunge timori sul ritorno di un nemico che i non più giovani ben ricorderanno: quello della stagflazione degli anni Settanta. Nel 2010 l’inflazione è giunta all’1,5%, percentuale ancora accettabile ed entro i limiti specialmente se si depura il dato dalla fiammata dei prezzi collegati al petrolio. Il problema è che questo dato è sostanzialmente in linea con la media europea, specialmente con il dato tedesco: ciò significa che con tutta probabilità l’aumento dei prezzi al consumo è dovuto ad un aumento dei costi e non ad un aumento della domanda, e ciò è segno di un’economia ancora fredda. Se la tendenza dovesse essere confermata anche nel 2011, potrebbe diventare serio il rischio di ritornare agli anni Settanta, quando a fronte di una forte inflazione non vi era alcuna (o poca) crescita nazionale. Se si aggiunge che negli ultimi anni il potere di acquisto degli italiani si è fortemente ridotto poiché l’inflazione, pur bassa, si è “mangiata” gli aumenti salariali, si può immaginare che la domanda sia ancora asmatica e non presenti segnali di miglioramento.
In questo senso è importante il dato (relativo a novembre) sulla disoccupazione uscito il 7 gennaio: appare evidente che la domanda di beni e servizi aumenta se le persone hanno un lavoro, sono giustamente pagate e, soprattutto, hanno fiducia nel futuro. Il dato ISTAT, invece, si conferma drammatico: il tasso di disoccupazione risulta essere stabile all’8,7% (ai massimi da gennaio 2004), ma va ricordato che tale tasso non considera, in primo luogo, i cassintegrati, uomini e donne che sono pagati poco (dallo Stato) per non lavorare e che hanno giustamente timore per il futuro proprio e dei propri figli (questo fatto, sia pure a spanne, porterebbe il tasso di disoccupazione anche all’11%). In secondo luogo, il dato non considera gli inattivi, ovvero persone che non hanno un lavoro e non lo cercano, di solito perché troppo scoraggiate; ancora troppo basso, come abbiamo già scritto su queste pagine, il tasso di occupazione fra le donne. La tragedia della disoccupazione colpisce in misura quasi da horror la coorte dei giovani, dove la disoccupazione in un anno è aumentata di ben 2,4 punti percentuali, toccando il 28,9% di disoccupati. Chiaramente, la preoccupazione dei giovani si riversa sui genitori, sempre più spesso chiamati a mantenerli, con ovvi effetti sulla fiducia della gente, che non può essere mantenuta a galla da proclami a reti unificate, bensì da sostegni veri e concreti e liberalizzazioni reali che creino in Italia un mercato con vera concorrenza e prezzi efficienti in cui lo Stato è solo un regolatore, tutte cose di cui si parla da anni e da anni si attende, nonostante roboanti promesse.
Anche nel 2010, dunque, la tendenza all’impoverimento dell’Italia e degli italiani si conferma, e ancora non ci sono segnali chiari di inversione di tendenza. Non resta che attendere e augurare a tutti un buon anno. Sperando non si riveli troppo brutto.
Photo credits | Giovanni Dall’Orto