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Click activism, slacktivism

In questi giorni nei miei saltuari passaggi su Facebook (( Che poi è solo una replica del mio Twitter. )) ho notato sempre la frase “Tizio e altri X amici hanno cambiato la foto del loro profilo” e tutti con personaggi di cartoni animati. Ho poi scoperto l’arcano: si trattava di una celebrazione della giornata dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che si celebra oggi 20 novembre. Continuando ad indagare fra i profili, notavo che in pochi condividevano una catena di Sant’Antonio che invitava a fare questa operazione e che spiegasse perché cambiare l’immagine del profilo: la sensazione è che buona parte dei contatti lo facesse solo per conformarsi alla massa e che, al massimo, abbia giustificato il cambiamento ex post.

Oh, beh.

Io ho partecipato e non ho partecipato a questa cosa: ho partecipato perché l’immagine, che vedete in alto, (( E sia chiaro, il vaffa non è grillino, bensì una (adorabile) catchphrase che Kyle usa spesso contro Cartman. )) raffigura effettivamente un personaggio dei cartoni animati; non ho partecipato perché quell’immagine è lì dal 26 maggio 2010.

Questa iniziativa mi ha un po’ infastidito poiché già so come andrà a finire: passata la moda, tutti torneranno alle proprie faccende e alle proprie immagini come prima, ma con una differenza. Una buona parte di essi sentirà di avere la coscienza a posto, ho fatto la mia buona azione, a Natale il Babbo mi porterà il trenino o la casa della bambole.

Questo è letale per tante iniziative sociali (e politiche), che avrebbero bisogno di vero attivismo, di vera cittadinanza sociale: questa sensazione di appagamento per aver fatto una cosa buona inevitabilmente rischia di creare nuovi cittadini inattivi che però si ritengono attivisti o conformisti. Considerando la scala di Milbrath e quella di Dalton sulle forme di partecipazione, l’impegno di quello che è stato definito click activism (cambiare avatar, ma anche firmare una petizione online – che poi significa solo regalare la propria mail ai pubblicitari) sembra essere inferiore a quello richiesto per esporsi a sollecitazioni politiche (primo gradino della scala Milbrath), poiché in realtà non ci si espone per niente; e sembra essere inferiore anche a scrivere ad un giornale (primo gradino della scala Dalton), visto che un semplice click non basta per esporre concretamente un’opinione o un’idea. In altre parole è più inutile anche dell’articolo che sto scrivendo.

Tolta una parte di persone attiva solitamente in modi più concreti e articolati, se tentassi di introdurre una discussione (dal vivo o sul web) su un argomento verso cui il mio interlocutore ha espresso interesse “con un click”, difficilmente troverei una parte interessata non solo all’azione, ma anche alla discussione. Troverei solo torpore da soddisfazione.

Il che è quantomeno assurdo: non basterà certo cambiare avatar perché i bambini africani smettano di morire di fame o le bambine cinesi smettano di essere comprate dalla mafia giapponese per essere vendute come schiave e prostitute.

Però la sensazione è questa: «la mia parte l’ho fatta». Invece no, non hai fatto una mazza. (( E si badi, questo articolo non è contro gli inattivi, bensì contro gli ipocriti. ))

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