Ciò detto, la giustificazione addotta da monsignor Fisichella è molto divertente, poiché se le cose che uno fa possono essere giustificate attraverso la loro contestualizzazione si aprono le porte a conseguenze deliziose per chi, come me, si diverte a studiare le contraddizioni dell’alto clero cattolico. Quindi tirare una statuetta del Duomo in faccia a Berlusconi può essere contestualizzato e dunque giustificato; l’attentato a Belpietro pure, e così via contestualizzando.
Perfino la bestemmia diventa un male relativo. Non nominare il nome di Dio invano, uno dei dieci comandamenti, non vale più se la bestemmia avviene in un certo contesto. Questa dichiarazione di Fisichella mette dunque in dubbio una delle verità rivelate, forse una delle più importanti.
È un’apertura al tanto odiato relativismo. Anche monsignor Fisichella, dunque, bestemmia.
Sia chiaro, non si tratta di una questione religiosa: tanti altri esponenti dell’alto clero e degli ambienti adiacenti hanno preferito un inquieto silenzio o anche un’aperta condanna. Una bestemmia è una bestemmia, e un cattolico non dovrebbe passarci su tanto facilmente (e tanti cattolici, appunto, non lo hanno fatto).
La questione è puramente politica: non è la prima volta che questo signore si comporta da laico nascondendosi dietro i Pater Noster, che esprime posizioni “giustificazioniste” verso le uscite anticattoliche di Berlusconi, non ultime i suoi reiterati avvicinamenti al sacramento della comunione. È una persona altamente schierata, un vero e proprio personaggio politico che non esita a calpestare il crocifisso per soddisfare la sete di potere.
L’episodio non fa altro che confermare questa visione: che più si sale nella scala gerarchica della chiesa cattolica e meno si pensa alla religione e più al marketing (si vedano gli infiniti episodi di preti pedofili mai puniti ma solo nascosti), al potere, al denaro.
Buona parte dell’alto clero cattolico, insomma, ha divorziato dalla religione.
E spesso anche dalla Ragione.