Qualche tempo fa, nel corso di una diretta di Annozero, avevo brevemente accennato alla situazione della Nokia Siemens Network (NSN), di cui ho una certa conoscenza per motivi personali.
Bene, la situazione è destinata a diventare più complicata a seguito di un assurdo intervento del governo, che mostra una schizofrenia da scompisciarsi dalle risate, se non fosse che porterà alla tragedia molte famiglie.
Riassumo brevemente le puntate precedenti: nei dintorni di Milano e nella Brianza, abbiamo un importante polo tecnologico. Qui (in particolare ad Agrate Brianza), ad esempio, è stato sviluppato l’accelerometro, oggi in dotazione praticamente obbligatoria in tutti gli smartphone degni di questo nome (ovviamente si comincia da Apple iPhone).
NSN (già Siemens, già Italtel) è un importante riferimento nella ricerca e sviluppo delle telecomunicazioni di questo polo. La struttura di Cinisello Balsamo, in particolare, ha alle spalle competenze trentennali (basti pensare che qui sono state sviluppate varie tecnologie GSM e successive), e si è creato un forte indotto (quando Nokia ha annunciato la sua prima perdita, qualche settimana fa, ha trascinato al ribasso in borsa varie altre aziende di questo comparto, prima fra tutte STM, presente a sua volta in questo polo tecnologico).
Il motivo, da quanto ho appreso da fonti vicine all’impresa, è che i prodotti sviluppati da Nokia non si vendono più come una volta. La cosa non mi stupisce: se prendete diversi modelli Nokia dell’ultima generazione, noterete che sono praticamente inutilizzabili. Il design non è assolutamente confortevole, ho visto telefonini con tastiere qwerty e pulsantini minuscoli – che talvolta mostrano le lettere, altre volte funzionano come un normale tastierino numerico, assurdo -, i quali, in preda all’esasperazione, hanno comprato i più comodi smartphone touchscreen, primo fra tutti Apple iPhone, a seguire gli altri prodotti della concorrenza, specialmente asiatici, quali Samsung e LG. Tutta un’altra storia. Insomma, Nokia, dopo l’entrata in scena dell’iPhone, ha dimenticato come si fanno i telefonini, ergo non riesce più a venderli neppure ai propri dipendenti (i quali, una volta, compravano e regalavano solo prodotti Siemens, perché non solo funzionavano – e vorrei vedere, le tecnologie le avevano inventate loro – ma erano pure usabili). Conseguenza: si taglia tutto (una cura peggiore del male, a mio avviso).
Questo per quanto riguarda la casa madre. Vediamo ora cosa ci dice Nokia Siemens Network.
Quando Nokia e Siemens decisero di creare la joint venture NSN, il governo Prodi, nel gennaio 2008, si impegnò per ottenere dalla nuova azienda un protocollo d’intesa, che prevedeva, a fronte della cessione delle attività di manufacturing, il mantenimento in Italia dell’attività di ricerca e sviluppo. Due anni dopo quel protocollo è sostanzialmente morto: Nokia ha praticamente snobbato il nuovo governo, e i motivi mi appaiono in generale piuttosto chiari. Ma andiamo con ordine.
NSN, qualche mese fa, ha deciso di chiudere baracca e burattini e delocalizzare il tutto in Asia (ad esempio in Cina, India o in Vietnam, dove gli imprenditori più buoni si vantano di concedere ai propri operai una decina di giorni di ferie non pagate l’anno, alla faccia degli imprenditori cattivi che li fanno lavorare ogni giorno). NSN, infatti, essendo un’impresa votata alla ricerca, ha pochi ricavi e molte spese (com’è ovvio che sia). La scelta di andar via è giusta dal lato dei costi (evidentemente più bassi, i ricercatori cinesi costano circa la metà), ma non per quanto riguarda l’esperienza (quei trent’anni di competenze non si possono facilmente spostare altrove, e andranno ricreate da zero, creando un ulteriore gap fra Nokia e i suoi competitor).
La questione è senza dubbio gravissima: ad andarsene non sono aziende che lavorano in settori, per così dire, antichi, facilmente copiabili. Non stiamo parlando di scarpe, vestiti e mozzarelle, che potrebbero produrre anche delle scimmie ammaestrate, stiamo parlando di ricerca, di avanguardia, di posti di lavoro pregiati, che han fatto la fortuna di altri Paesi, a cominciare da Giappone e Stati Uniti. E i giovani dei politecnici italiani, se vorranno lavorare nei campi in cui hanno studiato, dovranno emigrare in Cina e India.
Il risultato è non solo la perdita di moltissimi posti di lavoro, ma anche, come ciliegina sulla torta, la perdita di un patrimonio di conoscenze fondamentale per un Paese come il nostro, vicino al baratro della preistoria delle telecomunicazioni.
È ovvio che il governo, nella persona del responsabile di questo campo, il viceministro Paolo Romani, decidesse di intervenire per tentare di salvare la situazione. Il 9 ottobre c’è stato, infatti, un incontro al comune di Cinisello Balsamo tra la rappresentanza sindacale di NSN, il comune di Cinisello, il presidente della provincia di Milano ed il viceministro Romani. Nel corso dell’incontro è stato deciso che il governo italiano avrebbe incontrato il board di NSN: per incentivare la partecipazione e per dimostrare che l’Italia è ancora un mercato appetibile, Paolo Romani dichiarò che sarebbero stati sbloccati i fondi stanziati per la banda larga. Questa proposta era già stata fatta ad agosto, e già allora NSN ci credeva poco (il nuovo governo non aveva mai brillato in questo campo e a tutt’oggi mi manca un piano di rilancio degno di questo nome).
Ma Nokia aveva deciso di dare una possibilità al governo italiano: l’incontro chiesto all’inizio di ottobre è stato organizzato e si terrà domani, con tanto di rappresentanti del board della casa madre finlandese.
Ma, con raro tempismo, il governo si rimangia tutto il giorno prima, ovvero oggi: il denaro per la banda larga, gli 800 milioni di euro (noccioline, ma meglio di niente), non ci sono più, arriveranno, forse, alla fine della recessione (quindi se tutto va bene nel 2011).
Il governo, da ormai un anno, sta giocando con soldi di carta: afferma di stanziare questa o quella somma per questo o quello, lo annuncia sulle televisioni «noi siamo il governo del fare!», ma poi i soldi non arrivano mai, sono solo promesse elettorali. A Cinisello e a Cassina ha fatto lo stesso: «abbiamo stanziato questi soldi, ditelo sui tg, scrivetelo sui giornali», ma poi apri il rubinetto e l’acqua non esce.
A questo punto il destino di Cinisello e di Cassina de’ Pecchi appare segnato e all’incontro di domani Romani si presenterà semplicemente a mani vuote: i manager finlandesi (come pure quelli di altri Paesi) non sono boccaloni come quelli italiani, vorranno fatti, che però questo nuovo governo non riesce a garantire neppure per sbaglio. Non riesco più nemmeno a biasimare NSN: se neppure noi puntiamo sul futuro dell’Italia e sullo sviluppo delle telecomunicazioni, su internet, perché mai dovrebbe farlo una multinazionale il cui scopo è aumentare i ricavi e diminuire i costi? Accidenti, se vogliamo finire fra i Paesi di serie B siamo sulla strada giusta: se non ci aiutiamo noi, perché dovrebbero farlo gli altri?
Nota di colore, queste zone saranno il teatro dell’EXPO 2015, e questa desolazione sarà sicuramente un gran biglietto da visita.
I nodi, alla fine, verranno al pettine: diverse imprese del polo tecnologico chiuderanno, giovani ricercatori promettenti dovranno cambiare mestiere o andare all’estero, mentre questo governo che ha deciso di non governare (se non per salvare il premier dai suoi processi) si scontrerà presto contro il muro delle sue stesse bugie, continuando a difendersi gridando a quelli come me che siamo anti-italiani, che odiamo questo Paese, mentre invece ci impegniamo per mostrare che vengono ignorate vere e proprie tragedie personali (per chi perderà il proprio lavoro) e collettive (perché l’intero sistema Paese perde pezzi fondamentali per giocare la partita internazionale).
Chi ne approfitta, paradossalmente, è la Lega Nord, che manda i suoi rappresentanti dai lavoratori, dagli operai, dagli imprenditori per rassicurarli (lo abbiamo a Report domenica scorsa); ma la Lega è pur sempre un partito al governo, e anche le loro sono solo promesse senza alcun riscontro, buone solo per fare abboccare i più fessi. E sia chiaro, non parlo dell’opposizione solo per pietà.
Ma nel frattempo, nell’immobilismo dei fatti e nelle promesse elettorali di questo governo che non governa, quante altre Cinisello ci saranno? Quante multinazionali decideranno di andarsene da un Paese che non investe più su sé stesso? Quante aziende italiane, possedute da imprenditori italiani e mandate avanti da operai e impiegati italiani che lavorano con quelle multinazionali, licenzieranno o addirittura chiuderanno perché nel Palazzo si è stabilito che le priorità sono altre (principalmente questioni di potere e consenso)?
Forse è il caso che cominciamo ad aprire gli occhi, a non farci prendere in giro dai proclami che ci vengono propinati e a pretendere fatti: oggi chi ci governa lascia affondare Cinisello, ma domani a chi toccherà?