Ritorna l’appuntamento con le pillole di storia italiana. In questo secondo appuntamento ripartiremo da dove ci eravamo fermati, ovvero alla nascita della Repubblica italiana dopo il referendum del 2 giugno 1946. Per chi si fosse perso il primo appuntamento, lo può trovare qui. Questa volta arriveremo sino all’entrata in vigore della Costituzione, ovvero al 1° gennaio 1948.
Tutti vogliono l’Italia. Finita la guerra, il mondo stava sperimentando gli inizi della Guerra Fredda che contrapponevano Stati Uniti e Unione Sovietica. L’Italia, dopo la spartizione della Germania, era una delle ultime pedine da sistemare nel quadro internazionale (insieme alla Cecoslovacchia), e anche i governi risentirono di questo clima. Nei due governi presieduti da De Gasperi, infatti, dovevano convivere anime estremamente diverse, tirate per le maniche da forze esterne. Il presidente americano Harry Truman cercava di attrarre l’Italia nell’orbita della (futura) NATO, mentre i sovietici cercavano di farla entrare nel (futuro) Patto di Varsavia, infine papa Pio XII condannava la collaborazione dei cattolici con i comunisti. All’interno della coalizione, com’è ovvio, i vari partiti tentavano di avvicinarsi all’una o all’altra parte, ma i problemi nascevano soprattutto sul piano economico, dove si discuteva su quale indirizzo dare all’opera di ricostruzione. Meglio il liberismo o la programmazione economica, richiesta da cattolici e sinistre?
La Costituente al lavoro. Il 25 giugno cominciarono i lavori dell’Assemblea Costituente, la quale avrebbe dovuto scrivere la Cotituzione. La Costituzione, in verità, fu scritta da una Commissione di 75 persone, che a loro volta si suddivisero in tre sottocommissioni, che si occupavano ognuna di una parte della stessa carta fondamentale: una prima sottocommissione, presieduta da Umberto Tupini (DC), si occupò di diritti e doveri dei cittadini; una seconda, presieduta da Umberto Terracini (PCI), dell’organizzazione costituzionale dello Stato; la terza, infine, dei rapporti economici e sociali, ed era presieduta da Gustavo Ghidini (PSI). Le tre sottocommissioni erano coordinate da un comitato di diciotto persone. I lavori della Commissione dei 75 sarebbero durati circa sei mesi, sino al 12 gennaio 1947.
I governi De Gasperi II e III. Intanto l’Italia doveva essere amministrata e per fare ciò si “prese spunto” dal fascismo, con un governo in grado di svolgere anche l’azione legislativa, che in teoria era prerogativa del Parlamento (il governo doveva comunque godere della fiducia dell’Assemblea, la quale doveva anche approvare la legge di bilancio). Il nuovo governo era guidato da Alcide De Gasperi, che avrebbe guidato l’Italia fino al maggio 1947, con una breve crisi nel febbraio 1947. Una delle prime questioni che De Gasperi dovette affrontare fu la conferenza di pace di Parigi, dove l’Italia era stata riconosciuta come Paese sconfitto, e dunque le trattative partivano con difficoltà. Sul fronte interno, invece doveva affrontare il problema della ricostruzione del Paese, incominciando da un punto debole fondamentale: la mancanza di soldi e lo spettro dei danni di guerra da pagare.
La Conferenza di Parigi. I lavori della conferenza di Parigi durarono sino al 10 febbraio 1947, quando furono firmati i trattati conclusivi. L’Italia rischiava molte perdite territoriali, in particolare le terre entrate solo di recente a far parte del suo territorio. Probabilmente ancora consci dei problemi che si crearono dopo la prima guerra mondiale (quando delle clausole vessatorie sui Paesi sconfitti avevano reso instabile l’Europa, e portato alla seconda guerra – senza dimenticare che gli USA avevano bisogno di un’Europa che comprasse i loro prodotti), le potenze vincitrici decisero di non infierire: l’Italia perse alcuni territori a favore della Francia, ma evitò la perdita dell’Alto Adige (grazie a un accordo con gli austriaci del settembre 1946, che stabiliva autonomia per la tutela della minoranza tedesca) e della Valle d’Aosta. Non così bene andarono le cose ad ovest, dove l’Italia dovette cedere tutta la Venezia Giulia alla Jugoslavia (che tra l’altro era già stata occupata da Tito, come sappiamo dall’articolo di sabato scorso). Ovviamente, l’Italia perdeva tutte le colonie e tutti i regni che facevano parte dell’ex Impero (come l’Albania). Trieste, infine, veniva costituita come territorio indipendente e sarà oggetto di trattative ancora per molti anni.
Il Piano Marshall. Archiviata la questione dei trattati di pace, il problema era adesso trovare i soldi per ricostruire il Paese. Gli USA, come abbiamo detto, erano interessati affinché l’Europa si ricostruisse in fretta, poiché si trattava di un mercato enorme per le industrie statunitensi. Per questo gli USA avevano messo a disposizione un fiume di denaro per la ricostruzione europea (il Piano Marshall). Ma per poter fare il bagno in questo fiume l’Italia doveva compiere una scelta: o con gli USA o con l’URSS. Per questo motivo fu necessario per la DC rompere l’alleanza con le sinistre, come volevano esplicitamente gli USA per la dottrina Truman, ma anche gli imprenditori e la Chiesa cattolica. La situazione era intanto deteriorata: la vittoria delle sinistre in Sicilia provocò non poco malumore nelle forze anticomuniste e culminò il 1° maggio 1947 con la strage di Portella delle Ginestre, quando un commando comandato dal bandito Salvatore Giuliano (forse aiutato da Cosa Nostra, dagli USA e da ministri del governo italiano stesso, ma sull’episodio non è mai stata fatta chiarezza anche a causa della morte violenta di alcuni protagonisti) sparò sulla folla in festa per la festa del lavoro. Il 31 maggio 1947 la crisi si consuma: cade il terzo governo De Gasperi e la Costituente vota la fiducia ad un nuovo governo de Gasperi, il quarto. Il nuovo governo era sostenuto, oltre che dalla DC, dai liberali, dai repubblicani e dai fuoriusciti a destra dal partito socialista, il neonato Partito Socialdemocratico Italiano (PSDI) di Giuseppe Saragat, che contestava al PSI l’orientamento filosovietico. L’Italia si distaccava dall’orbita sovietica ed entrava in quella statunitense, e poteva adesso beneficiare degli aiuti del Piano Marshall. ((Per i più curiosi, la Cecoslovacchia entrò nell’orbita dell’URSS grazie a intimidazioni e pressioni militari.))
La rottura della coalizione antifascista e il governo De Gasperi IV. Il nuovo governo ebbe una svolta liberista. Ministro del Bilancio fu appunto un liberista, Luigi Einaudi, che seguì una politica deflazionistica (ovvero volta a far scendere i prezzi), attuata con una stretta fiscale e creditizia. La manovra riuscì: i prezzi scesero e la lira si stabilizzò, ma il prezzo da pagare fu altissimo. La contrazione di consumi e investimenti rallentò l’economia e aumentò la disoccupazione. Ma qui entrò in gioco il Piano Marshall: il denaro e gli altri aiuti giunti dagli USA sopperirono alla contrazione di consumi e investimenti, e l’Italia poté ripartire. Intanto il ministro dell’Interno Mario Scelba espulse tutti i partigiani dalle forze dell’ordine e nominò prefetti dichiaratamente anticomunisti.
La Costituzione. Potreste ritenere che le travagliate vicende politiche ed economiche avrebbero bloccato i lavori per la Costituzione, ma non fu così. Tutte le forze costituenti continuarono a confrontarsi per dare al Paese la migliore Costituzione possibile. Non mancarono momenti di forte tensione, come nel caso dell’articolo 7. Questo articolo riconosce i rapporti con la Chiesa cattolica (all’epoca regolati dai Patti Lateranensi firmati nel 1929) e fu oggetto di ampio dibattito fra le forze cattoliche e laiche. Le prime volevano garantire la Chiesa, mentre le seconde volevano uno Stato laico, dove tutte le forze religiose fossero uguali e per questo nessuna aveva bisogno di particolari garanzie. Alla fine fu Palmiro Togliatti, segretario dei comunisti, a risolvere la situazione: Togliatti non ritenne opportuno fomentare divisioni religiose all’interno della nascente democrazia italiana e votò a favore dell’inserimento dell’articolo 7 nella Costituzione, a differenza dei socialisti, che continuarono ad opporsi.
Caratteri della nuova Costituzione. Alla fine quella che venne fuori fu una Costituzione che riuniva in sé gli ideali liberaldemocratici, cattolici, socialisti e comunisti. Tutti i partiti, infatti, erano decisi ad evitare il ritorno di ogni forma di fascismo e quindi di autoritarismo. La dittatura doveva essere a tutti i costi impedita. Da questo punto di vista, il lavoro fu facile e portarono a dichiarare con forza i seguenti principi:
- riconoscimento dei diritti fondamentali dei cittadini;
- sovranità popolare;
- democrazia pluralista e quindi tutela delle minoranze;
- prevalenza del Parlamento, cui il Governo doveva sempre riferire;
- indipendenza della magistratura;
- definizione del ruolo di controllo del Capo dello Stato.
Rigidità della Costituzione. Ma più di tutto bisognava impedire che la legge fondamentale dello Stato potesse essere modificata a piacimento dalla maggioranza. La precedente legge fondamentale (lo Statuto albertino) era facilmente modificabile e questo aveva portato a forti derive. Nella nuova Costituzione, invece, all’articolo 138, si accoglieva (e si accoglie ancora oggi) il principio che la Costituzione possa essere modificata solo attraverso una procedura particolare, che necessita del consenso di grandissima parte del Parlamento o, in alternativa, della ratifica popolare attraverso un referendum. La Costituzione, dunque, viene definita “rigida”, il che vuol dire che non è tanto facile modificarla (e soprattutto, come sancito dal successivo articolo 139, l’Italia non può che essere una Repubblica: questo non può essere cambiato neppure se sono tutti d’accordo – almeno in teoria, ma il dibattito in proposito ve lo risparmio). Infine, nelle Disposizioni transitorie e finali si imponeva l’impossibilità di riorganizzare, sotto qualsiasi forma, il Partito fascista.
Il problema delle norme programmatiche. La Costituzione, tuttavia, conteneva soprattutto norme programmatiche, ovvero norme all’interno delle quali c’è una libertà di azione relativamente ampia. Ad esempio se da un lato sanciva l’uguaglianza formale fra tutti i cittadini dinnanzi alla legge, dall’altra doveva tendere all’uguaglianza sostanziale dei cittadini, con l’eliminazione di tutti gli ostacoli che potevano impedirla (come la povertà, la disoccupazione e l’emarginazione) e riconoscendo finalità sociale all’iniziativa economica privata e al lavoro. Il problema è che tutte queste norme programmatiche dovevano essere attuate con leggi ordinarie che le realizzassero concretamente. È per questo motivo che la Costituzione rimase inattuata per diversi decenni, e ancora oggi gli ideali di uguaglianza sostanziale non si sono ancora realizzati. Inoltre, sempre grazie a queste norme generali, sono state possibili alcuni interventi decisivi per la storia italiana.
Approvazione della Costituzione e fine della Costituente. I lavori dell’Assemblea Costituente terminarono il 22 dicembre 1947, con l’approvazione a larghissima maggioranza della nuova Costituzione, che entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Si chiudeva un altro periodo della storia italiana, e un altro doveva aprirsi. Questo avverrà a partire dall’aprile 1948, con le elezioni del primo Parlamento scelto in base alla nuova Costituzione. Elezioni travagliate che portarono l’Italia sull’orlo di una nuova guerra civile.
Ma di questo parleremo la prossima volta. 🙂