Lamberto Cardia, presidente della CONSOB, autorità che vigila sulla Borsa, qualche giorno fa ha espresso preoccupazione per la possibilità che i crolli azionari delle ultime settimane possano favorire delle scalate ostili, ovvero che delle persone o società che hanno qualche miliardo da spendere, possano comprare società italiane grazie ai bassi prezzi di questi giorni. Berlusconi subito scende in campo e dice che dobbiamo difendere l’italianità delle aziende italiane (che ormai sono pochissime visto che molte sono state già portate all’estero a causa della debolezza intrinseca del tessuto economico italiano, ma vabbé…). Il riferimento, secondo lui, è ai fondi sovrani degli arabi, che grazie agli alti ricavi da petrolio avrebbero la liquidità sufficiente per acquistarsi mezza Italia.
Allora è il caso di smentire alcune cose.
Le azioni sono sottovalutate. La tesi di Cardia e Berlusconi è vera solo se le azioni sono sottovalutate, ovvero se in realtà valgono meno di quanto dovrebbero. Questo è possibile, ma capire quali sono sottovalutate e quali no è un’impresa impossibile poiché i germi della crisi hanno attecchito un po’ ovunque, ma non sappiamo con quale intensità e in quali settori. In particolare noi dividiamo l’economia in “Main Street” (l’industria tradizionale) e “Wall Street”, ovvero banche e istituti simili. Capire quale parte di Wall Street è in crisi è difficilissimo, visto che le stesse banche non si fidano più delle altre e non si prestano soldi a vicenda. Capire invece quale parte di Main Street è in difficoltà è ancora più difficile, perché la crisi sta cominciando adesso ad attecchire quella parte dell’economia.
Quindi così come non ci riescono i governi, è difficile anche per gli stranieri capire dov’è il marcio e dove no. E dubito che vogliano andare a fortuna. Quindi le azioni potrebbero pure essere sottovalutate (cosa che io non credo, come anche qualche altro economista più preparato di me), ma capire quali lo sono davvero è estremamente difficile.
Gli arabi hanno un sacco di soldi grazie al petrolio. Secondo Berlusconi aleggia lo spettro dei mediorientali. Sapevamo che Berlusconi è un po’ razzista nei loro confronti, e visto che ha come alleato la Lega Nord, partito notoriamente xenofobo, avere gli arabi in giro nella finanza può dargli evidentemente fastidio (senza dimenticare che ha un grande amico arabo, il cui nome è Tarek Ben Ammar, che abbiamo incontrato nel caso Mediobanca). Ma il pericolo arabo, secondo me, non esiste. Abbiamo visto che se volessero comprare aziende italiane, gli arabi dovrebbero andare quasi a caso. Per farlo hanno bisogno di quattrini da buttare via: voi direte che grazie ai prezzi del petrolio alle stelle i soldi non gli mancano. Il problema è che il petrolio è un mercato estremamente altalenante negli ultimi tempi: oggi vale la metà rispetto a qualche tempo fa e il trend è decisamente ribassista (alcuni analisti hanno individuato la soglia di 72,4$ oltre la quale il petrolio rischia di andare in caduta libera). “Grazie” alla recessione, infatti, il prezzo potrebbe crollare, e se gli arabi vengono a fare shopping e comprano aziende a caso che domani potrebbero non valere niente, rischiano di buttare via miliardi di dollari che potrebbero servire in futuro, se la recessione fosse abbastanza lunga, senza dimenticare che il petrolio è l’unica cosa che gli arabi possono scambiare con l’Occidente.
Perché dovremmo essere noi in pericolo? L’Italia ha un tessuto economico estremamente debole. “Grazie” alla concentrazione industriale, sono poche persone e imprese a possedere una grossa fetta del patrimonio nazionale e un tradizionale protezionismo all’italiana (come abbiamo visto per Alitalia) e una certa avversione per la concorrenza e quindi la scarsa vocazione internazionale non rendono l’Italia un Paese appetitoso: per potere fare qualcosa, insomma, devi avere il permesso dei grandi padrini del salotto buono. Mi pare quindi abbastanza probabile che se gli arabi avessero soldi da buttare, cercherebbero di buttarli in altri Paesi messi meglio piuttosto che in Italia.
Perché se gli stranieri ci comprano dovrebbe essere un male? Prendendo quindi spunto da quanto dice Sandro Brusco su nFA, bisogna innanzitutto notare che uno non compra un’azienda intera per scherzo, ma perché ritiene che possa essere profittevole. Se vuole semplicemente guadagnare sul prezzo delle azioni, basta che ci speculi sopra. Insomma, non è detto che chi vuole comprare un’azienda lo faccia per distruggerla, bensì per farla funzionare al meglio (è nel suo interesse che funzioni bene, e di riflesso lo è anche per noi). Di poche ore fa è infatti l’annuncio dell’ingresso di libici all’interno del capitale di Unicredit, un ingresso voluto dalla stessa banca italiana (e quindi non ostile), e che avrà riflessi positivi sul futuro di Unicredit (magagne nascoste a parte).
Poi quando un’azienda finisce nell’obiettivo di una scalata, i prezzi salgono, per un motivo semplicissimo: se voglio acquisire il controllo, devo acquistare un bel po’ di azioni e per farlo devo offrire un prezzo più alto di quello di mercato, altrimenti nessuno me le vende. Se anche il prezzo fosse innaturalmente basso, basterebbe l’annuncio della scalata a riportarlo ai livelli giusti: il mercato, infatti, penserebbe «ma se questo qui compra vuol dire che sa qualcosa di positivo che noi non sappiamo: allora compro pure io, male che vada gliele vendo poi». Questa ondata di acquisti riporta i prezzi a livelli superiori, e quindi un’eventuale scalata sarebbe assai più onerosa.
Il pericolo, insomma, esiste, ma è remoto, remotissimo. Una manovra del genere, però, ha sicuramente una prima decisiva conseguenza. In Italia l’azionariato della maggior parte delle imprese è concentrato, ovvero nelle mani di poche famiglie/persone/imprese (gli Agnelli, i Moratti, i Benetton, Tronchetti, i Marcegaglia, etc.) o, al massimo, vedono una grossa quota nelle mani di un patto di sindacato, ovvero persone diverse che si impegnano a votare allo stesso modo. Queste poche famiglie sono, inoltre, quelle che “hanno i soldi”, e quindi sono gli unici giocatori di questa partita. E tali vogliono rimanere, perché se entrasse qualcun altro (ovvero se ci fosse concorrenza) loro vedrebbero i propri guadagni e potere scendere.
Una simile manovra protezionistica, se avesse un senso, dovrebbe essere provvisoria, ma se venisse approvata diventerebbe praticamente definitiva così il potere economico in Italia si perpetuerà nelle stesse persone per tutti i secoli dei secoli.
Ancora, Cardia propone, fra le misure volte a salvare le aziende da takeover ostili quella di permettere le pillole avvelenate. La logica di queste pillole avvelenate è la seguente: piuttosto che darti il mio lecca-lecca, lo butto per terra e lo schiaccio con le scarpe infangate. Insomma, distruggo la società così non te la puoi più comprare. E questo a scapito dei piccoli azionisti, mica dei grandi. Sono sempre i risparmiatori a pagarne le conseguenze: Tanzi continua a vivere in un villone, mentre gli ex-azionisti Parmalat stanno in mezzo alla strada.
Insomma, quanto dice Cardia non ha senso, e Berlusconi vi si appiglia per motivi di interesse (conflitto di interesse). Da un lato può sfruttare l’italianità per continuare nella sua campagna elettorale, un po’ come ha fatto con Alitalia, dall’altra questa legge aiuta dirigenti e grandi industriali (categoria in cui rientra a pieno titolo) a mantenere il controllo delle proprie imprese a scapito del mercato e della concorrenza. Probabilmente Cardia ha solo offerto l’assist, e Berlusconi l’ha raccolto per raggiungere un altro scopo: proteggere lo status quo, il mondo degli affari di cui Berlusconi stesso fa parte, dall’ingresso di persone scomode, ovvero dei concorrenti che li costringerebbero a guadagnare di meno o a offrire di più. Già che ci siamo, sfrutta anche l’ondata di xenofobia che ha colpito l’Italia, martellando sul pericolo arabo. Allegria!
In conclusione, se Berlusconi fosse liberale, dovrebbe lasciare le azioni e i capitali liberi di circolare come meglio credono. Ma Berlusconi liberale non è: come la maggior parte degli industriali italiani, anche per Berlusconi il mercato, la concorrenza, il liberalismo e il liberismo (sia pure corretto) sono bei concetti che però devono rimanere il più possibili lontani dalla realtà. Alla fine chi viene danneggiato da tutte queste manovre siamo solo noi.
(Aggiungo anche questo articolo di Mario Seminerio sempre su nFA, che ho letto dopo la stesura di questo pezzo, sul perché le prospettate misure per prevenire le invasioni barbariche saranno un nuovo attacco all’economia italiana – ovvero una sorta di seppuku)