Dunque le Olimpiadi di Pechino sono finite e il bottino dell’Italia è stato piuttosto magro. No, non sono impazzito (il medagliere, in effetti, dice che non è andata male), ma ci vuole poco a capire perché il bottino è inesorabilmente magro e deludente.
Qualcuno dirà che è colpa dei cinesi, che hanno vinto tutto: in realtà i cinesi hanno vinto “soltanto” più medaglie d’oro rispetto ad Atene (51 a 32 – +19 medaglie), ma quanto a medaglie d’argento e di bronzo l’aumento è stato meno vistoso (21 a 17 – +4- e 28 a 14 – +14), ed è ancor più ovvio quando si guarda anche a Sydney. Considerando che la squadra di casa ha sempre un vantaggio, era un aumento più che atteso.
Qualcuno dirà che è colpa degli arbitraggi: sì, certo, non sono stati all’altezza (giusto per fare qualche esempio, la finale di basket ha lasciato molto a desiderare e forse la Spagna avrebbe perso con uno scarto minore – ma avrebbe perso comunque, certo 😉 – oppure una finale di pugilato, dove il nostro italiano, mi pare Russo, non si è visto assegnare dei punti che sembravano effettivamente andati a segno).
Ma secondo me una grossa parte di questa delusione è dovuta ad una perversa cultura dello sport in Italia. Alcune colpe sono di alcuni atleti (prendiamo la Pellegrini: partita detentrice di grandi record con due medaglie d’oro in tasca, ne ritorna con una sola, e dopo averla vinta ha pure il coraggio di dire: «avete visto? ho vinto anche se ho fatto la modella!» – discorso simile per Aldo Montano). Poi c’è Andrew Howe, cui auguro di strozzarsi con un Kinder Bueno («speriamo de no», dirà lui, che a Pechino è andato in vacanza: rimettiti dall’infortunio, che già ci manchi sugli schermi televisivi).^_^ E altri ancora, come Magnini.
Ma veniamo alla delusione vera: gli sport di squadra. Una volta erano la nostra punta di diamante, avevamo nazionali di basket, pallavolo e pallanuoto, sia maschili che femminili, da fare invidia al mondo. Insieme alla squadra di calcio fu campione del mondo, ci si aspettava che qualcuno, almeno una medaglietta di bronzo, la portasse a casa. Invece niente: questi sport così seguiti con atleti così pagati non hanno fatto nulla di nulla, e qualcuno (il basket) non si è neppure qualificato per le Olimpiadi. E le cose non sembrano volere andare meglio.
Ho già spiegato uno dei motivi di questo disastro: in Italia le squadre non sviluppano campioni, ma li vanno a comprare all’estero, rimpinguando le casse di altri club, felici di sbarazzarsi di campioni ormai in declino. E soprattutto il calcio dirotta i soldi che incassa all’estero: in questo modo il calcio diventa il peso dello sport in Italia. Se affonda lui, affondano tutti.
Negli altri sport, invece, ci affidiamo a campioni naturali, come la Vezzali o la Idem, ormai alla centodecima olimpiade e alla settantesima medaglia che ormai non hanno più posto in casa. Sono campioni, certo, ma quanto dureranno ancora? E chi prenderà il loro posto? La Trillini, una delle veterane, si è già ritirata. Poi ci sono le grandi sorprese: chi se l’aspettava una medaglia nella lotta grecoromana?
Si tratta di una storia che si ripete: di solito i grandi campioni di un’era passano il testimone alla successiva. Prendiamo i Montano (Aldo, Mario Aldo e Aldo), tre generazioni nella scherma (anche se l’ultimo s’è perso sulla strada della Arcuri, pur rimandendo ad alti livelli teorici). Oppure prendiamo Schwazer, ultimo anello di una grande catena di marciatori.
Ma altre volte, troppo spesso, chi segue non è all’altezza di chi precede e spesso succede perché non ci sono soldi, e un atleta in erba guarderà certamente sport che offrono popolarità, denaro e veline come il calcio piuttosto che altri, quindi sarà nel calcio che si investirà a dispetto degli altri. Ma come ho già detto, il calcio investe all’estero, non nei vivai, quindi tutto è perduto.
Come esempi ho il canottaggio, il cui bottino è stato più magro, ma con gli stessi campioni di un tempo (il portabandiera Rossi per tutti, anch’egli all’ottantesima olimpiade). Oppure nell’atletica: avevamo campioni come Berruti e Mennea, possibile che da una scuola tanto forte non sia più uscito un connazionale perlomeno decente (per i livelli olimpici, ovvio)?
La distorsione diventa evidente nella ormai celebre storia dell’aereo: di ritorno dall’Italia, i ragazzi del calcio, senza aver vinto niente, viaggiavano in classe business, mentre gli altri, anche plurimedagliati, dovevano accontentarsi della economica. La differenza, si saprà poi, è stata pagata dalle federazioni, ed essendo la FIGC la più ricca, ha pagato tranquillamente la prima classe per tutti i suoi affiliati.
Insomma, qualcosa che non va c’è, a cominciare dal fatto che lo sport è troppo politico, mentre dovrebbe essere privatizzato (un po’ come il sistema dei college negli USA). Perché fino a quando lo sport sarà un fatto politico, continuerà ad esistere soltanto il calcio. Questo sport, infatti, ben si presta all’antico motto “panem et circences“. Purtroppo anche grazie ad un evidente (solito) conflitto di interessi il trono del calcio diventa sempre più irraggiungibile per gli altri sport, destinati sempre più al dimenticatoio e con loro anche le medaglie olimpiche.
Ma di questo avremo modo di parlare dopo l’assegnazione dei diritti per il calcio in tv. 😉