Qualche giorno fa Giovanni Minoli ha presentato il documentario Oil storm – Emergenza petrolio durante il suo “La Storia siamo noi“. Per una sinossi dettagliata vi rimando alla voce relativa sulla Wikipedia in lingua inglese su linkata.
Qui farò solo un breve sunto: la docufiction è del 2005, e presenta una ipotetica emergenza petrolio a cavallo fra il 2009 e il 2010. Nella fiction si ipotizzava che, a seguito di un evento catastrofico quale un uragano, il principale oleodotto statunitense, quello di Port Fourchon in Louisiana, si interrompesse e il prezzo del petrolio cominciasse a salire. Per un’economia petroliodipendente come quella statunitense, la difficoltà di approvvigionamento causa un blocco dell’economia. Il governo si attiva, ma, visto che le disgrazie non vengono mai da sole, tutta un’altra serie (che io ho ritenuto improbabile) di eventi catastrofici, come attacchi terroristici ai pozzi arabi, portano il prezzo del petrolio a oltre 150 dollari al barile e gli Stati Uniti alla fame.
Al termine del documentario, mi sono detto che la situazione non è tanto catastrofica, anche se è possibile che un uragano, evento sempre più frequente e catastrofico, scateni una crisi simile, come era avvenuto con l’uragano Katrina.
Se non che, al termine del documentario, Minoli ha conversato con Davide Tabarelli, docente di economia ed energia e presidente di Nomisma Energia, il quale sin da principio afferma che la situazione non è come è stata descritta, ma peggiore! Infatti, secondo Tabarelli, un’emergenza simile non sarebbe tamponabile, come ipotizzato nella fiction, da petrolio russo in eccedenza, in quanto la Russia questo petrolio eccedente non ce l’ha. La Russia, infatti, si basa ancora sulle infrastrutture costruite dall’Eni di Enrico Mattei, infrastrutture mastodontiche e inutili per l’epoca, ma che oggi sono al limite.
Tabarelli afferma anche una cosa molto importante: di petrolio ce n’è in abbondanza nel sottosuolo; il problema è che nessuno investe per estrarlo, preferendo, invece, fare i finanzieri e vendere quello che c’è. E infatti gran parte del prezzo del petrolio è dovuto alla speculazione: fatto 100 il prezzo del petrolio, 80, secondo Tabarelli, viene succhiato dai petrolieri arabi, il resto dagli intermediari, e solo 10 rappresenta il reale prezzo del petrolio.
Quanto alle energie rinnovabili, Tabarelli afferma che, sì, è tutto bello, ma al massimo si può arrivare al 5%, ma ammette che è necessario investire nelle rinnovabili, perché se di petrolio ce n’è tanto, almeno in teoria, di aria pulita ce n’è sempre meno e che il riscaldamento climatico è una realtà.
Qualche considerazione: c’è un Paese, la Svezia, che ha deciso di abbandonare il petrolio dal 2020. Il motivo: costa e inquina troppo. Oggi la Svezia soddisfa il proprio fabbisogno energetico soltanto per il 32% con il petrolio. Il resto proviene da energia idroelettrica e nucleare: su quest’ultimo punto va però precisato che dal 1980 la Svezia non permette la costruzione di nuove centrali nucleari e che quelle esistenti dovrebbero essere chiuse presto. In totale, l’energia rinnovabile rappresenta il 26% del totale, contro una media europea del 6%: la Svezia sta investendo, inoltre, in biocarburante, energia eolica ed energia delle maree.
Gli Stati Uniti stanno investendo in bioetanolo per liberarsi dalla dipendenza dal petrolio. In Texas, il Paese del petrolio per eccellenza, l’ENEL costruisce wind farm. L’Islanda vuole far andare il 100% delle sue auto a idrogeno entro il 2050. Il Brasile da anni va a bioetanolo. La Gran Bretagna si butta sull’energia del mare e del vento. La Spagna punta sul sole e sul vento.
In Italia, il 73% dell’energia proviene da combustibili fossili, il 14,5% sono rinnovabili e il resto viene importato. Insomma, siamo petroliodipendenti come gli Stati Uniti della fiction. Ma c’è di peggio:
- L’Italia ha sostanzialmente espulso Carlo Rubbia, premio Nobel, e questi se n’è andato in Spagna, dove sta realizzando una centrale solare termica, un sistema che fa risparmiare, per ogni specchio di un metro quadrato, l’equivalente di un barile di petrolio: voleva realizzarla in Sicilia;
- L’Italia ha il petrolio estratto in Basilicata, ma continuiamo a pagare come se provenisse dall’Arabia Saudita;
- L’Italia guadagna dal rialzo del prezzo del petrolio: più il prezzo sale, più i cittadini devono pagare in tasse e accise;
- L’Italia ha la FIAT, che vende da tempo auto ad etanolo, ma solo in Brasile, in Italia no.
Morale della favola: oggi in Italia si parla di emergenza energetica, siamo in pieno shock petrolifero, e si vuole investire in rigassificatori, perché, giustamente, visto che il combustibile fossile costa sempre più, noi ne vogliamo sempre più, altrimenti non saremmo abbastanza masochisti. Altrove si dice addio al petrolio, in Italia cacciamo chi studia le energie rinnovabili, perché non si investe in ricerca. Un’azienda italiana vende e stravende auto a basso impatto ambientale all’estero, ma non in Italia, mentre buttiamo le eccedenze di canna da zucchero (da cui deriva il bioetanolo).
Solo a me tutto questo sembra da coglioni puri?