Le cronache di quel Paese raccontano che una volta c’era un politico che promise che avrebbe dotato la Guardia Costiera di motovedette volanti per fermare tutti i possibili disturbi genetici che incombevano da oltremare sul suo Paese.
Un giorno questo politico fu finalmente eletto e finalmente poté scrivere questo decretino che avrebbe dotato la Guardia Costiera di motovedette volanti. Il sogno del politico, e quindi il sogno dei suoi elettori, consisteva nel montaggio di pale di elicottero, nonché relativo motore, sulle motovedette già in dotazione alla Guardia Costiera.
Secondo il grande progetto del politico, queste pale sarebbero emerse dal ponte come quelle che sbucavano dal cappello dell’ispettore Gagdet quando diceva “Hop-hop Gadget-cottero!”. Un gioiello che il Paese avrebbe fieramente esportato in tutto il mondo.
In men che non si dica il decretino fu firmato con grande soddisfazione del popolo ruttante.
Eppure non mancavano detrattori. C’era una volta anche l’U.S.I., un polveroso edificio dove, si diceva, risiedevano persone che avevano passato la vita a studiare cose per nulla divertenti. Questa gente, letto il decretino, fece notare in una relazione tecnica che non solo questo decretino sarebbe costato un sacco di soldi, ma che il progetto rappresentava sfide ingegneristiche enormi e che quindi non sarebbe mai stato realizzato.
La relazione spiegava inoltre che si sarebbero solo spesi inutilmente soldi pubblici per arricchire poche persone, producendo al massimo un prototipo che non avrebbe mai funzionato. Qualcuno, venuto a sapere dell’opinione dell’U.S.I., addirittura osò proporre di comprare alla Guardia Costiera dei semplici, solidi, collaudati elicotteri.
Il politico si rivolse subito all’U.S.I. per fermare il propagarsi di questa fake news. Non elicotteri, bensì motovedette volanti, era il popolo a chiederlo! “Poffarbacco! – scrisse il politico sul suo profilo social – L’U.S.I. sta facendo politica! Inaccettabile! Voi che ne dite?”.
Non ci furono reazioni, inizialmente. L’U.S.I. non rispose e si limitò a ripetere quanto scritto nel precedente comunicato.
“È inconcepibile!” urlò il politico, che non era abituato ad essere ignorato dai suoi nemici e che aveva costruito la sua carriera su trollate del genere. Con altri post sui suoi profili social il politico arringò i suoi sostenitori contro l’U.S.I..
Va da sé che i sostenitori più duri e puri di questo politico non rimasero freddi a questo affronto, anche perché metà delle parole usate dall’U.S.I. sembravano quasi parolacce e ciò meritava vendetta. Con torce e forconi si diressero verso la sede dell’U.S.I. con l’intento di rimettere a posto le cose. La politica la fa il politico, punto. Anzi, due punti.
In quattro e quattr’otto sfondarono porte, finestre, misero a soqquadro stanze e sgabuzzini, bruciarono libri e distrussero computer. Ci furono tafferugli, furono pestati svariati impiegati, a qualcuno rubarono anche portafogli e cellulare. Altri, non riuscendo a entrare negli edifici, pensarono bene di sfogarsi bruciando autobus e vandalizzando le auto in sosta.
Tre edifici devastati dopo, i manifestanti trovarono finalmente la sede dell’U.S.I.. E la trovarono vuota. C’era solo una targa sulla porta. Il portiere disse che quell’edificio era sempre stato vuoto, nessuno era mai entrato o uscito da lì, non c’erano mai stati impiegati, computer, carte, niente. Solo stanze vuote.
“Ah! – gridò il politico, che dopo aver ricevuto gli ultimi sondaggi aveva deciso di farsi vedere dalla turba incazzata – Son fuggiti, i vigliacchi!”. I sostenitori ruttarono in segno di approvazione e cercarono di tornare a casa. Solo allora si resero conto che dei vandali avevano sfasciato le auto, bruciato autobus, rubato portafogli e cellulari, per cui manco un Uber, pardon, un taxi potevi chiamare. La rabbia era palpabile.
Battendo il ferro mentre era caldo, il politico ordinò un’inchiesta dal suo gabinetto e il colpevole fu subito trovato: l’U.S.I. aveva infiltrato agenti provocatori nella folla che aveva pacificamente tentato di linciare l’U.S.I., e che non ci era riuscita perché l’U.S.I si era vigliaccamente data alla macchia.
In breve il cerchio si strinse attorno ai soliti sospetti: negri, zingari, colletti bianchi belgi, ricchioni, laureati e ungheresi con un patrimonio superiore ai cinque miliardi di euro. Non si cavò un ragno dal buco: l’U.S.I. continuava a emanare comunicati.
La politica, quella seria, era nel frattempo entrata nuovamente nel vivo: dopo cinque anni di campagna elettorale di allenamento era tornato il momento di fare sul serio. Delle motovedette volanti nemmeno l’ombra, nonostante i miliardi spesi, tanto che qualcuno osò dire che l’U.S.I., alla fine, aveva avuto ragione.
Eppure il politico non si perse d’animo e rilanciò: i ritardi delle motovedette volanti erano dovuti ad un’altra grande idea che stavano sviluppando. Perché limitarsi agli elicotteri quando le motovedette avrebbero potuto essere anche sommergibili?
Ruttarono ancora i sostenitori del politico, ma stavolta, in sottofondo, si cominciò a sentire un rumore, come un ronzio, come di mani che si strofinano di continuo. Per quanto fastidioso, alla fine gli abitanti di quel Paese ci fecero l’abitudine, e praticamente non lo sentirono più. Ci fu chi speculò che quel rumore fosse collegato in qualche modo ai comunicati dell’U.S.I.: tutti ne attendevano uno da un momento all’altro.
E infatti l’U.S.I. si fece vivo, scrivendo in un comunicato che anche le motovedette volanti e sommergibili non sarebbero mai state realizzate, risolvendosi solo in uno spreco di soldi pubblici e soprattutto di tempo, la risorsa che più mancava a quel Paese, che da troppo tempo inseguiva le farfalle correndo a tutta forza verso il dirupo.
Anche quel politico, infatti, come quasi tutti i suoi predecessori recenti, aveva preferito sprecare il proprio patrimonio politico con proposte penose, mentre indirizzava la rabbia del popolo verso nemici che sembravano sempre presenti eppure sempre invisibili.
L’U.S.I. continuava a scrivere i suoi comunicati e le sue profezie continuarono a realizzarsi, ma sempre nell’indifferenza generale. Nessuno ricordava più il fallimento delle motovedette volanti, perché la memoria, occupata dagli slogan, si era fatta sempre più breve.
Tutto veniva dimenticato, anche i fatti più recenti, anche il fallimento delle motovedette volanti, perché la memoria, occupata dalle motovedette volanti sommergibili che avrebbero liberato con la ruspa il Paese da immigrati e professoroni, avrebbe battuto i pugni rimpatriando i tavoli dei rosiconi che ricordavano il fallimento delle motovedette volanti non c’entrava nulla con la democrazia parlamentare.
Alla fine, se non si fosse capito, il politico rivinse le elezioni. O le vinse qualcuno che gli somigliava. Boh. Non cambiò comunque granché rispetto a prima: a promesse assurde per risolvere problemi complessi seguivano cocenti delusioni che venivano sepolte da altre proposte ancora più assurde. L’Ufficio Sogni Infranti continuava a emanare comunicati, e ogni volta quei comunicati si facevano sempre più pessimisti. E si ricominciava da capo.