Articolo aggiornato dopo la pubblicazione.
Arrivo buon ultimo a dare un giudizio sull’agenda Monti, complici vacanze varie. Avevo dato una scorsa veloce al documento, e avevo espresso questo giudizio sommario. Le letture successive hanno confermato questa mia sensazione a pelle: l’agenda Monti non dice nulla di nuovo, né sul piano della comunicazione (slogan sempre uguali come da diversi anni a questa parte), né sul piano dei contenuti (molta roba l’avete già letta su queste pagine prima ancora che Monti diventasse “famoso”) e che risulta invotabile per via delle alleanze che dovrebbero sostenere tale agenda (vedremo come andrà a finire, ma temo male).
Partiamo dall’agenda Monti, punto per punto (presumendo sia già stata letta e/o ne siano state lette le sintesi).
- Italia, Europa. L’Italia deve fare la brava se vuole avere voce in Europa, l’Europa deve continuare ad integrarsi se vuole uscire dalla crisi. Roba di cui ho già scritto.
- La strada per la crescita. Se (in un arco di tempo non breve) cresce il PIL e cresce pure il debito pubblico (e pure privato) significa che non c’è realmente crescita economica, bensì che stiamo gonfiando un palloncino. Il pareggio di bilancio, tuttavia, non va cercato a ogni costo: essere iperausteri è sbagliato quanto essere ultrakeynesiani, a mio modesto avviso. Bene dismettere il patrimonio pubblico, ma non adesso, perché lo si farebbe in saldo (ma poi, non è Monti ad aver deciso la nazionalizzazione di Snam?). Va bene riequlibrare il carico fiscale e ridurlo, va bene spendere non meno, ma meglio, va bene la trasparenza, benissimo le liberalizzazioni, ma siamo sempre agli slogan. Due note: 1) l’agenda Monti vuole evitare le fughe di capitali, ma il suo Governo, sia pure,probabilmente, per pressioni da sinistra, ha approvato una tassa, la Tobin Tax, i cui tempi e modalità hanno come logica conseguenza l’assottigliamento del mercato dei capitali; 2) “rivitalizzare la vocazione industriale dell’Italia” è una barzelletta, visto che l’industria italiana andrebbe ricostruita su altre fondamenta: grande parte dell’industria italiana è formata da i) grandi capitalisti sempre pronti a fare la questua allo Stato e mai preparati a reggere le sfide del mondo (basti pensare alla FIAT degli Agnelli che, quando i cinesi nel 1982 li invitarono a investire da loro disse «Ma voi non avete neanche le strade!». Al ritardo si è accumulata una politica industriale idiota, e oggi FIAT è un marchio marginale in un grande mercato con grandi potenzialità dominato marchi non domestici); e ii) piccole imprese con poca o nessuna voglia di crescere. Non parliamo poi del ritardo relativo alle nuove tecnologie: “start up” è una parola diventata di uso “meno incomune” solo quest’anno, e l’approccio dell’agenda digitale è piuttosto deludente. A quest’ultima sono dedicate sedici righe a pagina 10, scritte da qualcuno che evidentemente conosce solo le parole che più vanno di moda, ma non il loro significato. D’altro canto, fossi nell’entourage di Monti, gli toglierei Twitter (ammesso che non sia un profilo falso);
- Costruire un’economia sociale di mercato, dinamica e moderna. Più lavoro, più giovani, più donne: grazie, capitan Ovvio. Tenere sotto controllo il welfare, perché aumenterà chi ne ha bisogno, per cui o si spende meglio o si spenderà meno: Monti ha provato a farlo (riforma delle pensioni) e a dirlo (riforma della sanità), ma troppi asini ragliano per ignoranza o a fini elettorali. Anche qui, niente di così nuovo;
- Cambiare mentalità, cambiare comportamenti. Solite riforme istituzionali, soliti “inviti” al federalismo, soliti tagli alla politica, solite lotte all’evasione, alla corruzione, alle mafie.
Qualcuno dirà: ma se l’agenda Monti, pur se povera di novità e di dati e proposte concreti, è una buona agenda, perché ci frantumi le scatole? È presto detto: al netto di proposte “non lineari” (Snam e Tobin Tax, fra quelle citate) e mancanze (pare siano sparite le banche), l’agenda Monti rappresenta semplicemente un elenco di buoni principi economici che dovrebbero essere sostenuti da un po’ tutti i partiti. Insomma, un esercizio retorico di cui avrei leggermente piene le scatole dopo vent’anni di berlusconismi a destra, a sinistra e a 5 stelle.
Questo è il grave handicap non dell’agenda, bensì del movimento Monti. Casini, Fini e Montezemolo, che dovrebbero essere il braccio politico di Monti, di quell’agenda han piene le parole, ma non i fatti. Abbiate il coraggio di prendere articoli di giornale vecchi di qualche anno, e troverete tutta l’agenda Monti in bocca a tutte quelle persone. Poi mettete un cappotto, uscite sul balcone e ditemi che Italia vedete.
Vedremo quali nomi usciranno nella lista (o peggio, nelle liste) Monti, ma pare che i gattopardi centristi (come gli altri, del resto) non abbiano intenzione di scollarsi dalle poltrone, nonostante vent’anni e più di fallimenti.
Veniamo poi alle mancanze più grosse, ovvero i diritti civili. Monti ha scritto un bel temino in materia economica, ma non una riga sulle questioni sociali (a parte cose come “fate più figli”). Puoi fare tutte le riforme economiche che ti pare, ma se non provi a cambiare la mentalità dell’italiano medio, non cambierai niente, e per fare ciò non basta ridurre le tasse, tagliare i parlamentari o mettere un po’ di cavi in fibra ottica qua e là. Visto che l’agenda Monti non offre niente del genere, è ovvio pensare che su questi temi domineranno Casini, Fini e Montezemolo, ovvero quanto di più conservatore si potesse pensare senza scadere nel fascismo xenofobo che c’è più a destra.
Ma a noi non serve conservare. Noi abbiamo bisogno di distruzione creatrice.
Qualche esempio.
Sono reduce da una discussione con i gestori di un supermercato che si lamentavano della cattiva congiuntura economica. La discussione è iniziata parlando del pane: il panificio che rifornisce il supermercato non fa resi e, avendo anche una propria piccola panetteria in città, rifornisce i supermercati tardi e male (una quota del pane “fresco” non è propriamente “fresco”). Il panificio fa questo perché sa che buona parte della clientela vuole solo e soltanto il suo pane, per cui i supermercati devono piegare la testa. C’è gente che se non trova il pane di panificio X, molla il carrello in mezzo alle corsie e se ne va. Pazzesco, ma questo è il mercato.
Ho consigliato due soluzioni: o chiudi e vai a zappare l’orto o ti metti a tavolino per trovare un modo per attirare la clientela a prescindere dal pane, ergo mandare a quel paese il panificio della malora. Apriti cielo: sono stato travolto da obiezioni che dribblavano il mio pensiero. Il solo odore di dovere mettersi a tavolino per cambiare il modello (fallimentare) di business scatenava la bava alla bocca e prese in giro gratuite: «Che devo fare? Mettere i tapis roulant per le corsie?». Con pazienza ho fatto esempi di fantasia ma comunque più concreti, come vendere cibi pronti, o combinazioni di prodotti complementari a prezzi più favorevoli che comprando pezzi singoli (cotechino, lenticchie e spumante, o altri abbinamenti più audaci), o offrire un servizio di consegna a domicilio (tu fai la spesa, io ti porto i colli a casa). «Mettetevi attorno a un tavolo e trovate qualcosa di adatto alla vostra situazione». Mi han preso per un alieno. La moglie del titolare ha poi ricordato che «effettivamente, quando ti sei messo a vendere polli arrosto hai venduto più roba». Allora il problema non è solo legislativo (il business dei polli arrosto fu stroncato dalla burocrazia), ma pure di mentalità: la sola idea di doversi impegnare per cambiare lo status quo, di dover fare qualcosa di diverso dal “apri la saracinesca, vendi la roba, chiudi la saracinesca” generava sciabolate di Pavlov.
È la mentalità conservatrice del panificio, del gestore del supermercato e del cliente ad azzoppare l’economia, prima della burocrazia, che, d’altro canto, non è altro che espressione della mentalità conservatrice e meccanica dei burocrati, e tutti insieme sono semplicemente italiani.
Ancora. Il matrimonio omosessuale: per quanto possa sembrare strano a gente che ama così tanto la famiglia da averne più di una (come Fini e Casini, tra gli altri), le conseguenze del matrimonio gay non contemplano «terrore, miseria, morte e distruzione» (prendo le parole di quel tizio di cui all’epoca [2003] erano fieri e fedeli alleati per parafrasare i talebani cattolici). Il matrimonio gay ha come conseguenze principali il matrimonio gay e uno spostamento di soldi dagli studi legali specializzati in diritto della successione a quelli del diritto del divorzio. Le unioni civili, sia etero che omosessuali, darebbero ai contraenti semplicemente la libertà di fare ciò che ritengono più giusto per sé stessi, senza finire ingabbiati in un contratto blindato. Questo non deve significare anarchia ovviamente, bensì solo una maggiore libertà di decidere come una famiglia (e una sola, la propria) deve funzionare.
Generalizzando, bisogna imparare a dire ai cittadini “sono problemi vostri”. Lo Stato deve intervenire in situazioni di disparità ingiuste o quando vi sono danni ingiusti, ma non può, né deve permettersi di regolare la vita della gente come fossero meccanismi di un orologio. Oltre che eticamente mostruoso, è pure paurosamente inefficiente. Eppure questa è la posizione degli alleati “politici” di Monti, non quella dei liberali e neppure di gran parte dei conservatori europei.
Sintetizzando: se mi si chiedesse di votare l’agenda Monti, la voterei. Ma considerando che i possibili alleati di Monti bramano solo potere e conservazione della specie (si veda il litigio sulle liste tema caldo di queste ore), che per anni essi hanno ignorato i principi nell’agenda (oltre a diversi diritti umani, ma è un altro discorso) e che avranno in mano un’altra delle leve necessarie per cambiare il Paese e frenarne la rovina (i diritti civili), se mi si chiedesse di votare Monti, risponderei “oggi no”.
L’agenda vale 5½, il resto 4. Voto di sintesi: 5-