Mario Draghi, governatore della Banca Centrale Europea, ha annunciato ieri che l’istituzione che presiede non introdurrà novità nella sua politica monetaria, almeno per il momento. La scelta è stata accolta malissimo dai mercati: Milano ha chiuso a -4,6%, mentre lo spread è schizzato a 509 punti da 433.
Draghi aveva fortemente alzato le aspettative nel corso della scorsa settimana, quando aveva annunciato che la BCE avrebbe fatto tutto il necessario per salvare l’euro. Gli investitori avevano interpretato quelle parole come la minaccia che Francoforte avrebbe presto puntato il proprio bazooka sui mercati, ovvero che avrebbe sostenuto massicciamente i prezzi dei titoli di Stato dei Paesi dell’area euro utilizzando la propria infinita potenza di fuoco, cioè il denaro che essa stessa crea. Questo aveva fatto sparire i venditori di BTP e Bonos spagnoli, facendo scendere di molto lo spread nei giorni scorsi.
Il presidente della BCE, però, oggi, in modo molto “italiano”, ha affermato (parafrasando) di essere stato “frainteso” e che le sue parole non erano assolutamente da intendere nel senso che i mercati gli hanno dato: la BCE continuerà la propria opera così come ha fatto sinora, ovvero in modo del tutto insufficiente. La BCE dovrebbe affiancare il fondo salva-stati EFSF/ESM, ma la dotazione resta palesemente minuscola: basti pensare che essa è quasi esaurita dopo aver aiutato Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna, e deve ancora arrivare l’ora dell’Italia e del suo maiuscolo debito pubblico.
Non tutta la colpa va però addossata a Draghi: è vero che con le sue parole si è spinto oltre i propri poteri, scoprendo goffamente il proprio bluff, ma è anche vero che la politica monetaria europea, per quanto possa essere ribadito ogni volta, non è totalmente indipendente, ma anzi è ostaggio degli umori di Berlino. Il governo tedesco è tradizionalmente contrario alla commistione fra politica fiscale e monetaria, e vede come la peste un intervento diretto della BCE per salvare gli Stati europei in difficoltà. Berlino chiede riforme e austerità, che pure è giusto e sacrosanto, ma è necessario rendersi conto che non è possibile attuare una stretta fiscale in contemporanea in una zona così integrata come l’Europa: se tutti i Paesi alzano le tasse e tagliano le spese nel bel mezzo di una recessione, è logico e consequenziale che calino consumi, investimenti, spesa pubblica ed esportazioni, il che significa una recessione epocale e il ritorno di incubi vecchi di un secolo.
Uno sfogo sarebbe necessario, e questo sfogo dovrebbe essere la politica monetaria, per quanto essa non risolverebbe la situazione, ma permetterebbe di attuare la stretta fiscale e il rientro dalla spirale del debito pubblico in modo meno mortale. La Germania però non ci sente da quell’orecchio e continua a bacchettare tutti pur avendo la coscienza sporca: va ricordato, infatti, che quando i bilanci tedeschi saltarono, i tedeschi fecero presto a buttare a mare i trattati di Maastricht, all’inizio dello scorso decennio, il tutto mentre un altro Paese, oggi al collasso, ovvero la Spagna, li rispettava abbondantemente.
L’Unione Europea, insomma, è sempre più in mezzo al guado: la recessione si approfondisce sempre più rapidamente, il tempo è sempre meno, mentre la credibilità di politici e tecnocrati si va rapidamente dissipando. E da oggi anche delle parole di Draghi non sembra più essere possibile fidarsi: non c’è da stupirsi, quindi, che il termometro della situazione, i mercati, segnali il panico.