(Chiedo scusa per l’eventuale effetto “confusione da divagamento”: questo post va avanti e indietro dagli USA all’Italia, e dall’Ottocento al Novecento e ritorno al futuro, ma mi è venuto così)
Via Lucas, un grafico che mostra chi ha aumentato il debito pubblico USA. La risposta, come già analizzato mesi fa in questo articolo, è “Reagan e i reaganiani”. Considerando la crisi del debito pubblico che pure attanaglia gli Stati Uniti (meno che l’Europa, per motivi spero ormai noti), chi ancora sostiene le sciocchezze tirate fuori da Reagan nel corso dei suoi otto anni alla Casa Bianca (e ce ne sono tanti, specie a destra, pure in Italia) usa argomenti che sono non validi non solo da un punto di vista economico, ma prima di tutto dall’occhio del buonsenso.
Reagan ha dato un grande periodo di prosperità agli USA? Innegabile. Ma è una crescita a debito, ovvero finta, che oggi stiamo pagando con una recessione che riecheggia gli anni Trenta.
Non solo, ma è una crescita sbilenca, visto che i tagli alle tasse hanno visto come beneficiari i ricchi, favorendo, in condizioni di incertezza che rende meno propensi al rischio d’impresa, l’accumulazione di liquidità, lasciata a macerare improduttivamente (si pensi alla solita Apple, seduta su una liquidità di 100 miliardi di dollari con cui potrebbe comprarsi la Slovacchia o il Lussemburgo).
Un governo di buonsenso e libero dai ricatti degli asini (e con un occhio guardo a Washington, con l’altro a Roma) noterebbe subito il problema e vi porrebbe rimedio utilizzando la leva fiscale: se quei soldi non li investi, te li tolgo e li investo io facendo lavori pubblici di cui la medesima azienda o persona trarrebbe giovamento, ma pure l’economia in generale, con nuovi posti di lavoro o con ricerca; se invece li investi per creare nuovo lavoro, nuovi prodotti e quindi nuova ricchezza (per te, ma non solo), te li tasso meno, o non te li tasso proprio. L’esperienza finlandese merita la lettura di questo articolo, che ricorda che le misure di austerità sono necessarie, ma serve una banca centrale col bazooka carico, mentre il governo attiva riforme su più fronti: riforma del fisco e del welfare state e liberalizzazioni volte a strozzare i settori dell’economia che la zavorrano. Vi ricorda niente? Tenetelo a mente, servirà tra poco.
Pare facile, ma quando ti ritrovi fra i piedi dei cretini diventa una farsa. La ricetta è tagli le tasse, non tagli la spesa (anzi, la aumenti) e dici Abracadabra. E allegria.
E qui c’è la parte divertente: la destra del Partito Repubblicano, che ha come nuovo campione Gingrich (quello del Contratto con l’America, poi parodiato da Berlusconi nel 2001), continua a essere reaganiana; il centro del GOP si affida a Romney, che paga un’aliquota media del 15% sul suo reddito contro il 25% di Obama e di un operaio, e dà una certa sicurezza all’establishment repubblicano, che è più moderato, ma non meno reaganiano. La speranza resta Obama, ben al di sotto delle aspettative che portarono alla sua elezione, ma ben al di sopra delle ridicole cime repubblicane.
Il discorso si può agevolmente applicare al caso italiano, ma è cosa che ho già fatto e non vi annoio ripetendomi. Innestiamo invece qualche altro elemento nel traffico delle idee italiane, ovvero: a che punto siamo arrivati? E la classe dirigente di questo Paese ci è arrivata?
Il caso italiano è peculiare poiché, oltre alla mano leggera sulla ricchezza legale, si è aggiunta la mano assente sulla ricchezza illegale, basata sull’evasione, sulla corruzione, eccetera, regolarmente moralizzata («Io mi sento moralmente tenuto ad evadere» e uscite varie). Poi quando il giochino era sul punto di esplodere, la palla è passata a Monti, il quale ha dovuto inevitabilmente fare cassa e subito, con patrimoniali varie (sulla casa, sulle attività finanziarie, ecc.), sui beni a domanda anelastica (la benzina), sui consumi (aumento dell’IVA), fino alla sacrosanta riforma delle pensioni. Attendiamo con ansia un riassetto del sistema fiscale che dia ordine a questo caos di aumenti, che inevitabilmente strozzerebbe l’economia.
Intanto, però, l’orticello s’è fatto sempre più piccolo: al capitale vampirizzato dall’illegalità e dai furbetti che mettono le mani nelle tasche degli italiani (gli evasori, i corrotti, le mafie, Berlusconi, eccetera), si aggiunge quello rubato dalle corporazioni varie, che nella lotta per la difesa delle proprie ingiuste rendite, del proprio pascolo, non si sono ancora accorte che quest’ultimo si sta inaridendo. Si impoverisce chi corporazione non è per proteggere caste che non correggono inefficienze, che non innovano, che non trovano modi creativi per risolvere le sfide del mondo (in piccolo, naturalmente: “sii il cambiamento che vuoi per il mondo”) e che talvolta (e pure più di talvolta) sono semplicemente inutili (per quale accidenti di motivo Tizio, primo, unico e noto proprietario di una casa, per venderla al proprio fratello o al proprio figlio – che magari paga cash – deve pagare dazio a un notaio, che non deve garantire per niente e né fare alcun controllo? Basterebbe andare al Comune, due firme, un timbro e tanti saluti. Dal notaio ci vai se ti serve, cioè se le parti non si conoscono, e allora controlli e garanzie sono benvenute. Il problema, però, si sposta sulle tariffe minime, che sorreggono [e si spera sorreggevano] il sistema).
Chissà il muro che si ritroveranno a destra, dominato dal populismo della Lega e dai liberali all’acqua sciacquata del PdL (che non è un partito liberale, va sottolineato, bensì anarco-liberale, e cioè “amici elettori, fate quello che mazzo vi pare, basta che me ne venga in tasca qualcosa; popolo, guarda Canale 5 e muto”). Per non parlare della demagogia delle sinistre parlamentari, extraparlamentari (e oltreparlamentari), che al confronto con i reaganiani appare una farsa nella farsa: Rizzo, capo di uno dei partiti comunisti monopersonali, boccia le liberalizzazioni, affermando di stare dalla parte dei tassisti (che sono contrari) e dei benzinai (che alla liberalizzazioni sono favorevoli, e sciopereranno contro la timidezza del governo nei riguardi dei petrolieri). Poche idee, ma ben confuse, i comunisti, al solito.
In mezzo i partiti di centro, che non sono né carne né pesce (con menzione d’onore per il PD, senza sarcasmo, perché ha almeno una base viva e attiva, ma che non riesce a liberarsi delle mummie né dei finti giovani).
Chi si è fatto un giro nella Storia d’Italia qualche volta non può non sentire l’odore di qualcosa che è stato già odorato fra Ottocento e Novecento, pur con le dovute differenze, la Storia si sta ripetendo. L’elemento più divertente, nella sua tragicità, è il Movimento dei Forconi, evidente revival dei Fasci Siciliani. Le destre sono sotto scacco dei notabili e di idee del menga, il centro è sotto scacco della Chiesa e di idee del menga, le sinistre si dividono di continuo su idee del menga, quando ci sono. Si aggiungano le misure imposte contro la crisi, necessarie ma non bilanciate da manovre anticicliche, a ricordare gli anni Trenta. E altro ancora. Il piano ideologico del decennio pare sempre più quello di un secolo fa: il caos che poi trovò la sua summa nello Stato fascista, un dramma buffo in continuo divenire perché Mussolini non aveva la più pallida idea di quali fossero le sue proprie idee e posizioni politiche, economiche, sociali, affidandosi semplicemente al fiuto, all’olio di ricino e ad avversari che invece di combatterlo avevano deciso di arrendersi e ritirarsi sull’Aventino a giocare a rubabandiera (esclusi i comunisti, che tornarono presto a combattere laddove si doveva, nell’Aula, ma quelli erano altri comunisti, non la barzelletta indegna che ci sono oggi). Non vedo una guerra mondiale all’orizzonte, ma temo che questa confusione sul piano delle idee possa portare a tensioni e poi chissà: il vento fascista soffia dall’Ungheria, anche se più debolmente di qualche mese fa.
Bisogna ricordare che Monti è una toppa, non la soluzione del problema: se il suo Ministero ha successo, ma la classe politica non cambia, continuando ad aggrapparsi a ricette obsolete, scialbe e dannose, il problema sarà semplicemente spostato nel tempo, come lo fu con i governi tecnici di inizio anni Novanta; se invece c’è il fallimento (segno che la classe politica non è cambiata), oh, beh… potete immaginare.
Per questo è a mio avviso necessario sostenere Monti, soffocando il populismo dei soliti demagoghi usando la Ragione e la concretezza della realtà, ma non può bastare, perché tempo un anno e Monti potrebbe tornare a mangiare tortelli in privato. Il dopo è ancora ignoto, però c’è una realtà che richiede di essere interpretata con lenti nuove, non con le lenti del reaganismo, vecchie e sceme, o del marxismo, idem, c’è un sistema attuale che ha bisogno di maggiore libertà e tutela per chi è più debole e denti più aguzzi contro il più forte. L’Italia potrebbe essere di gran lunga la più forte delle economie europee, dice una fonte piuttosto autorevole: tendo a ridimensionare questo ottimismo, ma è innegabile che l’Italia abbia tesori ineguagliabili fra le mani, come pure gli italiani sono pieni di creatività, ma che tutto questo non viene sfruttato. Il turismo viene demolito dall’incuria dei governi per i nostri patrimoni naturali e artificiali; le grandi marche, o almeno quelle più sane, vengono pian piano divorate da imprese straniere (il che non è un male in sé, è più un sintomo di un tessuto economico in disfacimento – qualcuno ha detto Parmalat? Si ricordi con quale facilità Lactalis andò a vedere il bluff dei capitali coraggiosi italiani); la creatività, imbrigliata nei lacci della burocrazia che protegge vari tumori (farmacisti, tassinari, grandi banche, notai, avvocati, petrolieri, continuo?), finisce per espellere le eccellenze e costringere chi rimane a usare il proprio ingegno per sopravvivere a questi strozzinaggi legalizzati approfondendo il problema.
Guai se l’interprete di questa realtà si rivelerà essere di nuovo un istrione ignorante (e in giro ce ne sono tanti): il risultato sarebbe il medesimo, occhi bendati sugli abusi del più forte, panem et circences alla plebe, finché non restano che macerie.